Lab-IP

LA SOPRAVVENIENZA NORMATIVA E LA QUALIFICAZIONE DELLA RESPONSABILITA’ DELLA PA: “CASO FORTUITO” O “CASO FORTUNATO”?

Giuditta Russo

06/05/2021

A seguito della presentazione nel 2009 da parte della società Iris Impianti Energia Rinnovabile Siracusa s.r.l. all’Assessorato regionale di tre distinte istanze di autorizzazione unica per la costruzione e la gestione di altrettanti impianti fotovoltaici, da realizzarsi nel Comune di Siracusa e nonostante i numerosi solleciti di Iris, la Regione rilascia tali provvedimenti solo nel 2013. Nelle more dell’adozione delle autorizzazioni uniche, l’art. 65 d.l.n.1/2012, convertito con modificazioni dalla l.n.27/2012, modifica il previgente meccanismo di incentivazione alle fonti di produzione di energia rinnovabile escludendo, dal 2012, gli impianti come quelli inseriti nel progetto dall’accesso agli incentivi statali. Iris – ai sensi dell’art. 2 bis della l.n.241/1990 – presenta quindi domanda risarcitoria al fine di vedersi ristorare i danni provocati colposamente dall’Amministrazione in seguito all’inosservanza del termine di conclusione del procedimento di autorizzazione unica, formulando detta domanda a titolo di responsabilità extracontrattuale e chiedendo, oltre al danno emergente, anche il lucro cessante, ossia il mancato guadagno derivante dal fatto che il lasso di tempo illegittimamente prolungato dall’Amministrazione prima dell’adozione del provvedimento di autorizzazione unica avrebbe fatto venir meno le condizioni di realizzabilità del progetto, così impedendo a Iris di acquisire, per un ventennio, le utilità patrimoniali connesse ad esso, individuate negli introiti prodotti dal regime incentivante e dalla vendita dell’energia elettrica prodotta. 

Il CGA con sentenza non definitiva n.1136/2020 ha in primis ritenuto ricorrenti gli elementi della fattispecie risarcitoria, ossia la condotta dell’Amministrazione violativa della regola di conclusione del procedimento amministrativo nella tempistica prescritta; la fondatezza della pretesa concernente il bene della vita (come testimoniato dalla adozione, seppur in ritardo, dei provvedimenti autorizzatori); la sopravvenienza normativa ostativa all’ottenimento degli incentivi, che Iris avrebbe ottenuto se l’Amministrazione avesse provveduto per tempo; la colpa dell’Amministrazione, non avendo la stessa invocato nessuna esimente per giustificare il proprio non modesto ritardo nel provvedere. Ha quindi, affermato l’astratta ammissibilità della domanda risarcitoria volta alla liquidazione sia del danno emergente che del lucro cessante, mentre, ritenendo sussistenti ragioni di incertezza in relazione all’applicazione del requisito del nesso di causalità e alla misura e ampiezza del danno da risarcire, che dipendono dalla qualificazione della responsabilità dell’Amministrazione, dalla conseguente applicabilità del canone della prevedibilità di cui all’art. 1225 c.c., e dalla nozione di danno quale conseguenza immediata e diretta della condotta, ha sottoposto – anche per via dei contrasti giurisprudenziali sui punti in esame – all’Adunanza Plenaria diverse questioni e in particolare: se si configuri o meno una interruzione del nesso di causalità se, successivamente all’inerzia dell’Amministrazione di per sé foriera di ledere il solo bene tempo, si verifichi una sopravvenienza normativa che, impedendo al privato di realizzare il progetto al quale l’istanza era preordinata, determini la lesione dell’aspettativa sostanziale sottesa alla domanda presentata all’Amministrazione, che sarebbe stata comunque soddisfatta, nonostante l’intervenuta nuova disciplina, se l’Amministrazione avesse ottemperato per tempo; se il paradigma normativo cui ancorare la responsabilità dell’Amministrazione da provvedimento (ovvero da inerzia e/o ritardo) sia costituito dalla responsabilità contrattuale piuttosto che da quella aquiliana e, in caso di risposta nel senso della natura contrattuale della responsabilità, se la sopravvenienza normativa occorsa intervenga, all’interno della fattispecie risarcitoria, in punto di quantificazione del danno (1223 c.c.) o di prevedibilità del medesimo (1225 c.c.) e se debba o meno essere riconosciuta la responsabilità dell’Amministrazione per il danno anche da mancata vendita dell’energia.  

