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LABORATORIO PER L’INNOVAZIONE PUBBLICA N. 5/2025

17 giugno 2025

Indice

  1. Effetto ingannatorio e disciplina dell’ambush marketing: il contributo della
    giurisprudenza amministrativa
    a cura di Martina Rossi
  2. Il coordinamento informativo tra le autorità di vigilanza nazionali
    antiriciclaggio ed Amla
    a cura di Veronica Mazzillo
  3. Appalti e formalismi: il principio del risultato cambia la prospettiva a cura di
    Valentina Chieppa
  4. Golden Power e sicurezza economica nella filiera agroalimentare: evoluzione
    normativa e analisi comparata dei casi Syngenta e Cotecna
    a cura di Agnese
    Trani
  5. Imbarco tramite riconoscimento facciale: innovazione e rischi connessi a cura
    di Alessandro Nacci
  6. L’operatività del silenzio-assenso in caso di istanza difforme dalla normativa
    a cura di Riccardo Zinnai
  7. Appalti ed emergenze: le novità del decreto infrastrutture a cura di Michele Sangiovanni

  1. Effetto ingannatorio e disciplina dell’ambush marketing: il contributo della
    giurisprudenza amministrativa
    a cura di Martina Rossi

La sentenza n. 3118/2025 della Sezione VI del Consiglio di Stato rappresenta un importante punto di svolta nell’applicazione della normativa in materia di pubblicità parassitaria, comunemente nota come ambush marketing, introdotta dal decreto-legge 11 marzo 2020, n. 16, convertito con modificazioni nella legge 8 maggio 2020, n. 31. Il provvedimento si inserisce nel contesto dell’attuazione di misure di salvaguardia degli investimenti pubblicitari connessi ai grandi eventi sportivi e di tutela del corretto funzionamento del mercato, consolidando la portata precettiva degli articoli 10 e seguenti del suddetto decreto.

Il caso trae origine dal provvedimento n. 30099/2022, con cui l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) ha irrogato a Zalando SE una sanzione amministrativa pecuniaria pari a 100.000 euro. La condotta sanzionata consisteva nella diffusione, in prossimità del Football Village allestito in Piazza del Popolo a Roma in occasione del campionato europeo di calcio UEFA EURO 2020, di un’affissione pubblicitaria di grandi dimensioni. L’immagine rappresentava una maglietta bianca con il logo Zalando, circondata dalle bandiere delle ventiquattro nazioni partecipanti alla competizione e accompagnata dallo slogan “Chi sarà il vincitore?”. Secondo l’AGCM, tale messaggio pubblicitario era idoneo a creare un collegamento indiretto tra Zalando e l’evento sportivo, suscettibile di indurre in errore il pubblico circa l’identità degli sponsor ufficiali, configurando così una violazione dell’art. 10, comma 2, lett. a), del d.lgs. 16/2020.

Zalando ha impugnato il provvedimento sanzionatorio dinanzi al Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, articolando plurime censure. In particolare, la ricorrente ha denunciato la violazione dell’art. 3 della legge n. 241/1990, lamentando una motivazione carente e apodittica; ha eccepito la carenza istruttoria in ordine alla mancata valutazione della concreta idoneità ingannatoria del messaggio; ha invocato la violazione dei diritti fondamentali, in particolare della libertà di espressione (art. 21 Cost.) e della libertà di iniziativa economica (art. 41 Cost.); infine, ha censurato l’eccessivo importo della sanzione, invocando la novità della disciplina applicata e la natura sperimentale del caso.

Il TAR per il Lazio, con la sentenza n. 13478/2023, ha respinto il ricorso. Il giudice di primo grado ha ritenuto che la normativa oggetto di applicazione non abbia natura consumeristica, bensì persegua finalità di regolazione del mercato, tutelando gli investimenti effettuati dagli sponsor ufficiali. In tal senso, il collegamento indiretto fra la pubblicità e l’evento è stato giudicato sussistente, valorizzando sia la prossimità fisica del messaggio all’area ufficiale UEFA, sia la presenza di elementi grafici evocativi della manifestazione, quali la maglietta calcistica, le bandiere, lo slogan. Il TAR ha inoltre escluso che potesse operare la scriminante fondata sull’assenza di segni distintivi ufficiali, osservando come la fattispecie sanzionatoria si riferisca oltre che a collegamenti diretti anche a collegamenti indiretti, purché suscettibili di generare confusione.

Zalando ha proposto appello avverso tale decisione. In sede di gravame, il Consiglio di Stato ha confermato l’impostazione del giudice di primo grado, ritenendo infondate tutte le doglianze proposte. In particolare, il Collegio ha chiarito che il messaggio pubblicitario, nel suo complesso, era idoneo a creare un effetto di framing, secondo la definizione elaborata dalle scienze cognitive, in grado di influenzare la percezione dell’osservatore medio e di generare un fraintendimento circa la partecipazione di Zalando tra gli sponsor ufficiali. Non vi sarebbe dunque alcun automatismo tra collegamento visivo ed inganno, ma una valutazione puntuale del contesto comunicativo, nel quale si collocano le immagini, il linguaggio e l’ubicazione del messaggio.

La Corte ha escluso che vi fosse stata una lesione della libertà di espressione, osservando come il contenuto promozionale avrebbe potuto essere veicolato in altre modalità, tempi o luoghi, senza generare confusione. In tale prospettiva, è stata ritenuta non pertinente la giurisprudenza della Corte EDU richiamata dall’appellante, in particolare il caso Sekmadienis Ltd. c. Lituania, concernente l’uso di simboli religiosi in pubblicità, in quanto in quel caso la censura riguardava direttamente i contenuti del messaggio, mentre nel caso di specie la repressione si è fondata sul contesto e sull’effetto ingannatorio del messaggio nel suo complesso. La libertà di manifestazione del pensiero, secondo il Consiglio di Stato, non può fungere da esimente quando il contenuto della comunicazione ha carattere decettivo rispetto ai rapporti di sponsorizzazione, specie in un settore, quale quello sportivo, ad alta rilevanza mediatica e contrattuale.

Quanto alla sanzione amministrativa, il Consiglio ha ritenuto che essa fosse proporzionata, in quanto pari al minimo edittale previsto dall’art. 12 del d.lgs. 16/2020. Nel determinare l’importo, l’AGCM ha applicato i criteri di cui all’art. 11 della legge 689/1981, valorizzando in particolare i seguenti elementi: la circoscritta diffusione del messaggio, il carattere innovativo della normativa applicata e la dimensione economica dell’impresa sanzionata. È stata dunque esclusa ogni eccessività o irragionevolezza, anche in considerazione dell’effetto deterrente che la norma intende assicurare.

Questa pronuncia conferma l’effettività della nuova disciplina repressiva dell’ambush marketing, sottolineandone la valenza pubblicistica e il ruolo nel garantire l’equilibrio competitivo tra operatori autorizzati e quelli che non lo sono. Il Consiglio di Stato ha ribadito la centralità del principio di trasparenza, ritenendo che pratiche idonee ad alterare la percezione del pubblico compromettano l’affidabilità dei mercati e la tutela dell’investimento pubblicitario, che costituisce un interesse meritevole di protezione da parte dell’ordinamento.

Infine, la decisione si colloca in una tendenza giurisprudenziale che riconosce la crescente importanza dei meccanismi cognitivi del consumatore nella valutazione della decettività delle pratiche commerciali. Il riferimento esplicito al concetto di framing conferma l’apertura del diritto amministrativo all’influenza delle scienze comportamentali, e rafforza la funzione regolatoria dell’AGCM come garante non solo della concorrenza formale, ma anche dell’equilibrio percettivo e simbolico del mercato.

2. Il coordinamento informativo tra le autorità di vigilanza nazionali
antiriciclaggio ed Amla
a cura di Veronica Mazzillo

Il sistema di vigilanza italiano diretto al contrasto del fenomeno del riciclaggio e del finanziamento del terrorismo si basa sulla cooperazione tra autorità amministrative, organi investigativi e autorità giudiziarie. Lo scorso 19 giugno 2024, con la pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale dell’Unione europea dell’AML Package, (recante il regolamento UE/2024/1624 AMLR, la direttiva UE/2024/1640 AMLD6 e il regolamento UE/2024/1620 AMLAR), è stata istituita una nuova autorità indipendente: l’Anti Money Laundering Authority (AMLA). La neo-autorità, con sede a Francoforte, sarà completamente operativa dal 1° gennaio 2028. Assumerà un ruolo centrale nell’attività di supervisione del sistema di vigilanza sovranazionale in tema AML/CFT (Anti-money Laundering and Countering Terrorism Financing) nonché un ruolo centrale nel Meccanismo di supporto e coordinamento delle FIU (Financial intelligence Unit).  

