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L’OPERATIVITÀ DEL SILENZIO-ASSENSO IN CASO DI ISTANZA DIFFORME DALLA NORMATIVA

17 giugno 2025

a cura di Riccardo Zinnai

Il Consiglio di Stato (Sezione VII), con la sentenza del 9 aprile 2025, n. 3051 (Pres. Chieppa, Est. Noccelli), si è pronunciato sull’operatività dell’istituto del silenzio-assenso qualora l’istanza presentata dal privato sia veritiera ma difforme dalla normativa sostanziale di riferimento.

Nel caso in esame, l’appellante era proprietario di un’area nel Comune di Arzano sulla quale venivano realizzati, entro il febbraio del 2000, trentadue box auto. Per ognuno di tali box, nel dicembre 2004 veniva presentata al Comune un’apposita istanza di condono edilizio, ai sensi della legge n. 326/2003, nella quale i box venivano qualificati come pertinenze di unità residenziali. L’appellante provvedeva poi al pagamento dell’oblazione e degli oneri concessori, trasmettendo nel 2006 le visure catastali aggiornate.

Dopo diverso tempo, ovvero all’inizio del 2008, il Comune di Arzano richiedeva all’appellante un’integrazione documentale, a cui quest’ultimo provvedeva nello stesso mese. Successivamente, nel mese di febbraio 2008, l’appellante provvedeva anche a trasmettere una perizia giurata sullo stato e sulla dimensione delle opere ed i relativi certificati di idoneità statica. Nel mese di ottobre dello stesso anno, il Comune richiedeva l’integrazione documentale relativa alla liquidazione degli importi valutati come ancora dovuti a titolo di oblazione e oneri concessori. Tale richiesta veniva evasa dal privato nel gennaio 2009.

Dopo oltre otto anni, il Comune di Arzano adottava, in data 29/05/2017, trentadue distinti provvedimenti di diniego delle istanze di condono originariamente presentate, uno per ciascun box.

L’Amministrazione comunale riteneva che il silenzio-assenso non si fosse perfezionato a causa dell’asserita carenza della documentazione allegata. Inoltre, riteneva che le istanze di condono fossero relative alla nuova costruzione di opere ad uso non residenziale e pertanto escluse dall’ambito di operatività del condono, ai sensi dell’art. 32, comma 5 della legge n. 326/2003. Avverso tali provvedimenti veniva proposto ricorso al TAR Campania, sede di Napoli, che però lo respingeva. Il giudice di primo grado riteneva che il silenzio-assenso non potesse formarsi in assenza del requisito – ritenuto indefettibile – della destinazione residenziale dei manufatti. Pertanto, avverso tale sentenza veniva proposto appello innanzi al Consiglio di Stato.

Con la sentenza ora esaminata, il Collegio ha ritenuto fondato l’appello proposto dal comproprietario dei beni immobili. Nel proprio atto d’appello, il privato sosteneva che fosse errata la tesi per la quale il silenzio-assenzio si formerebbe solo qualora le domande siano conformi al modello legale. Infatti, ciò si porrebbe in contrasto con gli obiettivi di semplificazione perseguiti dal legislatore mediante l’istituzione del meccanismo del silenzio-assenso che fa sì che l’Amministrazione sia privata del potere primario di provvedere una volta decorso il termine procedimentale, rimanendo solo la possibilità dell’intervento in autotutela.

Ad avviso della Sezione, i box oggetto dell’istanza di condono non potrebbero effettivamente considerarsi come costruzioni aventi natura residenziale e, pertanto, non possono rientrare nell’ambito di operatività del condono. Si è ribadito che la disciplina condonistica è da considerarsi come eccezionale e, pertanto, di stretta interpretazione e quindi insuscettibile di applicazione estensiva.

Ciò nonostante, l’appello è stato ritenuto fondato sul profilo relativo al silenzio-assenso da ritenersi operante anche qualora l’istanza non rientri a pieno nello schema legale. Infatti, il silenzio-assenso è, per volontà del legislatore, equivalente al provvedimento di accoglimento e, conseguentemente, il titolo abilitativo può perfezionarsi anche in caso di domanda difforme dalla disciplina legislativa.

