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Il futuro dell’emissions trading scheme e gli sforzi del legislatore europeo: un calo del sipario o l’apertura di nuove frontiere?

di FATIMA MARIA PIZZATI

 

14/06/2016

 

A partire dal 2005 il sistema di scambio di quote di emissione, noto come emissions trading scheme e istituito dalla Direttiva 2003/87/CE, costituisce l’elemento portante della strategia dell’Unione europea per la riduzione efficiente, in termini di costi, delle emissioni di gas a effetto serra da parte dell’industria e del settore energetico. L’azione comunitaria di lotta contro il climate change punta a raggiungere, entro il 2030, un taglio delle emissione pari al 40% rispetto ai livelli del 2000 e il principale strumento diretto all’ottenimento del suddetto risulto è rappresentano dal c.d. EU ETS. Attualmente, il sistema si trova nel terzo periodo di adempimento (2013-2020): si tratta di una fase caratterizzata da una serie di novità, introdotte grazie alla riforma attuata con la Direttiva 2009/29/CE i cui elementi principali hanno riguardato l’introduzione di un cap unico europeo, riferito al tetto massimo di emissioni consentite e determinato dalla Commissione, e la conseguente eliminazione del potere di predisporre i Piani Nazionali di Assegnazione (PNA) da parte delle autorità interne. Inoltre, gli artt. 10-bis e 10-quater della Direttiva ETS,  come modificata dalla Direttiva 2009/29/CE, hanno segnato il passsaggio graduale e obbligatorio all’attribuzione delle quote tramite asta (auction).

Le ragioni sottostanti all’intervento comunitario trovano spiegazione nel funzionamento distorto del mercato delle emissioni nel corso dei primi due periodi di adempimento: l’assegnazione gratuita delle quote (granfathering) e il potere discrezionale attribuito agli Stati membri tramite i PNA hanno provocato un surplus di quote che ha reso impossibile raggiungere le finalità che hanno ispitaro il sistema stesso in quanto l’eccesso di offerta ha causato il crollo dei prezzi per tonnellata eq. di carbonio per cui i soggetti interessati hanno trovato l’acquisto di permessi di emissione più efficiente, in termini di costi, rispetto all’adozione di tecnologie innovati capaci di ridurre ex se le emissioni stesse. D’altra parte, il crollo delle attività produttive dovuto alla crisi economica e l’afflusso di crediti internazionali derivanti da progetti di Joint Implementation (JI) e Clean Development Mechanism (CDM) hanno contribuito ulteriormenta al peggioramento della situazione.

Dopo il 2009 il legislatore comunitario è strato costretto ad intervenire nuovamente attraverso due manovre: la c.d. market Stability Reserve (MSR), introdotta per regolare il volume annuo dei permessi di emissione in circolazione sul mercato e in funzione dal 2019, e il c.d. backloading che ha consentito la riduzione delle quote distribuite a titolo oneroso tramite aste per il triennio 2014-2016. Quest’ultima misura avrebbe dovuto provocare un aumento del prezzo nel breve periodo, tuttavia alla fine del 2016 il valore medio si aggirava attorno a 4-5 euro/ton. In questo senso, il recesso del Regno Unito dall’Unione europea ha contribuito al ribasso del prezzo a causa dell’ipotetico taglio della domanda di quote da parte del settore termoelettrico inglese in caso di un eventuale abbandono dell’ETS comunitario (LSE-STATKRAFT POLICY RESEARCH PROGRAMME, “Fit-for Purpose” Energy and Climate Change Mitigation Policies for the European Union, Grantham Research Institute, 2017).

Nonostante le questioni di cui sopra, l’emissions trading comunitario rimarrà in funzione fino al 2030 pertanto il 15 luglio 2015 la Commissione Europea ha presentato un summer Package contenente alcune delle misure definite nella strategia di politica energetica e climatica annunciata a febbraio dello stesso anno, la c.d. “Unione dell’Energia”. Tra queste, è stata presentata una proposta legislativa di revisione dell’Emissions Trading System (ETS) come parte integrante degli interventi finalizzati a costruire un’Unione dell’energia resiliente.

Gli aspetti principali della proposta della Commissione del luglio 2015 sulla revisione dell’ETS per la quarta fase (2021-2030) implicano, innanzitutto, una diminuzione complessiva delle quote del 2,2% annuo a partire dal 2021 rispetto all’attuale fattore pari a 1,74%. In secondo luogo, è prevista una migliore assegnazione delle quote di emissione a titolo gratuito con un aggiornamento dei valori dei parametri per tenere conto del progresso tecnologico, gruppi più mirati relativamente alla rilocalizzazione delle emissioni e una quantità di assegnazione gratuita meglio allineata ai livelli di produzione. Inoltre, la proposta del 2015 ha previsto diversi meccanismi di sostegno per aiutare l’industria e il settore energetico a superare i problemi della transizione verso un’economia a basse emissioni di carbonio per quanto riguarda l’innovazione e gli investimenti. A questo scopo, dovrebbero essere istituiti due fondi: il fondo per l’innovazione, al fine di estendere l’attuale sostegno alla dimostrazione di tecnologie innovative in capo industriale, e il fondo per la modernizzazione, allo scopo di agevolare gli investimenti nella modernizzazione del settore energetico e dei sistemi energetici più in generale, stimolando anche l’efficienza energetica in dieci Stati membri con reddito più basso. Inoltre, il riesame del sistema di scambio di quote di emissione risulta necessario anche in relazione al contributo dovuto da parte dell’Unione europea per il raggiungimento degli obiettivi previsti dall’Accordo di Parigi sui cambiamenti climatici che, come abbiamo visto, prevede un Piano d’azione per limitare il riscaldamento globale ben al di sotto del 2º C.