Sul fronte nazionale, il sistema di vigilanza in tema di contrasto al riciclaggio di denaro e al finanziamento al terrorismo, assegna al Ministro dell’economia e delle finanze un ruolo cruciale. Il MEF agisce quale organo responsabile delle politiche di prevenzione al riciclaggio e coordina la collaborazione tra UIF (Unità di informazione finanziaria), le autorità di vigilanza di settore, gli ordini professionali e le autorità investigative. Il Ministero è responsabile dei rapporti con le istituzioni europee e gli organismi internazionali. Coopera con le omologhe autorità di altri paesi e organismi internazionali di settore, nonché fornisce il proprio parere circa la predisposizione di provvedimenti normativi a livello europeo. Il Ministero dell’economia e delle finanze assume un ruolo attivo nell’attività di regolazione e in quella sanzionatoria. Ha il potere, infatti, di proporre i provvedimenti attuativi previsti dalla normativa comunitaria, art.10 l. 11/2005. Il ministero esercita la potestà sanzionatoria amministrativa, nel caso di violazioni alla normativa antiriciclaggio, art.65 d.lgs. 231/2007. L’UIF, le autorità di vigilanza di settore, la Guardia di finanza e la Direzione investigativa antimafia (DIA), hanno il compito di verificare, in rapporto alle loro attribuzioni, la sussistenza di trasgressioni. Provvedono conseguentemente alla contestazione degli addebiti ai soggetti obbligati, e trasmettono gli atti al MEF, cui compete l’irrogazione della sanzione.  

Presso il Ministero dell’economia e delle finanze è stato istituito con il d.l.369/2001 (convertito in l. 431/2019) il Comitato di Sicurezza Finanziaria (CSF), presieduto dal Direttore generale del Tesoro. Il Comitato è composto da rappresentanti del MEF, dell’Ministero dell’interno, della giustizia, degli affari esteri e dello sviluppo economico, nonché dalla Banca d’Italia, dalla Consob, dall’Ivass, da altre autorità giudiziarie e di vigilanza di settore. Al comitato è attribuita la competenza circa l’applicazione di sanzioni finanziarie di natura amministrativa, declinate in due misure complementari, art.4 d.lgs 109/2007. Da un lato, procede al congelamento di fondi e risorse economiche posseduti dai soggetti obbligati, che non abbiano adempiuto gli obblighi di legge. Il Cominato agisce in corrispondenza delle liste di soggetti sottoposti a tali misure redatte dall’UE e dalle Nazioni Unite. Dall’altro, ha la possibilità di apporre misure di divieto circa lo svolgimento di specifiche operazioni realizzate dai soggetti obbligati, laddove possano direttamente o indirettamente, essere un tentativo di aggirare le misure di congelamento.  Ai sensi del d.lgs. 109/2007, su proposta del CSF, con decreto del MEF, il comitato ha anche il potere di proporre l’adozione di ogni atto necessario per l’attuazione delle misure di congelamento a livello nazionale. Il CSF può quindi promuovere le proposte di designazione dei soggetti da inserire all’interno delle liste redatte dalle autorità sovranazionali. Per lo svolgimento di tali attività, il CSF ricorre ad una “rete di esperti”, per un’attività di supporto. Secondo l’art. 2 del decreto 59/2022 del Ministero dell’Economia e delle finanze, la rete di esperti “svolge attività di analisi, coordinamento e sintesi sulle questioni all’ordine del giorno delle riunioni del Comitato, raccoglie informazioni a supporto dei lavori ed esamina ulteriori argomenti su richiesta dello stesso Comitato”.

In tema di adozione di misure di congelamento e di divieti di messa a disposizione di fondi o altri beni, sono previste specifiche responsabilità anche nei confronti di AMLA. L’autorità europea opererà quale responsabile del coordinamento e funzionamento del sistema di vigilanza antiriciclaggio europeo, e supervisore diretto della corretta attuazione delle sanzioni finanziarie. In capo alle autorità nazionali resterà invariato il dovere di garantire la sorveglianza diretta dei soggetti obbligati non selezionati. AMLA, infatti, verso questi ultimi sarà tenuta a mantenere una supervisione indiretta, in virtù sull’applicazione del principio di sussidiarietà. Quest’ultimo impone all’autorità europea di limitarsi a garantire l’armonizzazione del sistema ed un’efficace cooperazione, garantendo alle autorità nazionali spazio di azione. AMLA si impegnerà dunque alla verifica dei metodi e delle scelte operative adottate delle autorità competenti nei diversi stati membri. Dovrà dunque valutare che tali misure siano coerenti agli obblighi di legge, grazie a verifiche periodiche, e provvedere a adottare le misure ed i poteri necessari, reg. 2024/1620 art.3o.

Sul fronte nazionale, le Autorità di Vigilanza di Settore – ovvero la Banca d’Italia, l’IVASS e la CONSOB – sono preposte all’emanazione della regolamentazione attuativa della legislazione nazionale, nei limiti della rispettiva competenza. La Banca d’Italia, ai sensi dell’art.7 del d.lgs. 231/2007, ha l’onere di adottare provvedimenti che disciplinano i molteplici aspetti della materia del riciclaggio, tra cui l’adeguata verifica della clientela, la conservazione dei dati, l’organizzazione interna, le procedure e i controlli. L’attività della Banca d’Italia, in tema di vigilanza regolamentare, è prescritta inoltre nel contenuto dell’art.53 del TUB. Quest’ultimo prevede che B.I. debba provvedere a disporre provvedimenti a carattere generale in tema di: contenimento del rischio nelle sue diverse configurazioni, organizzazione amministrativa e contabile, controlli interni. La Banca d’Italia sovraintende il puntuale rispetto degli obblighi di legge da parte dei soggetti vigilati e contestualmente esercita i poteri sanzionatori connessi. In tema di contrasto al fenomeno del riciclaggio, la B.I. è legittimata all’applicazione di sanzioni amministrative disciplinari in presenza di violazioni gravi e reiterate. Le misure possono variare con intervalli da 30.000 a 5.000.000 di euro, ovvero pari al 10% del fatturato annuo complessivo, in specifiche circostanze, art 62 d.lgs. 231/2007.

Anche AMLA potrà procedere all’irrogazione di sanzioni nei confronti dei soggetti obbligati selezionati, ovvero di coloro che siano assegnati alla sua diretta supervisione. Le misure a carattere amministrativo, di cui agli art.21 e seguenti del regolamento 2024/1620, garantiscono un ampio spettro di poteri all’autorità, non limitati alla sola sanzione pecuniaria. AMLA potrà infatti formulare delle raccomandazione, degli ordini, esigere modifiche alla struttura di governance, revocare o sospendere l’autorizzazione concessa all’esercizio di specifiche attività. In ogni caso, la disposizione di misure deve porsi in aderenza ad una serie di criteri: la necessità dell’azione sanzionatoria, la proporzionalità, l’efficacia e l’effettiva capacità dissuasoria della misura scelta, sulla base delle circostanze del caso e del soggetto specifico. Nel definire le misure, l’Autorità dovrà anche tener debitamente conto della regolamentazione prudenziale, consultandosi con le autorità responsabili della corretta applicazione del diritto dell’Unione europea, art.22 co.10 regolamento 2024/1620.

Sul fronte delle autorità nazionali, particolarmente importante è l’attività realizzata dalla Direzione Investigativa Antimafia (DIA) e dal Nucleo Speciale di Polizia Valutaria (NSPV). Questi ultimi si occupano delle indagini approfondite sulle segnalazioni di operazioni sospette che ricevono dall’Unità di Informazione Finanziaria (UIF), art.8 e ss. d.lgs. 231/2007. L’UIF, a sua volta, può condividere le proprie analisi con gli organismi di intelligence e sicurezza nazionali in situazioni di particolare rilevanza, avvisando tempestivamente il NSPV e la DIA. Ai sensi dell’art. 9 del d.lgs 231/2007, il NSPV ha anche il compito di verificare che i soggetti obbligati non vigilati rispettino le normative antiriciclaggio. Il Nucleo speciale di polizia valutaria può, inoltre, in accordo con le autorità di vigilanza di settore, condurre controlli su specifiche categorie di soggetti e collaborare con la UIF quando richiesto. Il sistema normativo prevede anche specifiche modalità di comunicazione, mediate dagli Organi investigativi, a favore della Direzione Nazionale Antimafia e Antiterrorismo (DNA). Alla DNA vengono tempestivamente trasmessi i dati dei soggetti segnalati e di quelli ad essi collegati, al fine di verificare la loro eventuale pertinenza con i procedimenti giudiziari in corso, art.8 d.lgs.231/2007. La DNA ha la facoltà di richiedere alla UIF qualsiasi elemento informativo e di analisi rilevante per le proprie attività, sui quali si impegna a fornire un riscontro alla stessa Unità. Queste forme di collaborazione sono dettagliatamente disciplinate da appositi Protocolli d’Intesa, sottoscritti tra la DNA e gli altri soggetti coinvolti. Allo scopo di intensificare l’efficacia e efficienza della collaborazione, l’UIF ha disposto un portale dedicato agli scambi informativi con l’Autorità giudiziarie e gli Organi investigativi. 

