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L’ACCORDO UE-MERCOSUR TRA LIBERALIZZAZIONE COMMERCIALE E PROTEZIONISMO AGRICOLO: IL NODO DELLE CLAUSOLE DI SALVAGUARDIA

21 luglio 2025

a cura di Agnese Trani

Nel dicembre dello scorso anno, dopo più di vent’anni di negoziati, è stato firmato a Montevideo l’accordo di cooperazione economica e libero scambio tra l’Unione europea e il Mercosur (Mercado Común del Sur), con l’obiettivo di promuovere l’integrazione economica di paesi che rappresentano un PIL di circa 20 trilioni di dollari e oltre 700 milioni di consumatori.

L’accordo, ancora in fase di ratifica, prevede che nell’arco di dieci anni i paesi del Mercosur (Argentina, Brasile, Paraguay e Uruguay) liberalizzino progressivamente il 90% delle importazioni di beni industriali dall’UE e il 93% dei prodotti agricoli, con l’obiettivo di ridurre barriere tariffarie e non tariffarie e di promuovere commercio e investimenti in settori strategici.

I paesi sudamericani si impegnano nel rispetto dell’Accordo di Parigi sul clima (di cui il Mercosur non è parte) e si obbligano al raggiungimento dei livelli di tutela dei diritti comunitari, con particolare accento sui diritti dei lavoratori. Quanto all’UE, l’accordo ridurrà i dazi su prodotti strategici, rendendo più resilienti le catene di fornitura. La misura prevede inoltre la tutela di circa 357 indicazioni geografiche europee, di cui 57 italiane.

L’accordo UE-Mercosur punta a rafforzare la cooperazione tra le due aree attraverso due pilastri: un dialogo politico più solido e una progressiva e reciproca liberalizzazione del commercio.

A ciò si aggiunge l’impatto che potrebbe avere sul perseguimento degli obiettivi dell’Agenda 2030, programma d’azione globale adottato dalle Nazioni Unite nel 2015; in particolare, potrebbe influenzare direttamente il Goal 2 (sconfiggere la fame e promuovere l’agricoltura sostenibile), incidendo considerevolmente sulle superfici agricole destinate al biologico.

Sul piano geopolitico, l’accordo risulterebbe strategico, potendo rappresentare una delle aree di libero scambio più grandi al mondo e una risposta al nuovo protezionismo globale alimentato dall’Amministrazione Trump e alla penetrazione di altri attori globali in una regione con cui si hanno profonde relazioni culturali ed economiche.

Con riferimento specifico al settore agroalimentare, l’accordo suscita particolare allarme. Ciò che spaventa gli agricoltori europei è il complesso percorso di adeguamento negli standard produttivi tra i due continenti; il timore si cela nel rischio che alcuni comparti agricoli domestici si troverebbero a confrontarsi con prodotti sudamericani attualmente ottenuti con meccanismi e vincoli produttivi meno rigorosi in termini di sicurezza alimentare.

L’accordo desta ancor maggiori preoccupazioni tra i produttori di alimenti biologici certificati. In assenza di un adeguamento degli standard, la produzione biologica rischia infatti di subire danni ancor più significativi rispetto all’agricoltura tradizionale, a causa della maggiore complessità e onerosità dei processi imposti dalle normative europee per l’ottenimento delle certificazioni. A ciò si aggiunge l’assenza di un regime di equivalenza tra le certificazioni biologiche dei due blocchi.

Così come si oppone parte del blocco europeo, si vede resistenza da parte di alcuni movimenti sociali dell’America Latina che sostengono che l’accordo avrà un impatto negativo sulle comunità contadine e sulla loro sovranità alimentare, favorendo invece le grandi aziende di monocoltura per l’esportazione.

Tra i paesi membri dell’Unione quello che storicamente mostra la maggiore resistenza al raggiungimento dell’intesa è senz’altro la Francia; all’annuncio della presidente della Commissione Ursula von der Leyen sul via libera ai rapporti con il Mercosur, l’Eliseo ha reagito dichiarando come l’accordo rimanesse inaccettabile nella forma raggiunta. L’opposizione permane (e risulta più che mai radicata) nonostante le modifiche già approntate all’atto, tanto volute dalla Francia e riguardanti l’adeguamento agli standard ambientali e l’impegno dei paesi del Mercosur in materia di deforestazione.

Le preoccupazioni per l’impatto sull’agricoltura sono al centro della resistenza francese che si pone in prima linea per tentare un blocco dell’accordo, coadiuvata da Paesi Bassi e Polonia, in attesa dell’appoggio italiano che risulta ancora incerto.

Per comprendere appieno il peso politico di queste resistenze, è utile richiamare brevemente il quadro giuridico europeo in materia di accordi internazionali.

Dal punto di vista giuridico, l’accordo UE–Mercosur rientra nell’ambito della competenza esterna dell’Unione europea, disciplinata dagli articoli 216 e seguenti del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE). L’articolo 218 stabilisce le procedure per la negoziazione e la conclusione degli accordi internazionali, attribuendo alla Commissione la proposta e al Consiglio dell’Unione europea la competenza a concludere formalmente tali atti, previa approvazione del Parlamento europeo.

