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LA DISCIPLINA PRIVATISTICA DELLA RESPONSABILITÀ PRECONTRATTUALE È APPLICABILE ALLA DISCIPLINA DEGLI ACCORDI TRA P.A. E PRIVATI? A QUALI CONDIZIONI?

MATTEO PIETROSANTE

19 ottobre 2020

Nella disciplina delle convenzioni urbanistiche, e del loro relativo procedimento, uno degli aspetti più discussi è sicuramente la corretta disciplina da applicare all’accordo tra p.a. e il privato in relazione al complesso carattere giuspubblicistico dello stesso.

In tal senso la giurisprudenza, negli anni, ha avuto un ruolo fondamentale nel determinare: da una parte il corretto perimetro dell’applicabilità delle norme proprie del diritto privato, dall’altra quali poteri pubblici dell’amministrazione ammettere all’interno della disciplina convenzionale.

Una delle pronunce utili a segnare tali confini è la sentenza n. 416 intervenuta il 4 marzo 2020 da parte del T.A.R. Lombardia, Milano, sez. II.

La parte ricorrente è la Bronzine S.r.l. che adisce il Tribunale chiedendo di condannare il comune di Casatisma al risarcimento dei danni cagionati dall’Amministrazione in ragione della mancata stipula della convenzione di cui al permesso di approvato con la delibera consiliare comunale.

La parte ricorrente lamenta una mancanza di buona fede, da parte dell’amministrazione, nella fase “precontrattuale” e, inoltre, lamenta che il Comune, pur potendo conoscere una causa di invalidità dell’accordo, non lo abbia tempestivamente comunicato con ciò comportando il diritto al risarcimento della parte privata poiché essa ha confidato, senza sua colpa, nella validità del contratto.

Si pone quindi il tema della validità della normativa civilistica all’interno di un procedimento, come quello convenzionale, che conserva, comunque, un fondamento di stampo pubblico.

Nel caso di specie la società ricorrente, proprietaria di una cava dismessa,  chiede la stipulazione di una convenzione al fine di riqualificare la proprietà e cambiarne la destinazione d’uso. L’amministrazione comune si esprime con delibera parere favorevole sul punto, ma gli uffici tecnici chiedono alla società ulteriori elementi documentali sospendendo la pratica.

La Bronzine s.r.l. allora, ritenendo che la condotta comunale risulti difforme dalle norme civilistiche sulla correttezza in fase precontrattuale, chiede di condannare il Comune al risarcimento dei danni. Rispetto all’ an debatur la ricorrente deduce la mancanza di correttezza nell’operato dell’Amministrazione comunale, la quale impedisce nei fatti la sottoscrizione della convenzione. Coerentemente con ciò va riconosciuto, come fa anche il collegio, un affidamento qualificato in capo al privato.

La convenzione è, infatti, il momento terminale fisiologico del procedimento in esame e l’atto di regolazione e sintesi degli interessi coinvolti, ivi compreso l’interesse pubblico decretato dalla deliberazione del Consiglio comunale. Al fine di perseguire il risultato astrattamente programmato si impone, quindi, uno sforzo congiunto delle parti da misurarsi secondo il canone di correttezza.

In sostanza, la favorevole determinazione dell’Organo politico segna l’apertura di una fase procedimentale diretta alla conclusione del negozio che regola i rapporti tra l’Ente e l’operatore privato. Non si è, quindi, dinanzi ad un generico contatto sociale, ma ad un contatto negozialmente orientato in quanto diretto alla stipula di una convenzione urbanistica. 

Né simile ricostruzione sembra potersi negare valorizzando l’aspetto pubblicistico del procedimento o, in generale, della vicenda in esame. Simili obiezioni restringerebbero la portata delle previsioni civilistiche, traducendosi nella sostanziale non applicazione del canone ai rapporti pur autoritativi tra cittadino e Pubblica Amministrazione segnando il ritorno ad impostazioni smentite dalle più recenti elaborazioni giurisprudenziali (Consiglio di Stato, Adunanza plenaria, 4 maggio 2018, n. 5). 