Tra le autorità italiane competenti in tema di riciclaggio un ruolo centrale è assegnato all’Unità di Informazione Finanziaria per l’Italia (UIF), collocata presso la Banca d’Italia, in posizione di autonomia e indipendenza. L’UIF assume un ruolo cardine nel sistema di vigilanza non solo a livello domestico, ma anche internazionale. L’Unità ricopre una posizione centrale nel coordinamento del sistema informativo e cooperativo tra le diverse autorità. Ai sensi dell’art.6 d.lgs. 231/2007, in caso di operazioni “sospette”, l’UIF ricevute le informazioni trasmesse da intermediari, professionisti e operatori non finanziari. La valutazione richiede la cooperazione diretta con il Nucleo Speciale di Polizia Valutaria della Guardia di Finanza-NSPV e alla Direzione Investigativa Antimafia-DIA. Nel corso degli accertamenti investigativi finanziari condotti sulle segnalazioni ricevute, l’UIF acquisisce informazioni presso i soggetti obbligati, utilizza i dati racconti, nonché si avvale dello scambio di informazioni con le FIU estere. Lo scopo dell’acquisizione di informazioni non è solo diretto a fini investigativi ma consiste in un’attività di ampliamento del patrimonio informativo. Il fine ultimo è infatti quello di inquadrare i soggetti ed i legami, ripercorrere i flussi finanziari, anche transnazionali, e individuare i casi connotati da maggiore rischio. Oltre all’analisi operativa volta all’accertamento dei singoli casi di sospetto riciclaggio, l’UIF effettua anche un’analisi strategica, art.6 d.lgs. 231/2007. Tale attività è diretta all’inquadramento di vulnerabilità e fenomeni a rischio nel sistema, anche tramite le informazioni derivanti da omologhe autorità in altri stati membri. L’Unità emana istruzioni sui dati e informazioni raccolti dalle segnalazioni di operazioni sospette e al fine di facilitarne l’individuazione. Provvedere alla definizione di indicatori di anomalia e alla diffusione di specifici schemi rappresentativi di comportamenti anomali. L’Unità costituisce il cardine degli scambi informativi nazionali con le autorità internazionali in tema di contrasto al fenomeno del riciclaggio e finanziamento del terrorismo. Essa partecipa infatti attivamente alla rete delle corrispondenti Autorità estere, le Financial Intelligence Unit (FIU), con le quali stipula specifici protocolli d’intesa.

Il regolamento 2024/1620, nella sezione 6, tratta del Meccanismo di sostegno e coordinamento delle FIU. AMLA quale responsabile di un efficiente coordinamento tra le Financial Intelligence Unit, dovrà infatti verificare la correttezza delle attività dalle stesse realizzate, in ossequio al dovere di leale cooperazione. Al meccanismo sono riconosciute funzioni cruciali nel coordinamento tra le autorità in tema di analisi congiunte. Ai sensi dell’art.40 del reg.2024/1620, l’Autorità europea è chiamata a stabilire metodi e criteri per l’inquadramento e la selezione dei casi da sottoporre ad analisi, redigendo annualmente un elenco. La possibilità di provvedere all’avvio di analisi congiunte, richiede che la proposta venga presentata da una o più FIU dei paesi membri. AMLA sarà tenuta a valutare la compatibilità della richiesta con l’ordine di priorità individuato e la sussistenza di specifici presupposti. I criteri che l’autorità dovrà valutare sono: l’elevata complessità del caso, la connessione con altri stati membri e la presenza di analisi parallele da parte di altre FIU sul medesimo caso, art.32 par.3 reg.2024/1620. Le FIU dei diversi stati coinvolti dovranno essere informate ed invitate a partecipare. A seguito dell’accettazione, anche di una sola di esse, AMLA dovrà assicurare che l’analisi congiunta venga effettivamente avviata. Il termine è prescritto non oltre i 20 giorni dalla valutazione iniziale presentata. La proposta circa lo svolgimento di analisi congiunte potrà essere presentata anche direttamente da AMLA alle FIU interessante. L’Autorità europea può infatti aver individuato le operazioni sospette cross-border, che richiedono uno scambio di informazione e coordinamento tra FIU diverse. Previo consenso di tutte le FIU partecipanti, l’Autorità dovrà garantire lo scambio di informazioni al fine di provvedere all’inquadramento di rischi transnazionali. Particolarmente importante è il supporto informativo, tramite lo sviluppo e gestione della rete FIU.net, già in uso per lo scambio di informazioni protette tra le FIU di paesi terzi e altre autorità. AMLA sarà responsabile degli accessi e gestione della piattaforma, avendo la possibilità di provvedere alla sospensione dell’accesso alla piattaforma di specifiche autorità, art.47 reg.2024/1620. Tale possibilità è ammessa ove sussistano concreti presupposti di rischio circa la sicurezza e riservatezza delle informazioni scambiate.

In conclusione, è possibile affermare che uno scambio efficiente di informazioni e una cooperazione attività tra le autorità di supervisione siano i presupposti fondamentali al fine di fronteggiare adeguatamente il fenomeno del riciclaggio di denaro e finanziamento al terrorismo. Nella prospettiva di coniare un’efficace quadro di vigilanza, AMLA sarà chiamata a coordinare la cooperazione attiva tra le Autorità europee. Essa dovrà dunque predisporre le norme tecniche di regolamentazione, di attuazione, gli orientamenti, le raccomandazioni, nonché i protocolli d’intesa. Inoltre, considerata la portata transnazionale del fenomeno del riciclaggio l’Autorità, a norma dell’art 95 del regolamento 2024/1620, potrà infatti stabilire contatti e concludere accordi. Questi potranno definire intese anche con autorità, organizzazioni internazionali e amministrazioni di stati terzi competenti in materia di regolamentazione, vigilanza e cooperazione in tema AML/CFT.  Il quadro generale del sistema di vigilanza in tema di AML/CFT sembra dunque dirsi pronto seppur la sua completa attuazione sia tutt’ora in divenire. Probabilmente, nella prospettiva di garantire un sistema di vigilanza europeo maggiormente armonico, la scelta del legislatore europeo di introdurre una nuova autorità, che coordini il sistema, potrà dirsi vincente.

3. Appalti e formalismi: il principio del risultato cambia la prospettiva a cura di
Valentina Chieppa

Nel delicato equilibrio tra rigore formale e logica del risultato, il diritto amministrativo si trova oggi sempre più orientato verso un approccio sostanzialistico tendente a sminuire la rilevanza dei meri errori formali.

Un chiaro segnale in questa direzione arriva dalla sentenza del Consiglio di Stato n. 1620 del 25 febbraio 2025. Con tale sentenza è stato affermato che l’eventuale presenza di vizi formali in un’offerta non è, di per sé, causa di esclusione automatica dalla gara. Infatti, nel caso in questione il Consiglio di Stato ha confermato l’aggiudicazione di una gara d’appalto a favore di un raggruppamento temporaneo di imprese (RTI), nonostante la società mandante non avesse sottoscritto l’offerta tecnica.

Nello specifico, una centrale unica di committenza tra più comuni ha aggiudicato una gara per l’affidamento di lavori per interventi di adeguamento di edifici scolastici al costituendo RTI Devi s.r.l. – Falbo s.r.l..

La gara è stata aggiudicata nonostante alcune irregolarità formali, quali la mancata registrazione alla gara come RTI (l’aggiudicataria si era registrata come operatore singolo) e l’assenza della firma della mandante sull’offerta tecnica.

L’ATI De Marco Costruzioni ha impugnato l’aggiudicazione, sostenendo che l’offerta tecnica non era stata sottoscritta, né in alcun modo risultava riferibile alla mandante Falbo s.r.l., mentre l’offerta economica, sebbene firmata dalla Falbo s.r.l., era intestata esclusivamente alla Devi s.r.l.

Il TAR Calabria ha respinto il ricorso, ritenendo che tali vizi non fossero tali da compromettere la validità della partecipazione.

Il Consiglio di Stato ha confermato questa decisione, valorizzando la chiara volontà delle imprese di partecipare congiuntamente e la concreta riferibilità dell’offerta al raggruppamento.

E’ stato valorizzato il fatto che gran parte dei documenti di gara (tra cui, la domanda di partecipazione, il D.G.U.E., l’impegno a costituire l’ATI, la dichiarazione di sopralluogo e la polizza fideiussoria) affermavano chiaramente che la Devi s.r.l. partecipava alla gara quale mandataria nel costituendo raggruppamento con la Falbo s.r.l..

Non vi era, quindi, alcun dubbio sulla volontà dell’impresa di partecipare come raggruppamento e non come impresa singola.

Tali evidenze hanno portato ad escludere la rilevanza dei due menzionati errori senza neanche la necessità di ricorrere all’istituto del soccorso istruttorio.

Nel farlo, il Consiglio ha applicato una lettura sostanzialistica della lex specialis, intendendo che le regole di gara non devono essere interpretate in modo rigido e formalistico, ma piuttosto valutando la sostanza degli atti e dei comportamenti concretamente tenuti dagli operatori economici.

