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GOLDEN POWER: INNOVAZIONI E IMPLICAZIONI NEL CASO UNICREDIT

3 novembre 2025

a cura di Marco Todisco

In tema di poteri speciali, recentemente il giudice amministrativo si è espresso in merito alla decisione del Governo di esercitare il golden power nel settore finanziario. Si tratta di un caso particolarmente interessante per una serie di aspetti.

Preliminarmente, si ricorda che con il decreto-legge n. 21 del 2012, sono state introdotte, nell’ordinamento italiano, delle forme di controllo sugli investimenti esteri diretti. In particolare, si consente al Governo di controllare gli investimenti esteri e le operazioni straordinarie su imprese strategiche per l’interesse nazionale, imponendo prescrizioni, condizioni e, in alcuni casi, vietando l’operazione. Nel tempo, questo potere è stato ampliato sia da un punto di vista oggettivo, includendo nuovi settori come quello creditizio e finanziario, sia dal punto di vista soggettivo, estendendo la possibilità di intervento anche alle società private operanti in ambiti strategici, inizialmente riservata alle sole società a partecipazione pubblica.

L’atto di esercizio dei poteri speciali si configura come atto di alta amministrazione ed è pertanto caratterizzato da un’ampia discrezionalità in ragione degli interessi pubblici coinvolti. Deve tuttavia rispettare criteri fondamentali, quali l’obbligo di istruttoria e di motivazione, nonché i principi di proporzionalità, ragionevolezza e non discriminazione. Questi parametri sono indispensabili per consentire al Governo di valutare la “grave minaccia” alla sicurezza dello Stato. L’atto è sindacabile dal giudice amministrativo in caso di manifesta illogicità, mancanza o incongruità della motivazione ovvero di errore o travisamento dei fatti. 

Nel caso di specie, si ha riguardo alla sentenza n. 13748 pubblicata dal Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio il 12 luglio 2025, relativa al ricorso proposto da UniCredit S.p.A. contro il Decreto del Presidente del Consiglio dei ministri (D.P.C.M.) del 18 aprile 2025. Con tale decreto sono stati esercitati i poteri previsti dall’art. 2 del d.l. n. 21 del 2012 in relazione all’operazione concernente l’Offerta Pubblica di Scambio (OPS) sulla totalità delle azioni ordinarie di Banco BPM S.p.A., comunicata al mercato il 25 novembre 2024 nel rispetto della normativa nazionale ed europea (ai sensi dell’art. 102, commi 1 e 4, e dell’art. 106, comma 4, del TUF, nonché dell’art. 37, comma 1, del Regolamento Emittenti).

Le prescrizioni oggetto di controversia erano le seguenti: 

  1. non ridurre per un periodo di cinque anni il rapporto impieghi/depositi praticato da Banco BPM e UniCredit in Italia, con l’obiettivo di incrementare gli impieghi verso famiglie e PMI nazionali;
  1. non ridurre il livello del portafoglio attuale di project finance di Banco BPM e UniCredit in Italia; 
  2. per un periodo almeno 5 anni: (i) non ridurre il peso attuale degli investimenti di Anima Holding S.p.a. in titoli di emittenti italiani; (ii) supportare lo sviluppo della Società; 
  3. cessare tutte le attività in Russia entro nove mesi dalla data del provvedimento stesso. 

La parte ricorrente contestava l’imposizione di prescrizioni, da parte della Presidenza del Consiglio del Ministri, considerate “estremamente gravose, certamente non proporzionate e per molti aspetti incerte nel loro contenuto nonché tali da prospettare una sorta di vigilanza del Governo sulla stessa autonoma politica industriale di UniCredit” ai fini della realizzazione dell’OPS. 

UniCredit, a fondamento del ricorso, sosteneva inoltre che il decreto presentava un’errata individuazione dei settori strategici, una motivazione insufficiente e violazioni sia del diritto nazionale (art. 3 l. 241/1990) sia del diritto europeo (ad esempio la libertà di stabilimento e di circolazione dei capitali).

