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IL PRINCIPIO DI RISULTATO NEI PRIMI DUE ANNI DI APPLICAZIONE DEL NUOVO CODICE

29 aprile 2025

a cura di Valentina Chieppa

Nel primo biennio di vigenza del nuovo Codice dei contratti pubblici, introdotto con il D.Lgs. 31 marzo 2023, n. 36, uno degli aspetti che ha suscitato maggiore interesse nella dottrina è stata la codificazione dei principi generali nel testo normativo.

A differenza del precedente Codice (D.Lgs. n. 50 del 2016), che pur facendo riferimento a “principi generali” nel Titolo I non conteneva una trattazione organica e sistematica degli stessi, il nuovo impianto normativo dedica l’intera Parte I del Libro I proprio alla definizione di quei valori fondanti che orientano l’intera disciplina degli appalti pubblici.

Si registra un significativo mutamento di impostazione: mentre nel previgente Codice dei contratti pubblici l’attenzione era rivolta soprattutto alla disciplina del dettaglio e, in molti casi, al rispetto formale delle disposizioni normative, con il nuovo Codice il legislatore sceglie di privilegiare l’effettivo conseguimento del risultato finale, spostando l’asse della valutazione dalla mera conformità procedurale all’efficacia sostanziale dell’azione amministrativa.

Anziché continuare a ricercare la disciplina del dettaglio, con il nuovo Codice il legislatore fornisce all’interprete e, in prima battuta, alle stazioni appaltanti i principi generali in base a cui esercitare il potere discrezionale e risolvere le questioni poste dai casi concreti.

Particolarmente significativo è l’art. 4, il quale attribuisce ai soli principi del risultato, della fiducia e dell’accesso al mercato una funzione interpretativa centrale, qualificandoli come strumenti guida per l’intera applicazione del Codice.

A distanza di due anni dall’entrata in vigore del nuovo codice e dopo il correttivo approvato con il decreto legislativo 31 dicembre 2024 n. 209 può essere confermata l’importanza del titolo I dedicato ai principi, che hanno costituito fin dalla prima applicazione giurisprudenziale il riferimento in base a cui interpretare le norme dell’intero codice e hanno anzi avuto una rilevanza che è andata al di là della materia della contrattualistica pubblica. 

Appare ora opportuno analizzare come la giurisprudenza abbia accolto e concretamente applicato tali principi, concentrandosi su quello di risultato, che è alla base della nuova visione del diritto dei contratti pubblici e anche di un nuovo modello di amministrazione.

Una prima notazione riguarda la frequenza con cui la giurisprudenza ha menzionato i principi generali e, in particolare, il principio del risultato a dimostrazione del fatto che la codificazione di tale principio non ha costituito una operazione meramente “estetica”, ma abbia determinato un cambio di impostazione nella attuazione dell’intera disciplina dei contratti pubblici.

Il principio del risultato è stato richiamato in molti casi a sostegno di una determinata interpretazione adottata su specifiche questioni.

Ad esempio, il TAR Sicilia, Catania, Sezione III, che con la sentenza n. 3010 del 12 settembre 2024, ha affermato che l’offerta che presenti un ribasso esattamente pari alla soglia di anomalia deve essere esclusa dalla procedura di gara, al pari di quelle che superano tale soglia. Al di là delle questioni fattuali, quello che ci interessa è che questa interpretazione è stata adottata richiamando in modo espresso il principio del risultato contenuto nell’articolo 1, comma 2, del nuovo Codice dei contratti pubblici, che attribuisce alla concorrenza un ruolo strumentale: “La concorrenza tra gli operatori economici è funzionale a conseguire il miglior risultato possibile nell’affidare ed eseguire i contratti.

In questa prospettiva, l’esclusione di un’offerta che si collochi esattamente sulla soglia di anomalia viene considerata coerente con l’interesse pubblico alla migliore riuscita della procedura. Secondo il TAR, un ribasso di questo tipo può essere sintomatico di una proposta poco affidabile, potenzialmente inadeguata a garantire i livelli qualitativi richiesti. La decisione dell’amministrazione di escludere tali offerte, quindi, riflette un’applicazione sostanziale del principio del risultato, finalizzata a privilegiare la qualità e l’efficienza dell’intervento da realizzare. Questo comporta che l’amministrazione debba tendere al miglior risultato possibile, in “difesa” dell’interesse pubblico per il quale viene prevista una procedura di affidamento.

Anche la giurisprudenza del Consiglio di Stato ha avuto un ruolo fondamentale nel delineare i contorni applicativi di questo nuovo principio.