Nonostante la pluralità di anomalie evidenziate, i giudici non hanno ravvisato gli estremi per un’esclusione, qualificando dette anomalie come irregolarità formali. La motivazione poggia su un principio chiave del nuovo Codice dei contratti pubblici (D.Lgs. n. 36/2023): il principio del risultato (art. 1), che impone alla pubblica amministrazione di orientare le proprie decisioni verso il concreto conseguimento dell’interesse pubblico, evitando rigidità procedurali che possano compromettere l’efficienza della gara.

In tale prospettiva, anche la Sezione V del Consiglio di Stato ha valorizzato la capacità dell’offerta di essere comunque imputabile al soggetto proponente e ha ritenuto che il rispetto sostanziale delle regole, pur in presenza di irregolarità formali, potesse prevalere sul formalismo. Dunque ciò che si evince è che un errore formale, se non compromette la trasparenza, la concorrenza o la serietà dell’offerta, non può giustificare l’esclusione di un operatore economico.

Ciò che rende particolarmente significativa la pronuncia è il fatto che le conclusioni raggiunte dai giudici si fondano proprio sul principio del risultato, che rappresenta l’asse portante del ragionamento logico seguito nella motivazione.

Tale principio non si limita a promuovere l’efficienza della PA, ma richiede di assicurare il raggiungimento dell’obiettivo finale. Quest’ultimo, nella fase di affidamento è costituito dalla stipulazione del contratto nel modo più rapido e corretto, e nella fase di esecuzionedallarealizzazione dell’intervento pubblico nei tempi programmati e in modo tecnicamente perfetto.

La logica è chiara: le procedure di gara sono uno mero strumento per selezionare l’operatore economico più idoneo all’aggiudicazione dell’appalto. Esse non rappresentano il fine ultimo della disciplina dei contratti pubblici. Di conseguenza, eventuali irregolarità devono essere valutate in concreto, verificando se incidono realmente sull’equilibrio competitivo o sul corretto svolgimento della gara.

Pertanto, in presenza di un “contrasto tra il dato formale del pedissequo rispetto del disciplinare di gara e il dato sostanziale della sussistenza dei requisiti in capo all’aggiudicataria, occorre privilegiare il dato sostanziale, ossia il risultato utile, perseguito dalla stazione appaltante di avere selezionato l’operatore economico ritenuto più idoneo all’esecuzione dell’appalto”.

Anche se la gara risultava disciplinata dal “vecchio” codice (d.lgs. 50/2016), il Consiglio di Stato ha comunque ritenuto di applicare il principio del risultato disciplinato dal d.lgs. n. 36 del 2023. Quest’ultimo è infatti considerato come un criterio guida trasversale e fondamentale per valutare la legittimità delle procedure di gara, rendendolo dunque un principio immanente al settore della contrattualistica pubblica.

Una delle considerazioni più interessanti sul principio del risultato riguarda il suo rapporto con il principio di legalità amministrativa. La legalità amministrativa è stata spesso interpretata come mera legittimità formale degli atti. Ciò implica, nell’interpretazione più rigida, l’osservanza pedissequa del contenuto delle norme giuridiche, a prescindere dalla logica e dagli obiettivi del testo normativo. Pur essenziale per garantire l’imparzialità e la trasparenza delle procedure, questa concezione ha spesso irrigidito l’azione amministrativa, producendo palesi effetti irrazionali o comunque insoddisfacenti. La logica di fondo dell’art. 1 del D.Lgs. n. 36/2023 è, invece, diversa: nei contratti pubblici la mera violazione delle forme giuridiche non determina di per sé l’invalidità degli atti se non accompagnata da un concreto effetto sulla qualità dell’offerta e sulla par condicio dei partecipanti delle gare.

In questa prospettiva, il principio di legalità non è abbandonato né pretermesso, ma diventa funzionale a perseguire i principali scopi della normativa: selezionare il miglior offerente, concludere la gara in tempi certi, avviare ed eseguire il contratto in modo efficiente. Ne deriva una sorta di “legalità finalistica”, in cui le regole, specie quelle formali, sono appunto strumentali al raggiungimento del risultato.

Lo stesso principio del risultato costituisce criterio prioritario per l’esercizio della discrezionalità amministrativa, al fine di garantire l’efficienza, l’efficacia e l’economicità dell’azione amministrativa (principi già contenuti nell’art. 1 della legge n. 241 del 1990 e ora attuati nel settore dei contratti pubblici dal principio del risultato).

Ciò determinerà una trasformazione paradigmatica anche per il giudice amministrativo, che dovrà valutare sia la legittimità “formale” di un atto amministrativo, sia la sua coerenza con il fine ultimo perseguito dal procedimento e con il risultato da raggiungere, che diventa quindi esso stesso parametro di legittimità degli atti amministrativi.

4. Golden Power e sicurezza economica nella filiera agroalimentare: evoluzione
normativa e analisi comparata dei casi Syngenta e Cotecna
a cura di Agnese
Trani

Introdotto nell’ordinamento italiano con il decreto-legge 15 marzo 2012, n. 21, l’istituto del Golden Power si configura come uno strumento di salvaguardia degli interessi nazionali rispetto a operazioni che coinvolgano assets strategici. Originariamente applicabile a settori considerati sensibili – quali difesa, energia e comunicazioni – il perimetro della disciplina è stato progressivamente ampliato, anche in risposta ai mutamenti del contesto geopolitico e all’evoluzione dei rischi sistemici.

Attualmente il meccanismo trova applicazione anche in ambiti ulteriori, quali il settore finanziario, creditizio e assicurativo, le infrastrutture digitali, la sanità, l’intelligenza artificiale e, più recentemente, il comparto agroalimentare. 

L’inclusione del settore agroalimentare tra quelli di rilevanza strategica è il risultato di un processo di progressiva espansione normativa, articolato su più livelli. In seguito all’emergenza pandemica da Covid-19, il decreto-legge 8 aprile 2020, n. 23 (cd. “Decreto Liquidità”) ha significativamente ampliato l’ambito applicativo del Golden Power, estendendo l’obbligo di notifica preventiva e i poteri speciali del governo anche a operazioni intra-UE e a partecipazioni di minoranza. Tale ampliamento si è posto in linea con l’articolo 4 del Regolamento (UE) 2019/452, che individua, tra i criteri per la valutazione degli investimenti esteri diretti, anche la sicurezza dell’approvvigionamento alimentare, sottolineando così la stretta interrelazione tra sicurezza nazionale e resilienza delle filiere produttive essenziali.

Sulla scorta di questo impianto, il d.P.C.M. 6 agosto 2020, n. 179 ha dato attuazione interna alla normativa europea, includendo espressamente tra i settori sensibili anche le attività agroalimentari connesse alla gestione di know-how, tecnologie biologiche e sistemi di certificazione, con un focus particolare sui fattori produttivi critici della filiera.

Ulteriore tappa significativa risulta essere il decreto-legge 21 marzo 2022, n. 21 (cd. “Decreto Ucraina”). In un contesto di crescente instabilità geopolitica e di competizione su scala globale per il controllo delle catene del valore strategiche, l’art. 30 del decreto ha rafforzato in modo sostanziale l’architettura dei poteri speciali, ampliandone sia il perimetro soggettivo che oggettivo. Tra le novità più rilevanti figura l’inclusione esplicita del settore agroalimentare, già valorizzato nei precedenti interventi, ora formalmente inserito nel nucleo dei comparti meritevoli di tutela rafforzata.

A conferma del passaggio da un modello reattivo a uno strutturalmente preventivo, il legislatore ha previsto la possibilità per il governo di attivare la procedura anche in assenza di notifica da parte dell’impresa interessata, qualora l’operazione risulti idonea a ledere interessi fondamentali dello Stato.

Il decreto-legge 31 maggio 2021, n. 77 (cd. “Decreto Semplificazioni”) ha ulteriormente razionalizzato le procedure amministrative e rafforzato il coordinamento tra le amministrazioni competenti. Successivamente, il d.l. 2 marzo 2024, n. 19 ha consolidato il quadro regolatorio, formalizzando prassi applicative e intensificando i presidi di monitoraggio, con un’attenzione specifica ai settori agroalimentare e sanitario.

Tali interventi normativi concorrono a definire il Golden Power non più come misura emergenziale, ma come strumento ordinario di governo economico, in grado di garantire una protezione stabile e lungimirante dei settori essenziali in un sistema produttivo interconnesso.

La disciplina del Golden Power relativa al comparto agroalimentare è stata applicata in due casi specifici di cui appare opportuna la trattazione. Il primo è il noto leading case Syngenta-Verisem del 2021; il secondo ha ad oggetto un recente esercizio dei poteri speciali ad opera del Governo in occasione di un’operazione di acquisizione promossa da un soggetto francese nel settore dell’agricoltura biologica. La rilevanza dei casi conferma l’importanza strategica attribuita a tale ambito produttivo.

