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CONCESSIONI BALNEARI: LA CASSAZIONE NON CONCEDE PROROGHE

20/02/2023

A cura di Andrea Nardone

Con sentenza 10 gennaio 2023, n. 404, la Terza Sezione della Corte di Cassazione si è pronunciata sul ricorso del Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Teramo avverso l’ordinanza con la quale il Tribunale del riesame aveva disposto il dissequestro del ristorante Pois Pub, sito su un’area del demanio marittimo nel teramano. Quell’area, in un primo momento, era stata infatti sottoposta a sequestro preventivo per l’ipotizzata realizzazione di alcuni reati edilizi, nonché in considerazione della contravvenzione di occupazione abusiva di cui all’art. 1161 cod. nav.: a ciò si era pervenuto a seguito di taluni sopralluoghi dell’Ufficio Demanio Marittimo della Giunta Regionale abruzzese, il quale aveva riscontrato alcune criticità nella concessione. In particolare, la metratura della porzione di demanio marittimo occupata era risultata superiore a quella effettivamente concessa; inoltre, sul bene erano state realizzate delle innovazioni non autorizzate.

Per effetto di ulteriori accertamenti della Guardia Costiera, era poi emerso in un secondo momento che la società concessionaria del bene demaniale non aveva corrisposto i canoni concessori a partire dal 2009, per un ammontare che superava i 363 000 euro, né tantomeno erano state liquidate le relative imposte regionali, per quasi 42 000 euro. La società, ad ogni modo, aveva continuato ad occupare l’area, pur risultando la concessione in oggetto scaduta al 31 dicembre 2007. Per tali ragioni, il Tribunale di Teramo aveva ritenuto sussistenti gli elementi per l’applicazione della misura cautelare del sequestro preventivo.

In sede di riesame, nondimeno, la società concessionaria aveva ottenuto l’annullamento del decreto dispositivo della misura, avendo il Tribunale di seconda istanza ritenuto insussistenti tanto il fumus boni juris quanto il periculum in mora. Il nucleo principale delle argomentazioni difensive, accolte dal Tribunale del riesame, si appuntava sul fatto che la concessione, anziché essere scaduta, doveva intendersi automaticamente rinnovata a favore della medesima società: la concretizzazione di tale rinnovo rappresentava, in ordine cronologico, il presupposto per poter beneficiare delle proroghe successive. Infatti, solo in quanto fosse stata previamente rinnovata la concessione, il titolo avrebbe potuto allora beneficiare, in fila, di tutte le proroghe successive disposte dal legislatore, a partire da quella dell’art. 1, comma 18, del decreto-legge 30 dicembre 2009, n. 194, conv. in legge 26 febbraio 2010, n. 25.

I presupposti della pronuncia del Tribunale del riesame, tuttavia, erano ritenuti fallaci dal Procuratore della Repubblica di Teramo, che ricorreva avverso il provvedimento di dissequestro. La concessione in oggetto, infatti, secondo il Procuratore, era scaduta al 31 dicembre 2007, né la medesima poteva intendersi tacitamente rinnovata. L’argomentazione dell’accusa, in particolare, evidenziava come, nonostante l’esistenza di una clausola di rinnovo automatico, la fattispecie non potesse dirsi perfezionata, ostando a ciò la mancata corresponsione del canone a partire dal 2009. L’inadempimento, pertanto, avrebbe comportato la decadenza della società dal beneficio della concessione, con conseguente onere di sgomberare l’area e di riconsegnare il bene.

Il ricorso viene ritenuto fondato dalla Suprema Corte. I giudici arrivano a tale conclusione dopo aver operato una ricostruzione dogmatica della differenza tra proroga e rinnovo della concessione: solo la prima, correttamente, implica la continuazione di un rapporto concessorio senza soluzione di continuità, essendo la seconda, invece, del tutto simile al rilascio ex novo di un ulteriore provvedimento. Pertanto, affinché possa realizzarsi il rinnovo di una concessione, occorrono tutti gli elementi della relativa fattispecie, a partire dalla regolarità della corresponsione del canone.