L’applicazione giurisprudenziale ha fatto emergere come l’art. 1 del Codice abbia codificato un principio generale già immanente nel sistema e utilizzabile in chiave interpretativa anche rispetto a fattispecie regolate dal d.lgs. 50 del 18 aprile 2016 in modo che la gara sia funzionale a portare a compimento l’intervento pubblico nel modo più rispondente agli interessi della collettività nel pieno rispetto delle regole che governano il ciclo di vita dell’intervento medesimo. Questo principio si configura dunque come un riferimento centrale per l’interesse pubblico che l’amministrazione è chiamata a perseguire attraverso l’intero ciclo del contratto. Esso esclude che l’attività amministrativa possa essere ostacolata o resa inefficace in assenza di motivazioni concrete che impediscano il raggiungimento del risultato atteso. Nella fase dell’affidamento, il fine è quello di arrivare rapidamente e correttamente alla stipulazione del contratto. Successivamente, nella fase dell’esecuzione, l’obiettivo diventa quello di ottenere il risultato economico previsto, cioè la realizzazione dell’opera pubblica nei tempi pianificati e con un elevato livello di qualità tecnica.

 (Cons. Stato, sez. V, 13 settembre 2024, n. 7571; Cons. Stato, sez. V, n. 1924 del 2024).

Altre decisioni hanno escluso una contrapposizione tra il principio del risultato e il principio di legalità, affermando che anzi l’art. 1 del d. lgs. n. 36 del 2023 contribuisce a far transitare nell’area della legittimità, e quindi della giustiziabilità, opzioni e scelte che sinora si pensava attenessero al merito e fossero come tali insindacabili (Cons. Stato, sez. III, 26 marzo 2024, n. 2866, secondo cui  un’offerta di un prodotto non soddisfa il principio del risultato solo perché propone un prezzo d’acquisto più basso, se poi per garantire il corretto funzionamento della fornitura sono necessarie ulteriori attività tecniche o giuridiche; tali interventi, infatti, generano costi aggiuntivi, sia in termini economici che organizzativi, compromettendo l’effettiva convenienza dell’offerta e, quindi, il risultato di avere una fornitura in opera perfettamente funzionante).

Il principio di risultato ha un ambito di applicazione che ormai fuoriesce dalla materia dei contratti pubblici, ne è la dimostrazione la pronuncia del Consiglio di Stato, sez.VI, 4 giugno 2024, n. 4996.

In tale sentenza si è infatti chiarito che esso vada “ricondotto al principio di buon andamento dell’attività amministrativa, già prima dell’espressa affermazione contenuta nell’art. 1 del d.lgs. n. 36 del 2023”. Viene evidenziato come l’attenzione al risultato non sia settoriale, ma rappresenta un’evoluzione del diritto amministrativo che deve tendere agli obiettivi e alla concretezza dell’azione della p.a..

Ciò segnala un’evoluzione culturale e sistematica: non più un’amministrazione che si misura solo sulla correttezza formale delle proprie procedure, ma una amministrazione chiamata a rispondere del valore concreto delle proprie decisioni.

Come evidenziato in precedenza, il principio sta spostando progressivamente l’asse del sindacato giurisdizionale verso una verifica dell’effettiva funzionalità dell’azione rispetto agli scopi pubblici dichiarati. La grande novità derivante da questa prospettiva è anche la circostanza per cui, in relazione a molte scelte della pubblica amministrazione che in passato erano considerate come insindacabili, ora il principio del risultato concorre ad integrare il paradigma normativo e dunque ad ampliare il perimetro del sindacato giurisdizionale.

A conferma di quanto sopra, assume rilevanza il fatto che la Corte Costituzionale abbia fatto riferimento al principio del risultato in materia di responsabilità amministrativo contabile e, nel respingere i dubbi di costituzionalità relativi all’articolo 21 del d.l. 76 del 2020, ha richiamato con forza il passaggio da un’amministrazione che, secondo il modello dello stato di diritto liberale, doveva dare semplicemente esecuzione alla legge adottando un singolo puntuale atto amministrativo, a quella che è stata definita “amministrazione di risultato” cioè un’amministrazione che deve raggiungere determinati obiettivi di policy e che risponde dei risultati economici e sociali conseguiti attraverso la sua complessiva attività (Corte cost., 16 luglio 2024 n. 132).

Ciò conferma che il principio del risultato costituisce l’espressione di un immanente principio già esistente e riconducibile al principio costituzionale del buon andamento e abbia, quindi, un ambito di applicazione che ormai fuoriesce dalla materia dei contratti pubblici, le cui ricadute sono ancora in parte da esplorare.

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