Alla fine del marzo di quest’anno, infatti, la società Cotecna Inspection SA, operatore internazionale con sede legale in Svizzera e riconducibile a un gruppo francese, ha notificato, ai sensi del d.l. n. 21/2012, l’intenzione di acquisire Suolo e Salute S.r.l., principale organismo italiano di controllo e certificazione nel settore del biologico italiano. L’operazione è stata oggetto di attento esame da parte della Presidenza del Consiglio dei ministri e del Ministero dell’Agricoltura, della Sovranità Alimentare e delle Foreste (Masaf), alla luce del rilievo strategico dell’ente target, della sua capillare presenza sul territorio nazionale e della funzione essenziale di certificazione e verifica della conformità ai regolamenti europei e nazionali in materia di produzione biologica.

L’autorizzazione governativa è stata concessa con l’imposizione di prescrizioni vincolanti, finalizzate a preservare l’assetto funzionale e territoriale dell’operatore oggetto di acquisizione. In particolare, sono stati previsti: il mantenimento della sede operativa in Italia, la designazione di un amministratore indipendente con compiti di controllo e l’adozione di obblighi informativi periodici nei confronti del Masaf. Le condizioni apposte mirano a prevenire possibili effetti distorsivi derivanti dal trasferimento del controllo a un soggetto estero, quali la modifica degli standard certificativi o l’alterazione degli equilibri di filiera, con potenziali ricadute sul comparto agricolo nazionale.

La decisione del Governo si inserisce in un approccio sempre più improntato alla proporzionalità, che privilegia l’adozione di misure di salvaguardia mirate piuttosto che il ricorso a strumenti di blocco. In questo caso, infatti, l’esecutivo ha scelto di autorizzare l’operazione imponendo condizioni specifiche, ritenute sufficienti a proteggere gli interessi strategici nazionali. Tale modello di intervento riflette l’evoluzione dell’uso del Golden Power, oggi sempre più orientato a trovare un

 tra la necessità di attrarre investimenti esteri e l’esigenza di tutelare assets sensibili per la sicurezza economica e produttiva del Paese.

L’impiego di strumenti interdittivi è, invece, principio ispiratore nel leading case Syngenta-Verisem, primo e storico caso applicativo della disciplina dei poteri speciali nel settore agroalimentare. Ripercorrerne sinteticamente gli elementi essenziali consente di comprendere l’evoluzione dell’istituto, soprattutto se confrontato con l’intervento più recente nel caso Cotecna, maturato in un contesto ristretto allo spazio politico e giuridico occidentale. L’analisi comparata può evidenziare come la medesima cornice normativa possa dar luogo a modelli di intervento differenti, plasmati in base alla natura dell’operazione, all’identità dell’acquirente e al livello di rischio associato agli assets coinvolti.

Nell’ottobre del 2021 la società Syngenta – controllata dalla holding statale cinese ChemChina – ha notificato l’intenzione di acquisire il Gruppo Verisem, operante nel settore della produzione e commercializzazione di sementi. Il Governo, esercitando il potere previsto dall’art. 2 del d.l. n. 21/2012, ha posto veto sull’operazione, ravvisando un concreto rischio di perdita di controllo su tecnologie agronomiche avanzate, know-how riservato e dati sensibili connessi alla meccanizzazione agricola.

Secondo la Presidenza del Consiglio, le attività svolte dalle società target ricadevano pienamente nel perimetro degli asset strategici delineato dagli articoli 6, 9 e 11 del d.P.C.M. 6 agosto 2020, n. 179, confermando l’inquadramento del comparto agroalimentare tra quelli meritevoli di tutela rafforzata sotto il profilo della sicurezza economica nazionale.

Syngenta ha impugnato il provvedimento, deducendo l’assenza di motivazione, la violazione del principio di proporzionalità e l’errata qualificazione delle attività di Verisem come strategiche. Il TAR Lazio, con sentenza n. 4488/2022, ha respinto il ricorso, precisando che la notifica prevista dal d.l. n. 21/2012 non integra una richiesta in senso tecnico-amministrativo, bensì un adempimento dovuto. Il giudice amministrativo ha inoltre ribadito che l’esercizio dei poteri speciali è sindacabile nei soli casi di “sussistenza di una manifesta illogicità delle decisioni assunte” trattandosi di atti di alta amministrazione. Il vaglio del TAR valuta, oltretutto, con favore la decisione del Governo, in quanto coerente con l’esigenza di tutelare settori ad alta intensità tecnologica e strategica per l’interesse nazionale.

Il Consiglio di Stato, con sentenza n. 289/2023, ha confermato integralmente l’impostazione del giudice di primo grado, evidenziando come, in presenza di un acquirente riconducibile a un governo extra-UE, l’adozione di misure alternative al veto non offrirebbe garanzie sufficienti sotto il profilo dell’effettività del controllo pubblico. 

Tale caso evidenzia un impiego più incisivo e restrittivo dei poteri speciali, fondato sulla percezione di un rischio sistemico elevato in un contesto geopolitico segnato da forti tensioni internazionali. A differenza del successivo caso Cotecna, in cui l’esecutivo ha adottato un approccio proporzionato e non interdittivo, nel 2021 il Governo ha esercitato il potere di veto, bloccando integralmente l’operazione. Tale decisione si è fondata sulla combinazione tra la natura dell’acquirente – una società riconducibile a una holding statale extra-UE – e il contenuto tecnologicamente avanzato delle attività oggetto di acquisizione, ritenute altamente strategiche per la sovranità agroindustriale nazionale e per la sicurezza alimentare.

La discontinuità tra i due casi conferma l’evoluzione dell’uso del Golden Power verso un modello applicativo flessibile, che consente di modulare l’intensità dell’intervento pubblico in base al livello di rischio associato all’operazione. Se nel caso Cotecna l’equilibrio tra attrattività degli investimenti e salvaguardia dell’interesse nazionale è stato perseguito mediante interventi preventivi, nel caso Syngenta l’assenza di alternative efficaci ha giustificato il ricorso al veto. Tale confronto evidenzia la crescente sofisticazione dello strumento, la cui efficacia dipende dalla capacità dell’amministrazione di adattare la risposta istituzionale al contesto operativo, tecnologico e geopolitico dell’operazione.

L’analisi comparatistica consente di trarre indicazioni sistematiche. In primo luogo,

l’operatore economico coinvolto è centrale nella valutazione del rischio: la differente reazione istituzionale tra un’acquisizione da parte di un attore statale cinese e una società svizzera riconducibile a capitali francesi evidenzia la rilevanza del profilo geopolitico. In secondo luogo, la diversa natura funzionale dell’asset oggetto di acquisizione ha inciso sulla forma dell’intervento: la produzione di sementi e tecnologie agricole ad alta intensità di know-how richiede maggiori cautele rispetto all’ambito relativo alla certificazione biologica.

Il quadro nazionale si colloca in un contesto normativo europeo segnato dalla tutela della libertà di stabilimento (art. 49 TFUE) e della libera circolazione dei capitali (art. 63 TFUE), con particolare rilievo ai flussi provenienti da Paesi terzi. L’intervento statale è ammesso solo in presenza di ragioni imperative di ordine pubblico o sicurezza nazionale, purché conforme ai principi di proporzionalità e necessità. Il Regolamento (UE) 2019/452, pur riconoscendo la legittimità dei meccanismi di screening, impone che le misure siano adeguatamente motivate, temporanee e commisurate al rischio effettivo. In tale prospettiva, l’esito del caso Cotecna-Suolo e Salute appare maggiormente in linea con le esigenze di compatibilità con l’ordinamento dell’Unione europea, mentre il veto nel caso Syngenta-Verisem, pur ritenuto legittimo, rappresenta un’ipotesi limite, giustificabile solo in presenza di una minaccia concreta e dell’impraticabilità di soluzioni meno restrittive.

Una questione centrale riguarda l’ampiezza della discrezionalità amministrativa nell’esercizio dei poteri speciali. L’assenza di criteri normativi compiutamente tipizzati può generare incertezza applicativa, con effetti potenzialmente distorsivi sull’equilibrio tra intervento pubblico e libertà economica.

Alla luce delle esperienze esaminate, sarà il contenzioso giurisprudenziale, o eventualmente un intervento legislativo, a chiarire se l’attuale configurazione del Golden Power sia idonea a garantire un bilanciamento effettivo tra apertura del mercato e tutela dell’interesse nazionale, nel rispetto del principio di proporzionalità e dei vincoli dell’ordinamento dell’Unione europea.

5. Imbarco tramite riconoscimento facciale: innovazione e rischi connessi a cura
di Alessandro Nacci

Il 7 maggio del 2024 è entrato ufficialmente in funzione, presso l’aeroporto di Milano Linate, il sistema di riconoscimento facciale per l’accesso alle porte d’imbarco. Noto anche come face boarding, il sistema permette ad utenti registrati di procedere al controllo della propria carta d’imbarco presso la porta d’imbarco dell’aeromobile senza dover presentare il titolo di viaggio, ma semplicemente attraverso una veloce scansione del viso.