Questo assetto istituzionale giustifica il ruolo centrale del Consiglio nella fase decisionale e spiega l’importanza delle dinamiche tra gli Stati membri nella ratifica dell’intesa con il Mercosur. Inoltre, trattandosi con ogni probabilità di un accordo misto, contenente disposizioni che incidono anche sulle competenze degli Stati, sarà necessaria anche la ratifica da parte dei Parlamenti nazionali, aggiungendo un ulteriore livello di complessità procedurale.

Nei primi giorni di aprile la Francia ha convocato un incontro tra dieci Stati membri dell’Unione europea per discutere dell’accordo commerciale, ribadendo profonde perplessità in merito all’attuale formulazione ma concedendo qualche spiraglio di apertura.

Secondo quanto riferito dall’ufficio del ministro per l’Europa francese, Benjamin Haddad, nel corso di una videoconferenza con gli altri Stati membri, è stata sostenuta l’opportunità di inserire nel testo dell’accordo una clausola di salvaguardia automatica (emergency brake) sui prodotti agricoli, in grado di sospendere temporaneamente e automaticamente le importazioni in presenza di squilibri significativi. La clausola proposta, definita come una sorta di ‘freno di emergenza’, avrebbe carattere automatico e verrebbe attivata in presenza di un aumento improvviso delle importazioni tale da destabilizzare specifici mercati agricoli europei. L’operare della clausola diverrebbe automatico al superamento di predeterminate soglie quantitative.

Bisogna sottolineare come l’accordo contenga già una clausola generale di salvaguardia, ritenuta insufficiente dalla Francia perché di difficile e lenta attivazione e inefficace in caso di crisi improvvisa. Si tratta di una misura emergenziale attivabile, per un periodo massimo di due anni, qualora le importazioni di un prodotto a condizioni preferenziate siano aumentate in maniera tale da provocare o minacciare di provocare un grave pregiudizio all’industria nazionale della parte o delle parti firmatarie importatrici. Le critiche mosse contro la stessa ruoterebbero attorno all’intrinseca inefficienza temporale che la caratterizza: il procedimento di attivazione richiede, infatti, un impulso degli Stati parte; oltretutto, una volta richiesta, potrà essere messa in campo solo all’esito di lungaggini amministrative quali indagini e istruttorie. È previsto un termine massimo di un anno dall’atto di pubblicazione dell’avvio dell’indagine per giungere alla conclusione della stessa, prorogabile e non di certo capace di fronteggiare una situazione emergenziale nell’immediato.

Un voto favorevole della Francia in Consiglio dipenderà dall’inserimento nell’accordo di una misura di intervento più immediata e concreta. L’Eliseo sembra essersi ispirato a un meccanismo analogo di recente introduzione nelle norme commerciali straordinarie applicabili all’Ucraina previste nel Regolamento (UE) 2024/1392, relativo a misure di liberalizzazione degli scambi. L’art. 4 dell’accordo prevede, oltre a meccanismi di salvaguardia che richiedono lunghe istruttorie, inchieste e criteri discrezionali, le c.d. misure commerciali autonome (ATMs). Queste si configurano come clausole di salvaguardia predeterminate ed automatiche applicabili a 7 prodotti agricoli, attivabili nel momento in cui i volumi di importazione raggiungano una media annuale predeterminata. Il raggiungimento delle soglie permette alla misura di scattare in automatico; dopodiché la Commissione ha un termine di 14 giorni per reintrodurre la relativa quota tariffaria prevista dal DCFTA.

In Ucraina sono già state utilizzate sulle importazioni di miele e stanno funzionando.

L’incontro voluto dalla Repubblica francese rappresenta quindi un tentativo per il raggiungimento di una soluzione compromissoria con l’esecutivo UE; in un momento in cui l’accesso a nuovi mercati latinoamericani potrebbe offrire un’alternativa strategica agli Stati Uniti per le esportazioni europee.

La Commissione ha, però, ripetutamente negato la possibilità di riaprire negoziati sul testo. Anche se la Francia ha ricevuto un certo sostegno da Paesi Bassi, Austria, Irlanda, Polonia e Ungheria, la sua capacità di creare una minoranza di blocco al Consiglio dell’UE rimane incerta. Sarebbero necessari quattro Stati membri, che rappresentino il 35% della popolazione europea; con l’attuale coalizione si raggiungerebbe una quota attorno al 32%.

La coalizione francese necessita del voto contrario di un altro grande Stato membro e l’Italia, anche se tentennante, continua ad essere il perfetto candidato.

La posizione del Governo italiano risulta fortemente contraddittoria: mentre alcuni settori della maggioranza hanno sottolineato l’importanza strategica dell’accordo, il Ministro dell’agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste Francesco Lollobrigida ha più volte affermato che l’accordo, così com’è, non è condivisibile e la stessa Presidente del Consiglio dei ministri ha dichiarato che in assenza di un riequilibrio è da escludere un voto favorevole in sede di ratifica. In vista dei passaggi necessari alla finalizzazione dell’accordo è, perciò, cruciale chiarire la posizione italiana.

Per trovare un esito alla vicenda si dovranno, con molta probabilità, attendere diversi mesi; una fonte giornalistica degli inizi di questo mese racconta, infatti, come l’accordo sia stato rimandato, o addirittura sospeso, nonostante fosse pronto per la ratifica degli Stati membri per inizio luglio. Anche se il testo era stato rivisto dal servizio legale della Commissione e tradotto nelle 24 lingue ufficiali, pare che la presidente Ursula von der Leyen abbia deciso di ritardarlo.

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