Lab-IP

“Domicilio digitale” e “P. A. senza carta”: sfide al digital divide.

di Alessandro Marzioli

06/11/16

  1. La riforma del Codice dell’Amministrazione Digitale.

 

Nell’ultimo rapporto del Global Open data Index, ovvero la classifica mondiale che misura lo stato di digitalizzazione e la quantità e qualità dei dati rilasciati dagli Stati, l’Italia ha guadagnato otto posizioni, passando dal 25° posto al 17° posto. Negli ultimi due anni l’attuale Governo ha difatti esibito una spiccata sensibilità per gli Open data e il tema della digitalizzazione della P. A, come fattore di sviluppo economico e di controllo sociale.

In questa prospettiva si è rivelata fondamentale, la creazione di portali tematici come OpenExpo e Soldi Pubblici, ma soprattutto l’adozione del d.lgs. 26 agosto 2016, n. 179, recante modifiche e integrazioni al Codice dell’amministrazione digitale. La riforma, entrata in vigore in data 14 settembre 2016, ha modificato e introdotto rispettivamente i concetti di documento informatico e “domicilio digitale”, che trovano nel sistema pubblico di identità digitale (SPID) e nell’anagrafe nazionale della popolazione residente (ANPR) i loro elementi portanti già operativi.

Per documento informatico si intende il documento elettronico che contiene la rappresentanza informatica di atti, fatti o dati giuridicamente rilevanti. Il documento informatico, sottoscritto con firma elettronica certificata, ha sempre la stessa identica validità del documento cartaceo a ogni effetto di legge e deve essere accettato da qualsiasi soggetto pubblico o privato. È questa la principale novità introdotta dal d.lgs. 26 agosto 2016, n. 179. Si tratta di una modifica rilevante poiché essa certifica la possibilità e la necessità di sostituire i documenti cartacei con documenti informatici, con considerevoli vantaggi di tempo. Il nuovo CAD in quest’ottica all’articolo 6, difatti, dispone che:<< Tutti gli atti, i dati, i documenti, le scritture contabili ed anche la corrispondenza devono essere prodotti o riprodotti in maniera digitale e conservati in archivi informatici.>> Tali novità si ricollegano a un progetto più ampio: il piano “Pubblica amministrazione senza carta” che sarebbe dovuto diventare effettivo il 12 agosto 2016, a 18 mesi esatti dall’entrata in vigore del Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 13 novembre 2014. Il 3 agosto scorso, tuttavia, la Commissione Affari interni Costituzionali ha sospeso l’efficacia del Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 13 novembre 2014, “per un tempo congruo all’emanazione di nuove regole tecniche pienamente conformi alle disposizioni del nuovo Codice”. Quindi, non si stabilisce una nuova scadenza, ma si dispone un rinvio a tempo indeterminato di una misura che avrebbe consentito, secondo le stime pubblicate in “Forum Pa”, di risparmiare quasi due miliardi di fogli e 3, 2 miliardi di euro l’anno.

Il concetto di domicilio digitale è introdotto dall’articolo 4, comma 1, del d.lgs. 25 agosto 2016, n. 179, il quale dispone che:<< Al fine di facilitare la comunicazione tra pubbliche amministrazioni e cittadini, è facoltà di ogni cittadino indicare al comune di residenza un proprio domicilio digitale (indirizzo di posta elettronica certificata).>> La vera innovazione tuttavia è da rilevarsi al comma 2 del suddetto articolo il quale chiarisce che il domicilio digitale, così eletto, costituisce il mezzo esclusivo di comunicazione da parte delle pubbliche amministrazioni.  A completamento il nuovo comma 3 bis dell’articolo 4 dispone che: <<agli iscritti all’ANPR che non hanno provveduto autonomamente a eleggere il domicilio digitale ne verrà messo uno a disposizione con modalità stabilite con decreto del Ministero dell’Interno di concerto con il Ministero delegato per la semplificazione e la pubblica amministrazione, sentito il garante della privacy.>>

In questo caso, tuttavia, il domicilio digitale fungerà da mera casella di posta virtuale, la quale verrà utilizzata dalla pubblica amministrazione per inviare le comunicazioni ai destinatari, imponendo all’erogatore del servizio di stampare il documento trasmesso in digitale e consegnarlo al destinatario.

In ottemperanza al principio del digital first, si ha, dunque, in questo caso una doppia modalità di notifica dove quella tradizionale è chiamata a sopperire in via residuale a quella digitale. Le novità introdotte con la riforma sono di notevole portata. Tuttavia, affinché siano rese effettivamente operative, è necessaria (I) l’emanazione dei decreti ministeriali contenenti le regole tecniche, da adottare entro quattro mesi dalla data di entrata in vigore della riforma, e (II) la realizzazione di una politica volta al superamento del c. d divario digitale (digital divide).

 

 

  1. L’esperienza del Regno Unito.

 

In quest’ultimo settore il Regno Unito si pone come esempio virtuoso. In base all’ultima edizione del Report DESI, il 90% della popolazione britannica usa internet e, in particolare, le competenze digitali risultano notevolmente aumentate, con il 67% degli individui che oggi sono in possesso delle competenze informatiche sufficienti per svolgere attività on-line. In tale prospettiva un ruolo fondamentale è stato svolto dal “digital skills committee”, commissione costituita dal Parlamento Inglese il 12 giugno 2014. La “commissione per le abilità digitali”, in particolare, ha realizzato progetti di alfabetizzazione digitale, rendendo l’uso delle tecnologie, nel campo dell’istruzione e della formazione, una delle priorità assolute per il Regno Unito. In quest’ottica, fondamentale è stato l’investimento, da parte del Governo Inglese di 40 milioni di sterline, per dotare entro l’anno scolastico 2015-2016 tutte le scuole secondarie di una banda ultra-larga. L’esperienza del Regno Unito vede come una prerogativa governativa quella della lotta al digital divide e agisce nella logica del coordinamento comprendendo che il fenomeno del divario digitale si concretizza nella mancanza di possibilità di accesso alla rete internet in termini tecnici e in seconda battuta nella capacità di accedere al web e utilizzare i principali motori di ricerca e software.

Lo stesso non può dirsi per l’Italia. Nonostante all’interno dell’agenda digitale nazionale vi sia una sezione dedicata alla scuola”, il nostro apparato scolastico procede lentamente verso la digitalizzazione delle proprie strutture. Secondo i dati del Miur, nelle scuole italiane vi è un personal computer per ogni 15 studenti nelle scuole elementari, le Lim (lavagna interattiva multimediale) scarseggiano essendovene 1 per 5 classi. Per quanto riguarda la connessione ad Internet, invece, otto scuole su dieci sono connesse, ma solo la metà delle classi ha accesso alla rete. Dal 49° rapporto Censis sulla situazione sociale del paese, inoltre, risulta che il 30% dei residenti in Italia continua a non utilizzare internet e che, tra gli anziani, il dato di coloro che non accedono al web è pari al 73%. Si registra, quindi, nel nostro paese un allarmante fenomeno di divario digitale che ha le sue radici in ragioni di carattere politico-economico ma soprattutto infrastrutturale. L’Italia del resto è tra gli Stati dell’Unione europea in cui si ha una minore diffusione delle tecnologie a banda ultra-larga.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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