La tecnologia del riconoscimento facciale vede le sue prime applicazioni in ambito aeroportuale in Australia e negli Stati Uniti, per poi diventare uno strumento imprescindibile e utilizzato a pieno regime in Cina a partire dal 2018. In Italia fa la sua prima comparsa nel 2020 sempre all’aeroporto milanese, ma viene riservato ai soli voli Alitalia in partenza dai pochissimi gate dotati di finger, vale a dire la passerella mobile e coperta che collega il terminal dell’aeroporto direttamente alla porta dell’aeromobile parcheggiato nei suoi pressi, permettendo in questo modo ai passeggeri di sbarcare ed imbarcarsi senza dover uscire all’esterno ed evitando l’utilizzo di ulteriori mezzi di trasporto aeroportuale come autobus o navette. Lo strumento è stato tuttavia messo da parte anche a seguito dello scoppiare della pandemia da Covid-19 e ha fatto la sua ricomparsa ufficiale, dopo un periodo di sperimentazione, solo lo scorso anno.

Nella sua configurazione attuale presso lo scalo meneghino, il sistema permette all’utente di registrarsi presso dei chioschi dedicati e situati all’ingresso dell’aeroporto, consentendogli poi di dirigersi verso i controlli di sicurezza e successivamente presso la porta d’imbarco senza che gli sia richiesto mostrare il biglietto aereo e il documento di identità. A differenza, perciò, di altri sistemi attualmente in uso in altri aeroporti del mondo, il sistema non è confinato alla sostituzione della carta d’imbarco ma anche al documento d’identità, la cui verifica, anche nell’ambito dello spazio Schengen, è sempre necessaria e richiesta per la corretta identificazione del passeggero viaggiante.

Il nuovo sistema è stato messo in funzione grazie alla collaborazione tra la Polizia di Stato, l’ENAC e SEA, la società che gestisce gli aeroporti milanesi, e prevede come base giuridica posta a suo fondamento il consenso dell’interessato. Si tratta infatti di un sistema non obbligatorio e che i viaggiatori possono scegliere di utilizzare solamente qualora lo desiderino, registrandosi presso gli appositi chioschi in corrispondenza dell’entrata dell’aeroporto. I dati raccolti, si legge nell’informativa privacy messa a disposizione da SEA, vengono mantenuti nel sistema per un periodo di tempo totalmente dipendente dalla scelta del passeggero. È infatti possibile scegliere tra registrarsi per un solo volo, nel cui caso i dati biometrici e relativi alla carta d’imbarco verranno conservati solamente per 24 ore, o registrarsi per il programma a lungo termine e in questo caso i dati biometrici verranno conservati fino al 31 dicembre dell’anno d’iscrizione, mentre i dati della carta d’imbarco saranno sempre conservati solamente per 24 ore.

Il concetto di dati biometrici è ricavabile dall’art. 4 del GDPR e per tali, stando a questa definizione, si intendono i dati personali ottenuti da un trattamento tecnico specifico, relativi alle caratteristiche fisiche, fisiologiche o comportamentali di una persona fisica, che ne consentono o confermano l’identificazione univoca». Nel caso del face boarding ci si riferisce unicamente ai tratti caratteristici del volto che rendono una persona riconoscibile e differenziabile rispetto alle altre. Secondo i principi di privacy by design, i dati dovrebbero essere raccolti e conservati secondo criteri di minimizzazione e di limitazione della relativa conversazione, al fine di assicurare anche un minor rischio in caso di data breach, di cui per ora non si registrano ancora casi in questa particolare applicazione in uso presso l’aeroporto di Linate.

Già da questa breve descrizione si coglie perfettamente la principale differenza che nel 2021 aveva invece portato il Garante privacy a esprimere un parere negativo sull’utilizzo della tecnologia Sari real time da parte della Polizia di Stato. La tecnologia in oggetto rappresentava infatti un’interferenza particolarmente rilevante in quanto prevedeva un controllo generalizzato e di massa di utenti che non avrebbero prestato alcun consenso e proprio questo ha indotto il Garante ad esprimersi negativamente, non ricorrendo la solida base giuridica del consenso dell’interessato del trattamento.

È poi dello scorso aprile la notizia per cui l’ICAO – International Civil Aviation Organization – avrebbe chiesto ai vari paesi parti della Convenzione di Chicago – tra i quali rientra certamente anche l’Italia – di rivedere in toto i procedimenti adottati negli aeroporti per le procedure di imbarco. In particolare, l’ICAO suggerisce l’adozione di nuovi sistemi di riconoscimento biometrico che sarebbero parti di un ambizioso piano dell’Organizzazione per portare all’entrata in funzione di questi sistemi nel maggior numero di paesi possibili entro il 2028. Il sistema a cui starebbe lavorando l’ICAO comporterebbe addirittura una sostituzione delle tradizionali carte di imbarco con una sorta di credenziali di viaggio che sarebbero utilizzabili dal passeggero come sotto forma di abbonamento, associando i propri dati personali e biometrici direttamente al proprio cellulare e superando così la necessità di stampare o scaricare sempre sui propri dispositivi la carta d’imbarco di volta in volta. A ben vedere si tratta di un meccanismo già in vigore, in una declinazione leggermente diversa, nella Repubblica Popolare Cinese, dove infatti le informazioni di viaggio vengono associate direttamente al documento d’identità del passeggero – inserito in fase di prenotazione del viaggio – così che questo possa superare controlli di sicurezza e porta d’imbarco senza l’ausilio di alcun titolo di viaggio separato dal proprio documento di identità.

L’utilizzo di questi sistemi, se da un lato rappresenta un’importante frontiera di sviluppo tecnologico per il miglioramento delle condizioni di viaggio dei passeggeri e per l’efficientamento delle operazioni di sicurezza e di imbarco, d’altro canto reca con sé tutta una serie di interrogativi circa i potenziali rischi cui gli utenti risultano esposti dall’utilizzo di simili tecnologie.

Il Comitato europeo per la protezione dei dati (EDPB) si è espresso sulla questione con un’opinione rilasciata nel maggio del 2024, sottolineando, a seguito del riscontrato sempre più frequente utilizzo di sistemi di riconoscimento facciale negli aeroporti, i rischi che questa tecnologia porta con sé. Il Comitato ha infatti affermato che i dati biometrici utilizzati da tali sistemi risultano particolarmente sensibili anche perché non è del tutto escluso che questi possano portare a falsi negativi, bias e discriminazioni. L’abuso di questi dati può inoltre comportare una grave lesione dei diritti degli interessati, esponendoli a furti d’identità, frodi o altri comportamenti fraudolenti. Il Comitato conclude infine invitando i gestori aeroportuali e le compagnie aeree ad optare per sistemi meno intrusivi e rischiosi per i diritti dei passeggeri ogni volta che questo sia possibile, suggerendo che i passeggeri dovrebbero avere sempre il massimo controllo sui propri dati biometrici. Nel suo parere, l’EDPB ha fatto riferimento alla conformità dell’utilizzo di questi sistemi con il Regolamento generale sulla protezione dei dati n. 2016/679 (GDPR) e ha osservato come, a prescindere dal tipo specifico di tecnologia e modalità di conservazione utilizzati, il principio generale di cui deve sempre esigersi il rispetto è quello per cui i dati trattati devono necessariamente ed esclusivamente riferirsi a passeggeri iscritti volontariamente e attivamente al programma nello specifico. È chiaro il rinvio al consenso dell’interessato, probabilmente visto quanto dall’EDPB, tanto poi da SEA, come l’unica base giuridica attualmente in grado di offrire un’adeguata copertura giuridica e normativa all’utilizzo della tecnologia. Sulla tecnologia di conservazione dei dati si osserva poi che le uniche soluzioni che potrebbero risultare compatibili con i principi di integrità e riservatezza dei dati (art. 5 GDPR) sarebbero quelle per cui la conservazione avvenga a cura dell’interessato stesso oppure in una banca dati centrale ma in maniera cifrata e accessibile tramite chiave di cifratura detenuta solamente dall’interessato. Queste due soluzioni, per quanto non sempre le più agevoli sono da considerarsi le uniche in grado di consentire un corretto ed equo bilanciamento tra esigenze organizzative e di efficientamento dei processi e il massimo controllo dei dati che deve essere garantito ai soggetti interessati dal trattamento.

6. L’operatività del silenzio-assenso in caso di istanza difforme dalla normativa
a cura di Riccardo Zinnai

Il Consiglio di Stato (Sezione VII), con la sentenza del 9 aprile 2025, n. 3051 (Pres. Chieppa, Est. Noccelli), si è pronunciato sull’operatività dell’istituto del silenzio-assenso qualora l’istanza presentata dal privato sia veritiera ma difforme dalla normativa sostanziale di riferimento.

Nel caso in esame, l’appellante era proprietario di un’area nel Comune di Arzano sulla quale venivano realizzati, entro il febbraio del 2000, trentadue box auto. Per ognuno di tali box, nel dicembre 2004 veniva presentata al Comune un’apposita istanza di condono edilizio, ai sensi della legge n. 326/2003, nella quale i box venivano qualificati come pertinenze di unità residenziali. L’appellante provvedeva poi al pagamento dell’oblazione e degli oneri concessori, trasmettendo nel 2006 le visure catastali aggiornate.

