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EFFETTO INGANNATORIO E DISCIPLINA DELL’AMBUSH MARKETING: IL CONTRIBUTO DELLA GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA

17 giugno 2025

a cura di Martina Rossi

La sentenza n. 3118/2025 della Sezione VI del Consiglio di Stato rappresenta un importante punto di svolta nell’applicazione della normativa in materia di pubblicità parassitaria, comunemente nota come ambush marketing, introdotta dal decreto-legge 11 marzo 2020, n. 16, convertito con modificazioni nella legge 8 maggio 2020, n. 31. Il provvedimento si inserisce nel contesto dell’attuazione di misure di salvaguardia degli investimenti pubblicitari connessi ai grandi eventi sportivi e di tutela del corretto funzionamento del mercato, consolidando la portata precettiva degli articoli 10 e seguenti del suddetto decreto.

Il caso trae origine dal provvedimento n. 30099/2022, con cui l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) ha irrogato a Zalando SE una sanzione amministrativa pecuniaria pari a 100.000 euro. La condotta sanzionata consisteva nella diffusione, in prossimità del Football Village allestito in Piazza del Popolo a Roma in occasione del campionato europeo di calcio UEFA EURO 2020, di un’affissione pubblicitaria di grandi dimensioni. L’immagine rappresentava una maglietta bianca con il logo Zalando, circondata dalle bandiere delle ventiquattro nazioni partecipanti alla competizione e accompagnata dallo slogan “Chi sarà il vincitore?”. Secondo l’AGCM, tale messaggio pubblicitario era idoneo a creare un collegamento indiretto tra Zalando e l’evento sportivo, suscettibile di indurre in errore il pubblico circa l’identità degli sponsor ufficiali, configurando così una violazione dell’art. 10, comma 2, lett. a), del d.lgs. 16/2020.

Zalando ha impugnato il provvedimento sanzionatorio dinanzi al Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, articolando plurime censure. In particolare, la ricorrente ha denunciato la violazione dell’art. 3 della legge n. 241/1990, lamentando una motivazione carente e apodittica; ha eccepito la carenza istruttoria in ordine alla mancata valutazione della concreta idoneità ingannatoria del messaggio; ha invocato la violazione dei diritti fondamentali, in particolare della libertà di espressione (art. 21 Cost.) e della libertà di iniziativa economica (art. 41 Cost.); infine, ha censurato l’eccessivo importo della sanzione, invocando la novità della disciplina applicata e la natura sperimentale del caso.

Il TAR per il Lazio, con la sentenza n. 13478/2023, ha respinto il ricorso. Il giudice di primo grado ha ritenuto che la normativa oggetto di applicazione non abbia natura consumeristica, bensì persegua finalità di regolazione del mercato, tutelando gli investimenti effettuati dagli sponsor ufficiali. In tal senso, il collegamento indiretto fra la pubblicità e l’evento è stato giudicato sussistente, valorizzando sia la prossimità fisica del messaggio all’area ufficiale UEFA, sia la presenza di elementi grafici evocativi della manifestazione, quali la maglietta calcistica, le bandiere, lo slogan. Il TAR ha inoltre escluso che potesse operare la scriminante fondata sull’assenza di segni distintivi ufficiali, osservando come la fattispecie sanzionatoria si riferisca oltre che a collegamenti diretti anche a collegamenti indiretti, purché suscettibili di generare confusione.

Zalando ha proposto appello avverso tale decisione. In sede di gravame, il Consiglio di Stato ha confermato l’impostazione del giudice di primo grado, ritenendo infondate tutte le doglianze proposte. In particolare, il Collegio ha chiarito che il messaggio pubblicitario, nel suo complesso, era idoneo a creare un effetto di framing, secondo la definizione elaborata dalle scienze cognitive, in grado di influenzare la percezione dell’osservatore medio e di generare un fraintendimento circa la partecipazione di Zalando tra gli sponsor ufficiali. Non vi sarebbe dunque alcun automatismo tra collegamento visivo ed inganno, ma una valutazione puntuale del contesto comunicativo, nel quale si collocano le immagini, il linguaggio e l’ubicazione del messaggio.

La Corte ha escluso che vi fosse stata una lesione della libertà di espressione, osservando come il contenuto promozionale avrebbe potuto essere veicolato in altre modalità, tempi o luoghi, senza generare confusione. In tale prospettiva, è stata ritenuta non pertinente la giurisprudenza della Corte EDU richiamata dall’appellante, in particolare il caso Sekmadienis Ltd. c. Lituania, concernente l’uso di simboli religiosi in pubblicità, in quanto in quel caso la censura riguardava direttamente i contenuti del messaggio, mentre nel caso di specie la repressione si è fondata sul contesto e sull’effetto ingannatorio del messaggio nel suo complesso. La libertà di manifestazione del pensiero, secondo il Consiglio di Stato, non può fungere da esimente quando il contenuto della comunicazione ha carattere decettivo rispetto ai rapporti di sponsorizzazione, specie in un settore, quale quello sportivo, ad alta rilevanza mediatica e contrattuale.

Quanto alla sanzione amministrativa, il Consiglio ha ritenuto che essa fosse proporzionata, in quanto pari al minimo edittale previsto dall’art. 12 del d.lgs. 16/2020. Nel determinare l’importo, l’AGCM ha applicato i criteri di cui all’art. 11 della legge 689/1981, valorizzando in particolare i seguenti elementi: la circoscritta diffusione del messaggio, il carattere innovativo della normativa applicata e la dimensione economica dell’impresa sanzionata. È stata dunque esclusa ogni eccessività o irragionevolezza, anche in considerazione dell’effetto deterrente che la norma intende assicurare.

Questa pronuncia conferma l’effettività della nuova disciplina repressiva dell’ambush marketing, sottolineandone la valenza pubblicistica e il ruolo nel garantire l’equilibrio competitivo tra operatori autorizzati e quelli che non lo sono. Il Consiglio di Stato ha ribadito la centralità del principio di trasparenza, ritenendo che pratiche idonee ad alterare la percezione del pubblico compromettano l’affidabilità dei mercati e la tutela dell’investimento pubblicitario, che costituisce un interesse meritevole di protezione da parte dell’ordinamento.

Infine, la decisione si colloca in una tendenza giurisprudenziale che riconosce la crescente importanza dei meccanismi cognitivi del consumatore nella valutazione della decettività delle pratiche commerciali. Il riferimento esplicito al concetto di framing conferma l’apertura del diritto amministrativo all’influenza delle scienze comportamentali, e rafforza la funzione regolatoria dell’AGCM come garante non solo della concorrenza formale, ma anche dell’equilibrio percettivo e simbolico del mercato.

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