Tale regolarità era mancata nella concessione in esame, impedendo che si perfezionasse la fattispecie del rinnovo. Il titolo, perciò, era definitivamente scaduto al 31 dicembre 2007; esso, di conseguenza, non risultava più “esistente” nel 2009, e cioè allorché il legislatore ha disposto la prima di una serie di moratorie con l’art. 1, comma 18, del suddetto d.l. n. 194/2009. La società che gestiva il Pois Pub, in quel momento,doveva ritenersi già decaduta dal provvedimento, e dunque non aveva potuto beneficiare della moratoria; né la decadenza necessitava di un espresso procedimento amministrativo della Regione Abruzzo che la dichiarasse, «in quanto tale istituto caducatorio presuppone inevitabilmente la sussistenza di un rapporto giuridico valido ed efficace e non, come in questo caso, una situazione già scaduta e, quindi, definitivamente esaurita».

Di conseguenza, neppure le proroghe seguenti avrebbero potuto innestarsi sulla concessione del Pois Pub, essendo le successive previsioni legislative rette da una logica di concatenazione (sul punto, cfr. pure il caso dei Bagni Liggia di Genova in Cass. Pen., Sez. III, sentenza 13 aprile 2022, n. 15676). Nel caso del Pois Pub, dunque, la catena era “spezzata” già prima delle proroghe previste dal legislatore, mancando, a monte, un anello.

In quest’ottica – chiarisce la Cassazione – neppure vale invocare la nuova proroga disposta dall’art. 3 della legge 5 agosto 2022, n. 118 (Legge annuale per il mercato e la concorrenza 2021), che ha prolungato la durata delle concessioni in essere al momento della sua entrata in vigore fino al 31 dicembre 2023, escludendo altresì per le stesse la configurabilità della contravvenzione di occupazione abusiva ex art. 1161 cod. nav. Tale disposizione, infatti, non trova applicazione per le concessioni – come quella in esame – che non fossero in essere al 27 agosto 2022, data di entrata in vigore della legge.

La sentenza della Cassazione in commento in questa sede, dunque, non si discosta dalla giurisprudenza consolidata in materia, inquadrando il fenomeno delle proroghe nel contesto delle libertà di matrice euro-unitaria. Il susseguirsi di una sequela tanto lunga di moratorie, a ben vedere, appare in contrasto con la logica del diritto dell’Unione, che si informa ai principi di trasparenza, imparzialità e pubblicità nel rilascio delle «autorizzazioni» (art. 12, direttiva Bolkestein); né sembra più possibile, dopo circa quattordici anni dalla prima proroga di cui all’art. 1, comma 18 del d.l. n. 194/2009, ancora giustificare un tale regime in nome della sua eminente «transitorietà» (Corte costituzionale, sent. 18 luglio 2011, n. 213).

Quanto sopra fa riflettere su quale possa essere la sorte di eventuali nuove proroghe che il legislatore dovesse disporre d’ora in poi. Nel momento in cui si scrive, infatti, sono in discussione al Senato alcuni emendamenti al decreto-legge 29 dicembre 2022, n. 198,recante «Disposizioni urgenti in materia di termini legislativi» (c.d. Milleproroghe), tesi, tra l’altro, a disporre un nuovo differimento delle gare per il rinnovo delle concessioni balneari fino al 31 dicembre 2024.

Il destino di una simile disposizione, qualora dovesse essere approvata, non sembra poter essere diverso dalla sua disapplicazione. Sul punto vale la pena di richiamare il dictum dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato nelle sentenze gemelle nn. 17 e 18 del 9 novembre 2021, nelle quali si legge che eventuali proroghe legislative ulteriori rispetto a quella fino al 31 dicembre 2023 «dovranno naturalmente considerarsi in contrasto con il diritto dell’Unione e, pertanto, immediatamente non applicabili ad opera non solo del giudice, ma di qualsiasi organo amministrativo, doverosamente legittimato a considerare, da quel momento, tamquam non esset le concessioni in essere».

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