Dopo diverso tempo, ovvero all’inizio del 2008, il Comune di Arzano richiedeva all’appellante un’integrazione documentale, a cui quest’ultimo provvedeva nello stesso mese. Successivamente, nel mese di febbraio 2008, l’appellante provvedeva anche a trasmettere una perizia giurata sullo stato e sulla dimensione delle opere ed i relativi certificati di idoneità statica. Nel mese di ottobre dello stesso anno, il Comune richiedeva l’integrazione documentale relativa alla liquidazione degli importi valutati come ancora dovuti a titolo di oblazione e oneri concessori. Tale richiesta veniva evasa dal privato nel gennaio 2009.

Dopo oltre otto anni, il Comune di Arzano adottava, in data 29/05/2017, trentadue distinti provvedimenti di diniego delle istanze di condono originariamente presentate, uno per ciascun box.

L’Amministrazione comunale riteneva che il silenzio-assenso non si fosse perfezionato a causa dell’asserita carenza della documentazione allegata. Inoltre, riteneva che le istanze di condono fossero relative alla nuova costruzione di opere ad uso non residenziale e pertanto escluse dall’ambito di operatività del condono, ai sensi dell’art. 32, comma 5 della legge n. 326/2003. Avverso tali provvedimenti veniva proposto ricorso al TAR Campania, sede di Napoli, che però lo respingeva. Il giudice di primo grado riteneva che il silenzio-assenso non potesse formarsi in assenza del requisito – ritenuto indefettibile – della destinazione residenziale dei manufatti. Pertanto, avverso tale sentenza veniva proposto appello innanzi al Consiglio di Stato.

Con la sentenza ora esaminata, il Collegio ha ritenuto fondato l’appello proposto dal comproprietario dei beni immobili. Nel proprio atto d’appello, il privato sosteneva che fosse errata la tesi per la quale il silenzio-assenzio si formerebbe solo qualora le domande siano conformi al modello legale. Infatti, ciò si porrebbe in contrasto con gli obiettivi di semplificazione perseguiti dal legislatore mediante l’istituzione del meccanismo del silenzio-assenso che fa sì che l’Amministrazione sia privata del potere primario di provvedere una volta decorso il termine procedimentale, rimanendo solo la possibilità dell’intervento in autotutela.

Ad avviso della Sezione, i box oggetto dell’istanza di condono non potrebbero effettivamente considerarsi come costruzioni aventi natura residenziale e, pertanto, non possono rientrare nell’ambito di operatività del condono. Si è ribadito che la disciplina condonistica è da considerarsi come eccezionale e, pertanto, di stretta interpretazione e quindi insuscettibile di applicazione estensiva.

Ciò nonostante, l’appello è stato ritenuto fondato sul profilo relativo al silenzio-assenso da ritenersi operante anche qualora l’istanza non rientri a pieno nello schema legale. Infatti, il silenzio-assenso è, per volontà del legislatore, equivalente al provvedimento di accoglimento e, conseguentemente, il titolo abilitativo può perfezionarsi anche in caso di domanda difforme dalla disciplina legislativa.

La tesi contraria, fatta propria del TAR Campania, avrebbe la conseguenza di sottrarre i titoli formatisi mediante l’operare del silenzio-assenso alla disciplina dell’annullabilità. Inoltre, richiedere per il formarsi del silenzio-assenso la conformità della domanda al modello legale finirebbe per vanificare completamente le finalità di semplificazione perseguite dall’istituto in esame.

Il legislatore ha voluto rendere più spediti i rapporti tra i cittadini e l’Amministrazione, in capo alla quale permane la titolarità del potere di controllo ma da esercitarsi entro il termine procedimentale stabilito, decorso il quale diviene possibile solo l’esercizio dell’autotutela.

Pertanto, essendosi formato il titolo abilitativo per effetto del silenzio, il Comune non poteva adottare i provvedimenti di diniego del condono a distanza di oltre un decennio dalla presentazione delle relative istanze. Inoltre, le istanze andavano considerate come complete, anche tenendo conto della documentazione integrativa prodotta dal privato. La Sezione ha pertanto ritenuta infondata in punto di fatto l’affermazione meramente apodittica, fatta all’interno del provvedimento di diniego, sull’incompletezza delle domande presentate.

Rimaneva preclusa, sempre per effetto del decorso di tale lungo arco temporale, anche la possibilità di agire in autotutela.

Il Collegio ha ritenuto che il comportamento del Comune fosse anche lesivo dei princìpi di collaborazione e buona fede consacrati nell’art. 1, comma 2-bis, della legge n. 241/1990 (introdotto con il decreto-legge n. 76/2020) ma espressione di un preesistente principio generale. Avendo richiesto il pagamento dell’oblazione e dei canoni concessori senza eccepire altro, il Comune aveva lasciato intendere al privato che la documentazione relativa al condono fosse ormai da ritenersi completa.

Per le ragioni sopraesposte, il Consiglio di Stato, pertanto, in riforma della sentenza di primo grado, ha accolto l’appello e annullato i provvedimenti impugnati. Tuttavia, ha ritenuto di compensare le spese di lite per via della complessità della materia e dei contrasti giurisprudenziali.

Questa pronuncia rappresenta un’importante presa di posizione in materia di formazione del silenzio-assenso. Nel caso in esame, la Sezione ha ritenuto di valorizzare un’interpretazione teleologica della normativa volta ad assicurare il perseguimento di quelle finalità di semplificazione e di certezza dei rapporti giuridici che intercorrono tra i privati e la pubblica amministrazione. Come indicato anche nella motivazione, richiedere che l’istanza sia pienamente conforme alla normativa ai fini del perfezionarsi del silenzio-assenso non farebbe che svuotate completamente l’istituto di utilità pratica.

Il legislatore ha invece inteso far sì che l’Amministrazione possa esercitare i propri poteri di controllo nell’ambito di una circoscritta cornice temporale, associando al decorso del termine la perdita del potere provvedimentale.

Ad ogni modo, occorre segnalare che la conclusione alla quale è giunto il Collegio si inserisce all’interno di un vivace dibattito giurisprudenziale e, allo stato, non possono escludersi ulteriori evoluzioni in materia.

Come segnalato anche dall’Ufficio del Massimario, non sono mancate nel recente passato pronunce in senso diametralmente opposto. Ad esempio, lo stesso Consiglio di Stato, sez. IV, con la sentenza n. 616/2022 aveva ritenuto che «la formazione del silenzio-assenso postula la piena conformità dell’istanza alla normativa e alla strumentazione urbanistica ed edilizia di riferimento».

La risoluzione di tali contrasti giurisprudenziali tra le sezioni del Consiglio di Stato potrebbe rendere opportuno un eventuale deferimento della questione all’adunanza plenaria ai sensi dell’art. 99, commi 1 e 2 del Codice del processo amministrativo.

7. Appalti ed emergenze: le novità del decreto infrastrutture a cura di Michele Sangiovanni

In data 21 maggio 2025 è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale il decreto-legge n. 73, noto come “decreto infrastrutture”. Il provvedimento introduce una serie di misure urgenti volte a potenziare la capacità di realizzazione delle grandi opere pubbliche: tra queste, l’accelerazione dell’avvio dei lavori per il ponte sullo Stretto di Messina, gli interventi funzionali alle Olimpiadi di Milano-Cortina 2026 e la definizione di un chiaro discrimine tra le procedure di somma urgenza e quelle attinenti alla protezione civile, con una disciplina speciale con riferimento ai controlli antimafia.

A poco più di quattro mesi dall’entrata in vigore del correttivo al Codice dei contratti pubblici, il Governo è infatti nuovamente intervenuto sul Codice degli appalti, con l’obiettivo di superare le criticità che ne ostacolavano la piena applicazione.

Il d.l. ha inoltre apportato modifiche al codice della protezione civile, riguardo ai contratti pubblici connessi alla gestione e al superamento dello stato di emergenza causato da eventi calamitosi, con l’obiettivo di completare la disciplina relativa alle modalità di affidamento dei contratti di protezione civile.

L’intervento più significativo concerne l’art. 140 del Codice dei contratti pubblici e l’introduzione del nuovo art. 140-bis, entrambi modificati dall’art. 2 del decreto-legge. Al fine di razionalizzare la disciplina e superare le incertezze applicative e interpretative, il Governo ha distinto le due fattispecie, riservando all’art. 140-bis la disciplina delle procedure di protezione civile e mantenendo all’art. 140 quella relativa alle procedure di somma urgenza.

Quest’ultimo, infatti, all’esito della modifica normativa, riguarda sole le procedure di affidamento in caso di circostanze “che non consentono alcun indugio, al verificarsi di eventi di danno o di pericolo imprevisti o imprevedibili idonei a determinare un concreto pregiudizio alla pubblica e alla privata incolumità, ovvero nella ragionevole previsione dell’imminente verificarsi degli stessi”. Tali circostanze abilitano il responsabile unico del procedimento (RUP) o altro tecnico competente a disporre, con affidamento diretto, l’immediata esecuzione dei lavori entro il limite di 500 mila euro (o di quanto indispensabile per rimuovere lo stato di pregiudizio alla pubblica e privata incolumità) e l’immediata acquisizione di servizi o forniture, nei limiti della soglia europea.