Di estremo interesse è la ricostruzione operata dal Collegio in ordine alla natura della responsabilità della p.a. per violazione delle regole procedimentali. Il CGA ha, sul punto, infatti espresso la necessità di  modificare il regime consolidato di scrutinio della responsabilità dell’Amministrazione che, sulla scorta delle sentenze gemelle n. 500 e 501 del 1999 delle SSUU e in mancanza di un chiaro indice normativo, ricostruisce in termini di responsabilità aquiliana la responsabilità dell’Amministrazione da provvedimento (ma anche da silenzio e da ritardo dell’Amministrazione) sia con riferimento agli interessi legittimi oppositivi che a quelli pretensivi. Alla luce della ricostruzione della natura della responsabilità in termini extracontrattuali, da un lato, la condanna al risarcimento dell’Amministrazione per lesione dell’interesse legittimo presuppone la positiva verifica di tutti gli elementi che caratterizzano l’illecito aquiliano, ossia l’illegittimità del provvedimento causativo del danno o dell’inerzia, la sussistenza della colpa o del dolo della P.A., la lesione di un interesse tutelato dall’ordinamento, il nesso causale che colleghi la condotta commissiva o omissiva della P.A all’evento dannoso, la sussistenza dei pregiudizi subiti e il nesso che li lega all’evento dannoso e, dall’altro lato, trovano applicazione i criteri di cui all’art. 2056 c.c., e, quindi, in particolare, l’art. 1223 c.c. (recante il criterio di integrale riparazione del danno, lucro cessante e danno emergente), la regola residuale della quantificazione equitativa del danno ex art. 1226 c.c., laddove non sia possibile determinare in modo compiuto l’ammontare dei pregiudizi subiti, e l’art. 1227, co 2 c.c., in punto di concorso colposo del danneggiato, mentre non è applicabile il canone della prevedibilità di cui all’art. 1225 c.c.

Una rivisitazione della natura della responsabilità dell’Amministrazione in termini contrattuali (da contatto sociale qualificato) si deve invece alla Corte di cassazione (Cass. civ., sez. un., 28 aprile 2020, n.8236). Sebbene non sia condivisibile la statuizione della Corte in tema di giurisdizione a favore del G.O. (postulando invece la giurisdizione amministrativa l’esercizio o il mancato esercizio del potere amministrativo che non viene meno quando la controversia riguarda meri comportamenti, pur sempre riconducibili anche mediatamente all’esercizio di tale potere) secondo il Collegio, è comunque da condividere l’inquadramento compiuto dalla medesima con riferimento alla qualificazione della responsabilità. 

Le modalità pratiche infatti attraverso le quali vengono scrutinati i requisiti della fattispecie risarcitoria avvicinano la responsabilità della PA alla categoria della responsabilità contrattuale. Il privato danneggiato è invero chiamato a provare il non iure allegando l’inadempimento dell’Amministrazione alla regola procedurale (è poi eventualmente l’Amministrazione a doversi giustificare), e il contra ius dimostrando la sussistenza dell’interesse legittimo e la seria lesione inferta al medesimo, in modo analogo a quanto deve dimostrare il contraente che si assume leso. 

Neppure in ordine all’elemento soggettivo il concreto regime della responsabilità dell’Amministrazione si differenzia in modo sensibile dalla responsabilità contrattuale. In termini generali, il criterio di ascrizione della responsabilità extracontrattuale è tradizionalmente di tipo soggettivo, fondato sulla colpa (seppur normativa). La responsabilità contrattuale, invece, è storicamente caratterizzata da un criterio di tipo oggettivo, fondato sul parametro della possibilità/impossibilità. Entrambe le impostazioni hanno però subito, nel corso del tempo, delle mitigazioni. I criteri di ascrizione della responsabilità civile sono andati diversificandosi, creando un sistema definito a doppio binario fondato su una pluralità di criteri di imputazione delle conseguenze negative della lesione dell’altrui sfera giuridica. La responsabilità da inadempimento dell’obbligazione è attualmente valutata considerando anche l’elemento soggettivo attraverso il combinato disposto degli artt. 1218 e 1176 c.c., che valorizza la negligenza dell’agente. Rileva, inoltre, quale limite ulteriore al riconoscimento della responsabilità, la regola della buona fede di cui all’art. 1175 c.c., che rende inesigibili prestazioni che, benché non impossibili, richiedano un sacrificio per il debitore sensibilmente sproporzionato rispetto alla regolamentazione degli interessi così come delineata nel contratto. Nei settori diversi dalla materia degli appalti (dove l’assimilazione del regime della responsabilità dell’Amministrazione alla responsabilità contrattuale – in conformità con la giurisprudenza della CGUE – non pone particolari problemi, dato che, la giurisprudenza amministrativa ritiene che la responsabilità per danni conseguenti all’illegittima aggiudicazione di appalti pubblici non richieda la prova dell’elemento soggettivo della colpa, coerentemente con l’esigenza di assicurare l’effettività del rimedio risarcitorio) viene utilizzato lo schema tipico della responsabilità extracontrattuale, che richiede, ai fini del riconoscimento del risarcimento dei danni, la dimostrazione, oltre che del danno e del nesso di causalità, della colpa o del dolo. Tuttavia, l’orientamento giurisprudenziale prevalente va nel senso di rinvenire nell’illegittimità del provvedimento il fatto costitutivo di una presunzione semplice in ordine alla sussistenza della colpa in capo all’Amministrazione. Il privato può, quindi, limitarsi ad allegare l’illegittimità dell’atto, mentre spetta alla p.a. dimostrare di essere incorsa in un errore scusabile. Tale meccanismo imprime una connotazione oggettiva a un requisito per definizione soggettivo quale quello della colpa, secondo un processo logico che non è estraneo alla concezione normativa della colpa, ma neppure alla modalità con la quale è attribuita rilevanza alla diligenza di cui all’art. 1176 c.c. nella definizione della condotta esigibile ai sensi dell’art. 1218 c.c.

