
29 aprile 2025
a cura di Riccardo Zinnai
Il vicepresidente della Corte di Giustizia con ordinanza del 21 marzo 2025 ha definito l’appello cautelare proposto dalle società Nuctech Warsaw Company Limited e InsTech Netherlands BV (precedentemente nota come Nuctech Netherlands BV) contro la Commissione europea. Con l’appello cautelare, le due società hanno impugnato l’ordinanza del Presidente del Tribunale del 12/08/2024 con la quale è stata respinta la richiesta cautelare volta ad ottenere la sospensione della decisione della Commissione che ha ordinato delle ispezioni, ai sensi dell’art. 14, par. 3, del Regolamento FSR, nei confronti delle società odierne appellanti.
Ricostruendo il caso, si ricordi che la Commissione con decisione del 16 aprile 2024 aveva ordinato delle ispezioni nei confronti delle società con l’obiettivo di verificare la possibile presenza di sovvenzioni estere, concesse dalla Cina, e distorsive del mercato interno. L’attività ispettiva veniva materialmente eseguita tra il 23 e il 26 dello stesso mese. La Commissione richiedeva anche l’accesso ai contenuti delle caselle di posta elettronica di alcuni dipendenti, sebbene le informazioni fossero contenute nei server in Cina. Le società impugnavano davanti al Tribunale UE la decisione ordinante l’ispezione e gli atti ad essa conseguenti, dando origine al caso T-284/24, chiedendo che in pendenza del giudizio il provvedimento venisse sospeso.
L’istanza cautelare veniva respinta per via dell’insussistenza del fumus boni iuris e del periculum in mora nonché, a seguito di un bilanciamento degli interessi coinvolti, per la prevalenza dell’interesse pubblico, tutelato dalla Commissione, consistente nella preservazione dell’effettività del diritto dell’Unione. Con l’appello cautelare, che ha dato origine al caso C-720/24 P(R), le società chiedono la riforma dell’ordinanza del Presidente del Tribunale e la sospensione della decisione impugnata.
Nell’ordinanza del vicepresidente della Corte, si è innanzitutto ricordato che le società appellanti sono controllate da Nuctech Hong Kong Co. Ltd., la quale è a sua volta controllata da Tsinghua Tongfang Co. Limited, avente sede legale in Cina e quotata sulla Borsa di Shangai. Le società sono attive nel settore dello sviluppo, della produzione e della fornitura di apparecchiature per le ispezioni di sicurezza nonché nei servizi post-vendita concernenti tali strumenti.
Le appellanti hanno censurato l’ordinanza impugnata con tre motivi d’appello relativi ad asseriti errori di diritto compiuti nella valutazione della sussistenza del fumus boni iuris e del periculum in pendenza del giudizio nonché nel bilanciare i contrapposti interessi.
In via preliminare, la Corte ha respinto le eccezioni di inammissibilità sollevate dalla Commissione, ritenendo che l’atto di appello fosse sufficientemente chiaro e preciso da consentire una decisione giudiziale.
La Corte ha prioritariamente esaminato il secondo motivo d’appello concernente l’urgenza della richiesta sospensiva. Le appellanti hanno censurato l’ordinanza di primo grado nella quale si riteneva che gli eventuali danni che deriverebbero dall’adempimento alle richieste della Commissione, consistenti in possibili sanzioni amministrative imposte dalle autorità cinesi, avessero natura puramente finanziaria e, pertanto, suscettibili di essere risarciti in futuro. Le società del gruppo Nuctech evidenziano che l’imposizione di sanzioni ad opera dell’autorità comporterebbe uno stigma simile a quello derivante dall’applicazione di sanzioni penali. Inoltre, tali sanzioni amministrative potrebbero comportare anche la sospensione dell’attività commerciale o la revoca delle licenze possedute nonché essere fonti di ulteriori responsabilità finanziarie e penali in capo alle persone fisiche direttamente coinvolte.