Il d.l. infrastrutture,riproducendo in realtà quanto in precedenza disposto dall’abrogato comma 6, ha introdotto all’art. 140 il comma 1-bis, il quale prevede che all’interno degli interventi di somma urgenza possono rientrare anche le emergenze connesse ad eventi calamitosi di origine naturale o derivanti dall’attività dell’uomo, ai sensi dell’art. 7 del codice della protezione civile.

Dunque, in tali casi, la circostanza di somma urgenza persiste finché non vengano meno le situazioni dannose o pericolose per la pubblica e privata incolumità, e comunque per un termine non superiore a quindici giorni dall’evento, oppure entro il limite stabilito dall’eventuale declaratoria dello stato di emergenza, ai sensi dell’art. 24 del codice della protezione civile.

Il comma 7 dell’art. 140, alla luce delle modifiche apportate dal suddetto decreto-legge, prevede che in caso di adozione di procedure di affidamento in condizioni di somma urgenza, qualora vi sia l’esigenza di assicurare la tempestività di esecuzione del contratto, gli affidatari dichiarano, tramite autocertificazione, ai sensi del d.P.R. 28 dicembre 2000, n. 45, il possesso dei requisiti di partecipazione previsti per l’affidamento di contratti di uguale importo mediante procedura ordinaria.

In ragione della particolare urgenza che connota tali affidamenti, il controllo del possesso dei requisiti viene effettuato dalla stazione appaltante successivamente, e comunque entro un termine congruo, ossia compatibile con la gestione della situazione emergenziale e, in ogni caso, mai superiore a 60 giorni dall’affidamento. La stazione appaltante deve poi dare conto, con adeguata motivazione, nel primo atto successivo alle verifiche effettuate, della sussistenza dei citati presupposti.

In caso di esito negativo del controllo, la stazione appaltante non potrà procedere al pagamento. Inoltre, quest’ultima dovrà recedere dal contratto, fatto ovviamente salvo il pagamento delle prestazioni già eseguite e il rimborso delle spese eventualmente sostenute per l’esecuzione della parte rimanente, nei limiti delle utilità conseguite, e procede alle segnalazioni alle competenti autorità. 

Pertanto, in tema di verifiche dei requisiti, la riforma operata dal d.l. infrastrutture ha eliminato la disposizione che limitava l’applicazione della disciplina di somma urgenza per le emergenze di protezione civile, alla sola ipotesi di cui all’art. 76, comma 2, lettera c) del codice degli appalti. Tale disposizione consente alle stazioni appaltanti di aggiudicare appalti pubblici mediante procedura negoziata senza pubblicazione di un bando di gara, nella “misura strettamente necessaria quando, per ragioni di estrema urgenza derivante da eventi imprevedibili dalla stazione,” i termini per le procedure aperte, ristrette o competitive con negoziazione non possono essere rispettati.

Come anticipato, il decreto-legge n. 73/2025 ha introdotto l’art. 140-bis, esclusivamente dedicato alla disciplina delle procedure di protezione civile.

Innanzitutto, il comma 1 delimita l’ambito applicativo ai soli contratti affidati nell’ambito delle emergenze di protezione civile di rilevanza nazionale o locale, ai sensi dell’art. 7, comma 1, lett. a), b) e c). A quest’ultime si applicano anche le disposizioni in caso di somma emergenza e quelle previste dall’art. 46-bis del codice di protezione civile, introdotto dal d.l. infrastrutture.

Al comma 2 è previsto, in via eccezionale e in misura strettamente necessaria, che l’affidamento diretto possa essere disposto anche al di sopra dei limiti di cui all’art. 140 comma 1, ossia 500 mila euro o quanto indispensabile per rimuovere lo stato di pregiudizio, in un arco di tempo limitato o comunque non superiore a trenta giorni.

Inoltre, il suddetto affidamento è ammissibile nei limiti massimi di importo stabiliti nelle deliberazioni del Consiglio dei ministri, con le quali, ai sensi dell’art. 24 co. 2 del codice di protezione civile, saranno individuate le risorse per il completamento degli interventi più urgenti.

Il comma 3 dell’art. 140-bis riproduce, invece, quanto disposto dall’abrogato comma 11 dell’art. 140. In particolare, prevede una serie di deroghe al regime ordinario degli appalti per l’affidamento dei contratti pubblici di lavori, forniture e servizi in occasione degli eventi per i quali è dichiarato lo stato di emergenza di rilievo nazionale, ai sensi dell’art. 24 del codice di protezione civile.

La disposizione, presentando un elenco tassativo e sottraendo all’amministrazione il compito di effettuare per ogni caso concreto le dovute ponderazioni, consente l’accelerazione dell’azione amministrativa, fondamentale in situazioni emergenziali.

Ulteriori deroghe possono essere inoltre previste nell’ambito delle ordinanze, ai sensi dell’art. 25 del suddetto codice, da adottarsi in deroga ad ogni disposizione vigente, nei limiti e con le modalità indicati nella deliberazione dello stato di emergenza e nel rispetto dei principi generali dell’ordinamento giuridico e delle norme dell’Unione europea. Com’è noto, le ordinanze di protezione civile sono emanate previa intesa con le Regioni e le Province autonome territorialmente interessate e, ove rechino deroghe alle leggi vigenti, devono contenere l’indicazione delle principali norme a cui si intende derogare e devono essere specificamente motivate.

Il comma 4 dell’art. 140-bis prevede, invece, diverse tipologie di deroghe per gli eventi emergenziali di cui all’art. 7, co. 1, lett. b) e c) del codice della protezione civile. Nello specifico è previsto che:

  • Gli importi previsti dall’art. 50, comma 1 del codice dei contratti pubblici per gli appalti sotto soglia affidabili in via diretta o con procedura negoziata senza pubblicazione del bando di gara sono raddoppiati per i contratti di lavori, servizi e forniture di protezione civile di cui all’art. 25, co. 2, lett. a), b) e c);
  • Il termine temporale di cui all’art. 140, co. 4 del codice degli appalti (dieci giorni per la compilazione della perizia giustificativa delle prestazioni richieste dal RUP) è esteso a trenta giorni;
  • L’amministrazione competente all’affidamento e all’esecuzione dei contratti pubblici è identificata quale soggetto attuatore degli interventi previsti dalle ordinanze della protezione civile.

Il comma 5, infine, prevede l’applicazione, limitatamente alle emergenze di protezione civile, dell’art. 140, comma 7 di cui sopra.

In conclusione, come già accennato, il Governo ha modificato anche il codice di protezione civile introducendo l’art. 46-bis.

Innanzitutto, l’ambito applicativo è riservato alle sole emergenze di protezione civile e coincide con quanto previsto dall’art. 140-bis.

In secondo luogo, è prevista un’accelerazione della procedura amministrativa in materia di verifiche antimafia in caso di emergenze di rilievo nazionale. Infatti, relativamente all’affidamento e all’esecuzione dei contratti pubblici di lavori, forniture e servizi disciplinate con le ordinanze della protezione civile, le verifiche sono svolte mediante rilascio dell’informativa liberatoria provvisoria, conseguente alla consultazione della Banca dati nazionale unica della documentazione antimafia e alle risultanze delle interrogazioni di tutte le ulteriori banche dati disponibili.

L’informativa provvisoria consente di stipulare, approvare o autorizzare contratti o subcontratti relativi a lavori, servizi e forniture, sotto condizione risolutiva, ferme restando le ulteriori verifiche antimafia da completarsi entro 60 giorni. Infatti, nel caso in cui la documentazione successivamente pervenuta accerti la sussistenza di cause interdittive ai sensi del codice antimafia, i soggetti interessati devono recedere dai contratti, fatto salvo il pagamento del valore delle opere già eseguite e il rimborso delle spese sostenute.

Infine, per garantire tempestività nella realizzazione di strutture temporanee di emergenza (abitativa, didattiche, civili, commerciali, produttive, socio-culturali o di culto), in caso di eventi di emergenziali nazionali e regionali, i soggetti attuatori individuati con ordinanza della protezione civile sono autorizzati ad avvalersi di Consip S.p.A. o di altre centrali di committenza, in assenza di idonei strumenti contrattuali vigenti, per procedere all’affidamento dell’appalto integrato dei lavori e della relativa progettazione a operatori economici individuati mediante procedura negoziata senza previa pubblicazione del bando di gara.

In definitiva, il d.l. n. 73/2025 rappresenta un intervento normativo di rilievo volto a rafforzare l’efficienza e la chiarezza operativa nelle situazioni emergenziali. Le modifiche al Codice dei contratti pubblici e al Codice della protezione civile mirano a garantire maggiore rapidità, semplificazione e certezza giuridica nell’affidamento e nell’esecuzione dei contratti connessi a eventi di urgenza e calamità.

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