Nello specifico, l’istituto finanziario riteneva che il decreto fosse illegittimo poiché le prescrizioni imposte sarebbero state adottate in assenza del presupposto necessario per la sua adozione e cioè l’esistenza di un rischio per la “sicurezza nazionale”. La banca, inoltre, sosteneva che il D.P.C.M. non potesse ricondurre la nozione di sicurezza pubblica ad aspetti meramente economici in quanto insufficienti a giustificare una restrizione delle libertà garantite dai Trattati europei.

Tale argomentazione si fondava anche sul fatto che l’operazione coinvolgeva due istituti bancari interamente italiani, configurando un caso inedito, poiché finora il golden power era stato esercitato solo con riguardo ad operazioni effettuate da soggetti esteri. UniCredit, da ultimo, evidenziava che l’operazione aveva già ottenuto l’approvazione della Commissione europea nel rispetto del regolamento sulle concentrazioni.

Il TAR Lazio, pronunciandosi sul ricorso, ha affermato che non esistano condizioni che impediscano l’esercizio del golden power, ribadendo come la nozione di “sicurezza economica” faccia parte della più ampia nozione di “sicurezza nazionale”. Ne consegue che il Governo può legittimamente valutare asset strategici, incluse operazioni a tutela del risparmio nazionale e del credito a settori e destinatari rilevanti, come PMI e famiglie.

Successivamente, il TAR ha accolto parzialmente i ricorsi riguardanti le prime due prescrizioni del D.P.C.M., ossia il divieto di ridurre per un periodo quinquennale il rapporto tra impieghi/depositi e l’obbligo di mantenere invariato il livello del portafoglio di project finance.

Sulla prima questione, il giudice ha ammesso la legittimità della prescrizione imposta dal Governo a UniCredit e Banco BPM, ma ne ha contestato la durata quinquennale, ritenendola sproporzionata e da ridefinire in seguito ad un’analisi completa dei dati e la presentazione di un piano industriale aggiornato. Pertanto, su questo aspetto il ricorso è stato accolto, pur prevedendo che la Pubblica Amministrazione riveda la durata originaria di cinque anni con verifiche periodiche e dialogo continuo con UniCredit.

Sul secondo punto, il Giudice ritiene problematica la prescrizione che impone a UniCredit di mantenere il portafoglio di project finance proprio e di Banco BPM senza indicare una durata, poiché incide direttamente sulla politica aziendale senza adeguata motivazione. Il Collegio ne chiede una rimodulazione con verifiche periodiche e dialogo con l’autorità, simile a quanto previsto nel punto precedente.

Per quanto riguarda la prescrizione relativa alla Russia, viene confermata la legittimità dell’estensione soggettiva anche ad operazioni domestiche, con riferimento al d.l. n. 21 del 2022. In particolare, l’art. 25 del decreto estende l’obbligo di notifica agli acquisti di partecipazioni rilevanti nei settori strategici effettuati da soggetti appartenenti all’Unione europea, compresi i residenti in Italia.

Dopo la sentenza, il 22 luglio 2025, UniCredit ritira l’offerta per Banco BPM, non essendo soddisfatta la condizione sull’autorizzazione golden power. Secondo la ricorrente, l’insistenza dei vertici BPM su tale tema ha ostacolato il dialogo con gli azionisti e rallentato l’operazione, i cui tempi avrebbero superato la durata dell’offerta e della sospensione dell’OPS disposta dalla CONSOB. Questa pronunzia giudiziale appare rilevante nello studio del golden power, in quanto la Corte conferma la possibilità per il Governo di imporre prescrizioni su operazioni concernenti soggetti italiani per assicurare che le operazioni nei settori strategici siano conformi agli interessi nazionali. Ne deriva un significativo ampliamento della portata del d.l. 21 del 2012, che consente interventi più incisivi su un numero maggiore di operazioni e, al contempo, limita la libertà di iniziativa economica dei soggetti privati, ostacolando il compimento di operazioni domestiche rilevanti. La sua importanza emerge anche a livello europeo, dove la Commissione ha sollevato dubbi sulla compatibilità del D.P.C.M. con le norme UE sulle concentrazioni e la libera circolazione dei capitali, esprimendo un parere preliminare negativo e valutando la possibilità di richiederne il ritiro. 

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