La vicinanza fra responsabilità amministrativa e responsabilità contrattuale si apprezza anche nella prospettiva delle modalità di tutela associate alla responsabilità dell’Amministrazione. Mentre nella responsabilità contrattuale la tutela dell’interesse specifico all’adempimento  del debitore è rimessa al creditore, che può scegliere se chiedere l’adempimento o il risarcimento (art. 1453 c.c.), nella responsabilità extracontrattuale, che ha il diverso scopo di mantenere il soggetto indenne dal peso del danno subito, è preclusa al danneggiato la scelta ultima fra risarcimento in forma specifica e risarcimento per equivalente, subordinata alla valutazione di eccessiva onerosità per il debitore. Sulla base di quanto detto, la protezione riconosciuta al privato di fronte a un danno arrecato al medesimo dall’esercizio (o dal mancato esercizio) del potere pubblico è assimilabile a quella accordata al creditore in caso di inadempimento dell’obbligazione: la giurisprudenza da prevalenza difatti allo svolgimento o alla rinnovazione dell’attività amministrativa rispetto al risarcimento per equivalente laddove ciò si configuri come ancora possibile e, solo in seguito all’accertata impossibilità di provvedere in tal senso, accorda la tutela risarcitoria per equivalente.

Anche in punto di funzione attribuita alla responsabilità dell’Amministrazione, essa si può accostare alla funzione compensativa riconosciuta alla responsabilità contrattuale e presidiata dal divieto di arricchimento piuttosto che alla responsabilità extracontrattuale, cui invece nel vigente ordinamento non è assegnato solo il compito di restaurare la sfera patrimoniale del soggetto che ha subito la lesione, ma anche una funzione di deterrenza e sanzionatoria. L’Amministrazione, nel rispondere dei danni arrecati al privato, non può che collocarsi nella prospettiva esclusivamente compensativa: un eventuale esborso aggiuntivo di risorse, non diretto a riparare il nocumento economico recato, potrebbe essere sopportato dalla comunità dei contribuente, non essendo assicurata la traslazione nei confronti dei dipendenti pubblici (essendo la loro responsabilità ancorata alla diminuzione patrimoniale subita dal privato e limitata ai fatti e alle omissioni commessi con dolo o con colpa grave, ferma restando l’operatività del principio riduttivo) e duplicherebbe le tutele già previste dall’ordinamento (dai codici disciplinari, dal sistema penalistico e dalla previsione di una responsabilità amministrativa dei pubblici dipendenti) volte ad esercitare pressione affinché costoro rispettino le regole di condotta, risultando non solo antieconomico ma anche inefficiente, specie considerando che le risorse pubbliche utilizzate per risarcire un danno in funzione punitiva sono contemporaneamente sottratte alla soddisfazione di altri interessi meritevoli di tutela.