I negoziati europei per l’adozione di una nuova direttiva hanno trovato un importante punto di approdo il 28 febbraio 2017, data in cui si è tenuta la riunione dei Ministri dell’ambiente degli Stati membri: questi ultimi hanno discusso circa i punti maggiormente dibattuti in riferimento alla proposta di riforma, come le assegnazioni di permessi di emissioni concessi gratuitamente a determinati settori industriali e l’ammontare di quote da mettere all’asta. In conclusione, il Consiglio Ambiente ha adottato una posizione negoziale: i Ministri dell’ambiente europei hanno stabilito, di comune accordo, di cancellare 800 milioni di quote di surprus a partire dal 2021, di aumentare il numero di permessi che sarà oggetto di asta e di espandere la Market Stability Reserve (MSR) che potrà assorbire fino al 24% del surplus di quote. Inoltre, la proposta ha previsto l’impiego dei ricavi delle aste per finanziare il fondo per la modernizzazione e il fondo per l’innovazione, l’estensione dell’ETS ai trasporti via mare a partire dal 2023 e la riduzione del 10%, rispetto al periodo 2014-2016, delle quote del settore aviazione.

Le suddette risultanze rappresentano un ulteriore passaggio nell’adozione di nuove regole volte a garantire il corretto funzionamento del mercato del carbonio europeo che, nel breve periodo, non avranno particolari ricadute. In ogni caso, con l’approvazione della posizione negoziale della proposta di revisione dell’EU ETS per il periodo 2021-2030 da parte del Consiglio “Ambiente” i negoziati con il Parlamento europeo possono essere avviati, con l’obiettivo di pervenire a un accordo sul testo finale nella seconda metà del 2017. In questo senso, l’intervento riformatore è teso ad ottenere un rialzo del prezzo delle quote di emissione che dovrebbero avere un costo stimato tra i 15 e i 20-30 euro a tonnellata per garantire il funzionamento dell’ETS, incentivando le dismissioni della produzione elettrica a carbone a vantaggio del ciclo combinato a gas naturale e a sostegno delle fonti rinnovabili.

Indubbiamente, la proposta approvata il 28 febbraio 2017 rappresenta un miglioramento, tuttavia il mercato delle emissioni non ha funzionato ed è ancora ben lontano dal funzionare. Sotto questo profilo, sorge spontaneo chiedersi se sia più opportuno rafforzare gli sforzi diretti a un risanamento del sistema ET oppure abbandonarlo e ricercare soluzioni alternative. In ambito comunitario gli unici interventi di rilievo si sono orientati nella prospettiva di migliorare l’ETS: si tratta di una scelta dettata dalla circostanza che il mercato di cui si discute, pur essendo relativamente nuovo, ha comportato un notevole impegno per garantire l’apparato regolatorio posto alla base di esso.

Tuttavia, il background dei Paesi extra-europei è incerto circa in il mantenimento di tale strumento regolatorio. In particolare, erano poste grandi aspettative sull’attuazione di un emissions trading centralizzato da parte del governo cinese, la cui attuazione era prevista per l’inizio del 2017. Il ritardo registrato potrebbe celare un ripensamento di fondo a favore dell’introduzione di una carbon tax dal momento che la stessa Cina teme il rischio di un surplus di quote, analogamente a quanto avvenuto in Europea. Il trend internazionale sembra essere orientato in questa direzione: accanto al Canada, anche Singapore applicherà, infatti, un tassa sulla CO2 a partire dal 2019. Il rischio maggiore associato ad un mutamento di rotta è rappresentato dal carbon leakage ovvero dalla delocalizzazione delle attività sottoposte ad un’eventuale tassazione sulle emissioni prodotte (SILVESTRI G., Possibile riformare ETS o meglio carbon Tax?, in www.rienergia.com, 14 marzo 2017). La questione di cui sopra potrebbe comunque essere scongiurata attraverso l’introduzione di una tassa applicata in relazione alla percentuale di carbonio utilizzato per la produzione a prescindere dalla sede fisica delle industrie (SCALIA F., L’accordo di Parigi e i «paradossi» delle politiche dell’Europa su clima ed energia, in Rivista di diritto e giurisprudenza agraria, alimentare e dell’ambiente, n. 6, 2016 in http://rivistadga.it.)

In conclusione, il futuro del c.d. EU ETS è ricco di interrogativi e molto dipenderà dal funzionamento del sistema riformato nel periodo 2021-2030 anche in relazione a fattori quali la qualificazione delle quote di emissione come strumenti finanziari a partire dal 2018 ai sensi della Direttiva 2014/65/UE, nota come MiFID II (Market in Financial Instruments Directive) e dal mantenimento o meno della posizione del Regno Unito all’interno del sistema di scambio di quote europeo (CARACINO U., PAVESI F., Le quote di emissione di CO2 come strumento finanziario allla luce della MiFID II, in http://dirittobancario.it).

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