Deve, infatti, rilevarsi come il modello di pubblica amministrazione, come si è andato evolvendo nel diritto vivente, risulta oggi permeato dai principi di correttezza, buona amministrazione, lealtà, protezione e tutela dell’affidamento. Principi integralmente desumibili dalla previsione di cui all’articolo 97 della Costituzione che costituisce il pilastro su cui si edifica il nuovo paradigma dei rapporti tra cittadino e Pubblica Amministrazione. 

La “vis espansiva” del principio in esame conduce, infatti, a ricomprendere anche l’attività autoritativa della Pubblica Amministrazione, tenuta a rispettare non soltanto le norme di diritto pubblico, ma anche le norme generali dell’ordinamento civile che impongono di agire con lealtà e correttezza, la violazione delle quali può far nascere una responsabilità da comportamento scorretto, che incide non sull’interesse legittimo, ma sul diritto soggettivo di autodeterminarsi liberamente nei rapporti negoziali, cioè sulla libertà di compiere le proprie scelte negoziali senza subire ingerenze illegittime frutto dell’altrui scorrettezza.

Secondo un’affermazione dell’Adunanza plenaria alla quale può riconoscersi portate generale, affinché si configuri una responsabilità è, comunque, necessario che l’affidamento incolpevole del privato risulti leso da una condotta che, valutata nel suo complesso, e a prescindere dall’indagine sulla legittimità dei singoli provvedimenti, risulti oggettivamente contraria ai doveri di correttezza e di lealtà.

Nel caso di specie pertanto non risulta asseribile una condotta contraria al dovere di correttezza, poiché è stata la parte ricorrente ad essere inadempiente circa degli obblighi documentali.

A nulla vale, d’altra parte, che la parte ricorrente ravvisi un primo indice di tale violazione nella circostanza che la condotta comunale impedisce nei fatti la sottoscrizione della convenzione, senza la quale nessun titolo può essere rilasciato, poiché si tratta, tuttavia, di un impedimento legittimo in quanto ascrivibile al potere-dovere comunale di verifica dei presupposti per la stipula della convenzione.

Pertanto la domanda di parte ricorrente difetta dei presupposti relativi all’ an debeatur e viene, quindi, rigettata. 

Il T.A.R., nella sentenza in esame, da una parte ammette l’applicazione delle previsioni civilistiche anche nell’articolazione dell’iter amministrativo volto alla stipula della convenzione e riconosce anche una posizione qualificata in capo al soggetto privato, ma dall’altra indaga l’esistenza dei presupposti applicativi della suddetta disciplina tenendo conto dei doveri propri della pubblica amministrazione e del comportamento della controparte privata. Proprio quest’ultima, analitica, indagine porta il Collegio a rigettare il ricordo del soggetto privato non rintracciando i presupposti civilistici che avrebbero comportato un eventuale risarcimento del danno.

Con ciò risulta coerente l’assunto giurisprudenziale per il quale la convenzione rappresenta un incontro tra le volontà delle parti contraenti nell’esercizio della propria autonomia negoziale. 

Sicché i diritti del privato ben potranno trovare tutela mediante le norme civilistiche, per quanto compatibili con la particolare natura giuspubblicistica della convenzione e del procedimento convenzionale.

Quanto sopra detto non esclude il fatto che all’amministrazione comunale siano, comunque, riservati dei poteri di stampo pubblicistico, difatti, la giurisprudenza ha specificato che, nei casi in cui si faccia ricorso ad uno strumento alternativo all’attività di carattere provvedimentale, l’amministrazione, oltre a continuare a disporre dei propri poteri autoritativi, può avvalersi di tutte le prerogative concesse dal codice civile ai contraenti privati  , per cui l’eventuale esercizio della potestà pubblicistica non sminuisce la capacità privatistica ma si somma ad essa: vi è un concorso e non un’alternatività di poteri, salva, ovviamente, l’impossibilità di conseguire due volte lo stesso risultato.

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