Lab-IP

Quel che rimane del T.P.L.: un frammentato mosaico in attesa di una sintesi.

di Alessandro Mariano

26/10/15

Esclusa la reviviscenza transitoria della normativa abrogata in conseguenza della particolare natura del referendum, quale atto-fonte dell’ordinamento, l’improvviso vuoto normativo creatosi è stato colmato con l’utilizzo della disciplina settoriale ancora in auge: un assetto basato prettamente sui principi generali dell’ordinamento comunitario, sui canoni giurisprudenziali della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, della Corte dei Conti e del Consiglio di Stato, nonché su quanto residuasse nell’ambito della normativa interna. In primis ci si riferisce naturalmente, oltre che alle leggi settoriali di derivazione regionale, al D.lgs. 422/1997 laddove non contrasti con la normazione statale e regionale successiva.
Merita sicuramente menzione la disciplina istitutiva dell’Osservatorio nazionale sulle politiche del trasporto pubblico locale presso il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, ossia l’articolo 1, comma 300, della legge 244/2007: entità costituita dai rappresentanti dei Ministeri competenti, delle regioni, degli enti locali e creata ai fini della predisposizione di una banca dati, nonché di un sistema informativo pubblico correlati a quelli regionali, con l’obiettivo ultimo di tenere sotto controllo l’andamento del settore, in merito al quale l’Osservatorio si riunisce almeno due volte ogni anno e presenta un rapporto annuale al Parlamento.
Non è, in aggiunta, da dimenticare l’articolo 16 bis del D.L. 95/2012: disposizione istitutiva del Fondo nazionale per il concorso finanziario dello Stato agli oneri del trasporto pubblico locale nelle regioni a statuto ordinario, la quale predispose la definizione di criteri e modalità per la ripartizione ed il trasferimento alle regioni delle risorse di detto fondo. L’elaborazione di tali criteri avrebbe dovuto seguire un determinato tracciato dettato dalla stessa norma, con il fine ultimo di promuovere una maggiore efficienza dei servizi, un incremento dei ricavi rispetto ai costi, l’individuazione di adeguati livelli occupazionali, la predisposizione di consoni meccanismi di monitoraggio, nonché una riduzione di quei servizi offerti irragionevolmente in eccesso ed un parallelo sviluppo dei servizi a domanda elevata.
Nell’ipotesi, poi, in cui le società partecipate operanti nella gestione del servizio pubblico, producano una passività nell’ambito del risultato di esercizio, le pubbliche amministrazioni di riferimento devono accantonare un corrispondente importo, in proporzione all’entità della partecipazione, in un apposito fondo vincolato.
A tal proposito, esplorando la tematica delle società partecipate dalla pubblica amministrazione, è da ricordare l’articolo 23 del D.L. 66/2014, in virtù del quale il Commissario straordinario, eventualmente nominato dal Presidente del Consiglio dei Ministri al fine di razionalizzare la spesa delle pubbliche amministrazioni, degli enti pubblici e delle società partecipate non quotate in mercati regolamentati, ne elabora un piano di ottimizzazione tramite la possibile previsione di una loro liquidazione o trasformazione per fusione o incorporazione, ovvero mediante l’adozione di misure atte a garantire una gestione maggiormente efficiente utilizzando, laddove utile, un metodo comparativo con altre realtà nazionali, o anche provvedendo alla cessione di rami d’azienda o di personale con il passaggio delle relative funzioni.
In questo mutato e frammentario affresco legislativo trova posto anche l’articolo 34, comma 20, del D.L. 179/2012, statuente peculiari garanzie nell’ambito della procedura di affidamento del servizio di trasporto pubblico locale e, in generale, di tutti i servizi pubblici locali di rilevanza economica, al fine di perseguire la parità di trattamento tra gli operatori, una consona informazione nei confronti dell’utenza, l’economicità della gestione ed il massimo rispetto della normativa comunitaria. In virtù della menzionata disposizione, l’affidamento deve essere disposto in base ad una relazione poi trasmessa all’Osservatorio per i servizi pubblici locali istituito presso il Ministero per lo sviluppo economico, pubblicata congiuntamente sul sito web dell’amministrazione di riferimento, in cui vengono indicate le motivazioni poste a suo fondamento, il rispetto delle condizioni previste dalla disciplina comunitaria, nonché il peculiare contenuto degli obblighi di servizio pubblico e di servizio universale.
Si tratta di un assetto normativo in cui risulta centrale la nozione di ambito o bacino territoriale ottimale ed omogeneo, definita peculiarmente dall’articolo 3 bis del D.L. 138/2011, individuante il contesto nel cui ambito impostare lo svolgimento dei servizi pubblici locali a rete di rilevanza economica. Le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano devono, appunto, individuare gli ambiti o bacini entro cui organizzare tali servizi, definendoli in modo tale da ottimizzarne l’efficienza.
In ultima istanza, è d’obbligo fare riferimento all’articolo 37 del D.L. 211/2011, istitutivo dell’Autorità di regolazione dei trasporti, un’autorità amministrativa indipendente preposta alla regolazione del settore dei trasporti, nonché alla disciplina dell’accesso alle infrastrutture strumentali e dei servizi accessori. Si tratta di un organo collegiale, la durata in carica dei cui componenti, un presidente e due membri, soggetti che compongono il Consiglio, è di sette anni. Essa opera in totale autonomia rispetto al Governo ed agli altri enti territoriali di riferimento, e ciò è valevole tanto per l’attività dei suoi membri quanto per il personale dipendente individuato nell’ambito di altri soggetti amministrativi verso cui, dunque, non risponde più. I soggetti sottoposti a regolazione sono, naturalmente, in primis gli operatori attivi nel settore dei trasporti, ma anche le ulteriori Autorità settoriali che si occupano della materia, nonché i soggetti istituzionali con i quali l’Autorità di regolazione dei trasporti deve necessariamente interagire. Il finanziamento di essa avviene tramite un contributo da parte dei gestori dei servizi e delle infrastrutture, la cui entità è individuata annualmente da parte del Consiglio della stessa Autorità. E’ così riscontrabile un’impropria modalità di contribuzione, in ragione del fatto che i costi in parola dovrebbero essere imputati allo Stato piuttosto che alle imprese regolate, ma non si tratta di un unicum, essendo tale sistema previsto in relazione a tutte le autorità di regolazione dei servizi di pubblica utilità.
Per completare il quadro interno è opportuno segnalare anche gli interventi in merito da parte della giurisprudenza amministrativa, talvolta attivatasi nell’intento di porre rimedio alle lacune evidenziatesi. Merita, particolarmente, attenzione la sentenza 4599/2014 del Consiglio di Stato, emanata sulla scia della sentenza 199/2012 della Corte Costituzionale. In tal modo è stato affermato che, nel rinnovato scenario creatosi, i servizi pubblici di rilevanza economica possono essere indifferentemente conferiti in gestione ad una società mista, mediante l’affidamento diretto, utilizzando dunque lo strumento dell’in house, ovvero affidandosi al libero mercato. Viene, dunque, ribadito che, conformemente a quanto statuito dalla volontà popolare tramite consultazione referendaria e confermato dalla giurisprudenza della Corte Costituzionale, l’affidamento in house non rappresenta più una modalità eccezionale di attribuzione della gestione dei servizi pubblici locali, ma uno strumento ordinario, utilizzabile alternativamente e discrezionalmente al ricorrere dei requisiti richiesti .

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