
3 novembre 2025
a cura di Valentina Chieppa
La sentenza in commento (Cons. Stato, Sez. IV, 22 luglio 2025, n. 6495) affronta il rapporto tra principio di risultato, introdotto dall’art. 1 del D.Lgs. n. 36/2023, e il tradizionale potere di autotutela.
La controversia trae origine dalla gara indetta dal Consorzio di Bonifica Centro per l’affidamento del servizio di ritiro, trasporto e smaltimento dei fanghi provenienti dal depuratore di San Martino in Chieti. Dopo l’aggiudicazione a favore della CTL Ecology s.r.l., il Consorzio ha annullato in autotutela l’aggiudicazione, escludendo le prime due imprese per la presunta mancanza della disponibilità di impianti di smaltimento in discarica (D1) e assegnando l’appalto al terzo classificato (r.t.i. Pavind s.r.l.–Angelo De Cesaris s.p.a.). La CTL Ecology ha impugnato tale decisione, sostenendo che la legge di gara non richiedeva la disponibilità di impianti di smaltimento D1 e che i rifiuti, per caratteristiche tecniche, potevano essere destinati a recupero.
Sul piano del diritto, il Consiglio di Stato ha accolto l’appello della stessa CTL Ecology, riformando la sentenza del Tar di reiezione del ricorso, rilevando un difetto di motivazione del provvedimento di autotutela, fondato sulla generica esigenza di ripristinare la legalità, e un erroneo esercizio del potere discrezionale della stazione appaltante, che non aveva considerato il principio del risultato (art. 1 d.lgs. 36/2023), secondo cui l’azione amministrativa deve perseguire il miglior esito possibile nel rispetto dell’interesse pubblico.
Il Consiglio di Stato ha fondato la sua decisione sul principio del risultato, definito dal nuovo Codice dei contratti pubblici come criterio prioritario per l’esercizio della discrezionalità amministrativa e per l’individuazione della regola del caso concreto.
Il Collegio, infatti, ha ritenuto che la stazione appaltante, nell’esercizio del proprio potere discrezionale volto all’annullamento d’ufficio dell’aggiudicazione, avrebbe dovuto tenere in considerazione non solo la mera esigenza di ripristino della legalità (presupposto inidoneo a sorreggere un atto di annullamento d’ufficio), ma anche il principio del risultato in sede di bilanciamento dei contrapposti interessi.
Le argomentazioni sono mosse dalla considerazione secondo cui, se l’obiettivo della procedura è lo smaltimento dei rifiuti, un’offerta che non dichiari formalmente la disponibilità degli impianti di smaltimento non può essere automaticamente esclusa se idonea comunque a raggiungere il risultato finale dello smaltimento, trattandosi di un’attività posta a carico degli impianti di trattamento/recupero dichiarati, sebbene non esplicitata formalmente nella relativa dichiarazione di disponibilità.
Il giudice ha inoltre sottolineato la necessità di preservare la coerenza e l’affidamento nell’azione amministrativa: non può ritenersi coerente, né rispettoso dei principi di buon andamento e imparzialità, un comportamento che da un lato esclude un operatore per carenza di requisiti e, dall’altro, gli affida comunque lo stesso servizio in via provvisoria.
La sentenza offre uno spunto per una riflessione più ampia sulla natura e sulla portata del principio del risultato.
Ben può comprendersi la preoccupazione di un possibile uso eversivo del principio, tale da legittimare scelte amministrative che, in nome dell’efficienza o della celerità, finiscano per creare regole nuove, svincolandosi dal dato normativo e minando l’equilibrio tra discrezionalità e legalità.
E in effetti, una prima lettura della sentenza può dare l’impressione di consentire sulla base del risultato l’aggiudicazione a un soggetto privo dei requisiti.
A prescindere dal fatto che si era in presenza, come già evidenziato, di un provvedimento di autotutela, nel caso di specie il Consiglio di Stato ha inteso invece interpretare il bando nel senso che alcuna disposizione imponeva di dichiarare la disponibilità di “impianti di smaltimento rifiuti in discarica D1”.
Tuttavia, il seguente passaggio della sentenza può comportare un equivoco: “se è vero che un ben motivato perseguimento del risultato può implicare valutazioni di merito, estranee al sindacato del giudice in sede di legittimità, è altresì vero che il risultato che si è prefisso l’amministrazione può rappresentare, esso stesso, un parametro in base al quale il giudice può sindacare la ragionevolezza, logicità e congruità delle scelte compiute, potendo tali scelte non apparire coerenti con il risultato individuato.”
Tale passaggio sembra non prendere posizione sulla natura del principio del risultato: si tratta di un principio di valenza “aziendalistica” che consente di estendere gli spazi di merito riservati all’amministrazione o di un principio che integra un parametro di legittimità dell’azione amministrativa?
La risposta non è senza conseguenze: nel primo caso si determinerebbe un ritorno al passato, restringendo i margini del sindacato da parte del giudice; nel secondo caso, invece, il risultato-legittimità costituirebbe ex ante criterio per le stazioni appaltanti ed ex post criterio interpretativo da parte del giudice.
Deve preferirsi la tesi del risultato quale parametro di legittimità, attraverso la verifica della rispondenza degli stessi alle finalità del potere esercitato.
Un atto amministrativo, pur rispettoso nelle forme e nelle modalità della legge, può essere illegittimo perché in modo irragionevole adotta una scelta inidonea a raggiungere il risultato a cui deve tendere quella specifica funzione amministrativa.
Possiamo prendere in considerazione due sentenze, la n. 7361/2025 (Sez. IV) e la n. 7386/2025 (Sez. III), che, pur riferendosi ad ambiti diversi (l’igiene urbana e le forniture sanitarie ad alta tecnologia), si oppongono alle tesi dirette a perseguire il risultato nell’affidamento “a qualsiasi costo” e a creare una regola nuova in sede interpretativa a discapito del rispetto del principio di legalità.
Secondo questo condivisibile orientamento si pone un argine al rischio che il principio del risultato attragga nel merito determinate scelte amministrative, rendendole di fatto non sindacabili.
Secondo alcuni l’adesione alla diversa tesi del risultato / legittimità ridurrebbe la portata innovativa del principio, poiché il potere amministrativo è sempre esercitato in funzione di un risultato da raggiungere.
In conclusione, non si può condividere né l’impostazione restrittiva che sminuisce il carattere innovativo del principio, né quella che lo assolutizzi in chiave eversiva.
Il risultato – legittimità o la c.d. legalità di risultato è cosa ben diversa dal risultato a qualsiasi costo e la codificazione del principio, pur essendo attuazione di un principio immanente già esistente riconducibile al buon andamento, ha una significativa portata innovativa quale criterio primario di interpretazione da parte dell’amministrazione prima e del giudice poi.
Il risultato, dunque, non è un valore antagonista alla legalità, ma un modo di attuarla in modo sostanziale con maggiore coerenza e razionalità.