Nonostante le formulazioni testuali della disposizione di cui all’art. 2 bis, co 1, della l.n.241/1990, che fa riferimento all’ingiustizia del danno e al dolo o alla colpa dell’inosservanza del termine procedimentale, e della previsione contenuta negli artt. 30 e 133, co 1, lett. a), n. 1) c.p.a. riguardante il risarcimento del danno ingiusto, neanche il dato normativo, sempre in punto di qualificazione della responsabilità, appare dirimente secondo il Collegio. Invero il concetto di danno ingiusto non è proprio solo della responsabilità civile: in entrambi i casi, occorre accertare se vi è stata lesione di un interesse giuridicamente rilevante; questa però – quanto alla responsabilità contrattuale e contrariamente a quanto avviene nella responsabilità aquiliana – non necessita di essere comprovata poiché deriva direttamente dalla mancata esecuzione della prestazione dovuta, la quale concretamente predetermina il canone dell’ingiustizia ai sensi dell’art. 1218 c.c.. Il richiamo invece all’elemento soggettivo dell’inosservanza del termine procedimentale può essere letto come misura del comportamento atteso sul piano oggettivo, non diversamente rispetto all’orientamento che ritiene che la diligenza di cui all’art. 1176 c.c. partecipi a delineare la prestazione dovuta. Né infine può dirsi che il riferimento all’art. 2058 c.c., compiuto dall’art. 30, co 2, c.p.a., imponga di ricondurre la responsabilità all’interno dello schema aquiliano perché il risarcimento in forma specifica è considerato utilizzabile anche nel regime contrattuale, rappresentando una delle possibili modalità di riparazione a un nocumento arrecato. 

Dirimente sul punto sono, secondo il Collegio, le particolarità della situazione giuridica soggettiva di interesse legittimo e del rapporto di diritto pubblico. La responsabilità che grava sull’Amministrazione sorge infatti all’interno di un rapporto obbligatorio già sorto e la cui regolamentazione è già predeterminata mediante regole di condotta al cui rispetto la p.a. è tenuta, previste proprio a tutela della parte privata. Violando le regole dell’azione amministrativa e del provvedimento amministrativo, la parte pubblica ignora norme ben più precise e circostanziate del generico dovere di neminem laedere. Il rapporto che si instaura fra Amministrazione e privato si rivela distante dalla modalità tipica della responsabilità ex art. 2043 c.c., c.d. del passante, emblema del contatto casuale e occasionale, e si connota invece proprio per la sua non episodicità, essendo necessitato dall’infungibilità della prestazione resa dall’Amministrazione (il privato non ha alternative). A differenza infatti del diritto soggettivo, connotato da una corrispondenza fra soggetto portatore dell’interesse e soggetto titolare dei poteri per soddisfarlo, nel rapporto di diritto pubblico gli interessi coinvolti nell’esercizio del potere da parte dell’Amministrazione trovano solo in quest’ultima la possibilità di venire appagati.

Aderendo dunque alla qualificazione in termini contrattuali della responsabilità della p.a. per lesione di interessi legittimi, conclude il Collegio, ne deriva l’applicabilità del canone della prevedibilità del danno (art. 1225 c.c.), che prevede, salvo che in caso di dolo, la risarcibilità del solo danno prevedibile al momento in cui è sorta l’obbligazione. Essendo la sopravvenienza normativa non imputabile all’Amministrazione regionale, questo potrebbe portare a ritenere il danno da essa prodotto “imprevedibile” ai sensi dell’art. 1225 c.c. Se, invece, si ritiene che la sopravvenienza normativa non sia tale da escludere la risarcibilità del danno, ma rilevi in punto di quantificazione dello stesso (1223 c.c.), questa dovrebbe avere un impatto sul rigoroso scrutinio del danno conseguenza. Il ristoro del danno infatti non potrebbe che arrestarsi al verificarsi di tale factum principis, essendosi di fatto il ritardo dell’Amministrazione risolto nel soddisfacimento in massimo grado dell’interesse (nuovo) fatto proprio dal Legislatore (sfociato appunto nella norma primaria preclusiva alla incentivazione). Tale evento dunque sembrerebbe per certi versi assimilabile – nella posizione dell’Amministrazione inadempiente – non solo ad un caso fortuito, ma addirittura, in un’ottica complessiva e di sistema, ad un “caso fortunato”; altrimenti verrebbe tutelata una posizione contrastante con l’interesse primario come determinato dall’assetto di interessi rinnovato dal Legislatore, che sarebbe controproducente, specie in ragione della scarsità delle risorse pubbliche (che quindi verrebbero indirizzate verso un interesse non più attuale a discapito di esigenze attuali). Corretto sarebbe quindi invece, secondo il CGA, distinguere, a tale proposito, fra il danno da mancata percezione dell’incentivo – da liquidare – e il danno da mancata vendita dell’energia – di cui l’Amministrazione non può invece essere chiamata a rispondere. 

FacebooktwitterredditpinterestlinkedintumblrmailFacebooktwitterredditpinterestlinkedintumblrmail