La Corte ha ricordato che per la concessione di misure cautelari non è richiesto che l’esistenza di un danno grave e irreparabile sia dimostrata con assoluta certezza. Tuttavia, deve essere prevedibile con un certo grado di probabilità e la parte deve dimostrare i fatti posti alla base della domanda cautelare. Alla stessa è richiesto di presentare la documentazione, contenente indicazioni concrete e precise, dalla quale si evince la situazione di fatto nella quale si trova la richiedente nonché gli effetti negativi che deriverebbero dal respingimento dell’istanza cautelare. Nel caso di specie, le appellanti non hanno affermato che le sanzioni amministrative potrebbero mettere in pericolo la loro sostenibilità finanziaria. Parimenti, non hanno fornito alcuna documentazione finanziaria dal quale sarebbe possibile evincere il rischio di un danno grave e irreparabile.
Per quanto riguarda il rischio legato allo stigma connesso alle sanzioni amministrative, la Corte ha ritenuto che fosse necessario differenziare il caso di specie dal precedente citato dalle società appellanti che riguardava sanzioni di natura penale. Nel presente giudizio, Nuctech e InsTech rischierebbero di essere sottoposte esclusivamente a sanzioni di natura amministrativa, le quali non sono paragonabili in via analogica alle sanzioni penali. Pure il danno derivante dall’eventuale sospensione dall’esercizio dell’attività di impresa o dalla revoca delle licenze potrebbe essere oggetto di una futura ed eventuale azione di risarcimento dei danni, non avendo le società dimostrato che vi sia un rischio per la sostenibilità finanziaria dell’impresa.
Decidendo poi sull’asserito rischio che le persone fisiche siano sanzionate direttamente dalle autorità cinesi, la Corte ha ritenuto che l’ordinanza impugnata sia esente da vizi. Già in primo grado, il Presidente del Tribunale aveva sottolineato che non fosse dimostrato che l’invio alla Commissione europea delle informazioni contenute nei server cinesi potesse effettivamente costituire una violazione della normativa cinese sulla salvaguardia dei segreti di Stato. Parimenti, le appellanti non hanno neanche dimostrato di aver domandato alle autorità cinesi l’autorizzazione per poter divulgare le informazioni richieste dalla Commissione e di aver ricevuto un diniego. Anzi, sarebbero le stesse appellanti a confermare tale prospettazione nella parte dell’atto d’appello in cui ritengono la tematica come “non più rilevante”.
Le società hanno poi censurato l’ordinanza di primo grado poiché non si sarebbe tenuto conto dell’ulteriore produzione documentale da cui sarebbe possibile evincere che le appellanti si sarebbero attivate per ottenere dalle autorità cinesi le autorizzazioni necessarie e che avrebbero ricevuto una risposta negativa. Tuttavia, la Corte osserva che le richieste sono state formulate in base alla Legge sulla sicurezza dei dati e alla Legge sulla protezione dei dati personali e non in base alla disciplina sul segreto di Stato. Il danno eventualmente derivante dalle sanzioni amministrative connesse alla violazione delle normative citate non giustificherebbe la concessione delle misure cautelari richieste.
Essendo stata verificata l’insussistenza del periculum in mora, la Corte ha ritenuto che non fosse necessario procedere all’esame dei motivi d’appello relativi alla fondatezza prima facie del ricorso proposto in primo grado né dei motivi sul bilanciamento tra i contrapposti interessi.
In conclusione, la Corte ha rigettato l’appello cautelare e condannato le appellanti al pagamento delle spese processuali sostenute dalla Commissione. Dall’esame di questo caso è possibile osservare che, almeno per il momento, la Corte di Giustizia dell’Unione europea stia suffragando la legittimità dell’operato della Commissione nell’applicare il Regolamento sulle sovvenzioni estere distorsive del mercato interno. Sebbene fosse prevedibile che le imprese potessero cercare di sostenere l’illegittimità degli atti adottati ai sensi del Regolamento FSR argomentando sui possibili contrasti che si creerebbero rispetto alla disciplina di paesi terzi, la Corte ha dimostrato di richiedere prova di un effettivo danno grave e irreparabile per la concessione di misure cautelari. Pur avendo mostrato attenzione, almeno astrattamente, al tema di possibili contrasti con le normative straniere, la CGUE ha comunque ritenuto che il suo scrutinio sia limitato al rispetto del diritto dell’Unione europea. In ogni caso, occorre rimanere in attesa della pronuncia del Tribunale sul merito del ricorso ancora pendente in primo grado.