La tesi contraria, fatta propria del TAR Campania, avrebbe la conseguenza di sottrarre i titoli formatisi mediante l’operare del silenzio-assenso alla disciplina dell’annullabilità. Inoltre, richiedere per il formarsi del silenzio-assenso la conformità della domanda al modello legale finirebbe per vanificare completamente le finalità di semplificazione perseguite dall’istituto in esame.

Il legislatore ha voluto rendere più spediti i rapporti tra i cittadini e l’Amministrazione, in capo alla quale permane la titolarità del potere di controllo ma da esercitarsi entro il termine procedimentale stabilito, decorso il quale diviene possibile solo l’esercizio dell’autotutela.

Pertanto, essendosi formato il titolo abilitativo per effetto del silenzio, il Comune non poteva adottare i provvedimenti di diniego del condono a distanza di oltre un decennio dalla presentazione delle relative istanze. Inoltre, le istanze andavano considerate come complete, anche tenendo conto della documentazione integrativa prodotta dal privato. La Sezione ha pertanto ritenuta infondata in punto di fatto l’affermazione meramente apodittica, fatta all’interno del provvedimento di diniego, sull’incompletezza delle domande presentate.

Rimaneva preclusa, sempre per effetto del decorso di tale lungo arco temporale, anche la possibilità di agire in autotutela.

Il Collegio ha ritenuto che il comportamento del Comune fosse anche lesivo dei princìpi di collaborazione e buona fede consacrati nell’art. 1, comma 2-bis, della legge n. 241/1990 (introdotto con il decreto-legge n. 76/2020) ma espressione di un preesistente principio generale. Avendo richiesto il pagamento dell’oblazione e dei canoni concessori senza eccepire altro, il Comune aveva lasciato intendere al privato che la documentazione relativa al condono fosse ormai da ritenersi completa.

Per le ragioni sopraesposte, il Consiglio di Stato, pertanto, in riforma della sentenza di primo grado, ha accolto l’appello e annullato i provvedimenti impugnati. Tuttavia, ha ritenuto di compensare le spese di lite per via della complessità della materia e dei contrasti giurisprudenziali.

Questa pronuncia rappresenta un’importante presa di posizione in materia di formazione del silenzio-assenso. Nel caso in esame, la Sezione ha ritenuto di valorizzare un’interpretazione teleologica della normativa volta ad assicurare il perseguimento di quelle finalità di semplificazione e di certezza dei rapporti giuridici che intercorrono tra i privati e la pubblica amministrazione. Come indicato anche nella motivazione, richiedere che l’istanza sia pienamente conforme alla normativa ai fini del perfezionarsi del silenzio-assenso non farebbe che svuotate completamente l’istituto di utilità pratica.

Il legislatore ha invece inteso far sì che l’Amministrazione possa esercitare i propri poteri di controllo nell’ambito di una circoscritta cornice temporale, associando al decorso del termine la perdita del potere provvedimentale.

Ad ogni modo, occorre segnalare che la conclusione alla quale è giunto il Collegio si inserisce all’interno di un vivace dibattito giurisprudenziale e, allo stato, non possono escludersi ulteriori evoluzioni in materia.

Come segnalato anche dall’Ufficio del Massimario, non sono mancate nel recente passato pronunce in senso diametralmente opposto. Ad esempio, lo stesso Consiglio di Stato, sez. IV, con la sentenza n. 616/2022 aveva ritenuto che «la formazione del silenzio-assenso postula la piena conformità dell’istanza alla normativa e alla strumentazione urbanistica ed edilizia di riferimento».

La risoluzione di tali contrasti giurisprudenziali tra le sezioni del Consiglio di Stato potrebbe rendere opportuno un eventuale deferimento della questione all’adunanza plenaria ai sensi dell’art. 99, commi 1 e 2 del Codice del processo amministrativo.

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