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LA PARITÀ DI GENERE NELLE SOCIETÀ PUBBLICHE TRA OBBLIGHI EUROPEI E NORMATIVA NAZIONALE

12/12/2022

A cura di Elena Valenti

Il 22 novembre 2022, a distanza di circa dieci anni dalla prima proposta, il Parlamento Europeo ha approvato la risoluzione legislativa n. 10521/1/2022 sulla posizione del Consiglio europeo in vista dell’adozione della direttiva inerente al miglioramento dell’equilibrio di genere fra gli amministratori di società quotate. Il legislatore sovranazionale ha stabilito che le società quotate nel mercato europeo, entro giugno 2026, dovranno raggiungere la quota del 40% del sesso sottorappresentato, tra gli amministratori senza incarichi esecutivi, e del 33% per tutti gli amministratori. È previsto inoltre l’obbligo per le società di introdurre, all’interno del proprio statuto, norme procedurali per la selezione e la nomina dei membri del consiglio d’amministrazione.

Sebbene la proposta originaria, presentata dalla Commissione Europea nel novembre 2012, si riferisse soltanto agli amministratori senza incarichi esecutivi, il Consiglio Europeo, con motivazione n. 3/2022, ha ritenuto necessario ampliare l’ambito di applicazione della direttiva, estendendolo a tutti gli incarichi. È prevista poi l’applicazione della clausola sospensiva per i Paesi membri che hanno già adottato misure efficaci per il raggiungimento degli obiettivi prefissati.

Attualmente, in Italia, la presenza del genere femminile nelle società quotate e a controllo pubblico negli organi di amministrazione, secondo il rapporto Consob per la governance, si stima abbia raggiunto il massimo storico del 41%.

Il primo meccanismo volto a rendere più equilibrata la rappresentanza dei generi ai vertici delle società è stato introdotto con legge n.120/2011, c.d. «Legge Golfo-Mosca», che, all’art. 2, con riferimento alle società quotate, ha previsto che il genere meno rappresentato dovesse ottenere almeno un terzo dei componenti di ciascun organo collegiale di amministrazione e controllo, per tre mandati consecutivi, decorrenti dal primo rinnovo degli organi collegiali.

Con D.P.R n. 251/2012 il legislatore ha stabilito che la normativa in tema di parità di genere si applica anche alle società a controllo pubblico, in analogia a quanto previsto dalla legge n. 121/2011.

Per le società quotate, anche a controllo pubblico, la funzione di controllo della normativa in tema di parità di genere è affidata alla Consob, con la predisposizione di uno specifico sistema sanzionatorio che si sostanzia sia in sanzioni pecuniarie, sia nella possibile decadenza dalle cariche di tutti i componenti dell’organo interessato, nei casi più gravi di inottemperanza, ai sensi dell’art. 147 ter e 148 T.U.F.

La disciplina sull’equilibrio di genere è stata ridefinita con il riordino delle società a partecipazione pubblica operato dal d. lgs. n. 175/2016, che ha disposto il criterio generale dell’amministratore unico per le società pubbliche e il riferimento al numero complessivo delle nomine effettuate nel corso dell’anno da parte della pubblica amministrazione.

Qualora la società disponga di un organo amministrativo collegiale, inoltre, è previsto che lo statuto preveda la nomina dei componenti in base ai criteri previsti dalla legge Golfo-Mosca.

La frammentazione della disciplina ha fatto sorgere non pochi dubbi interpretativi per le società a controllo pubblico con riferimento all’esistenza di un ulteriore obbligo, gravante specificatamente sulle pubbliche amministrazioni controllanti, dovendo queste ultime assicurare che il raggiungimento della quota minima si riferisca al numero complessivo delle nomine effettuate, mentre la previsione del D.P.R n. 251/2012 faceva riferimento unicamente alle società che si sono dotate di  organi amministrativi e di controllo di natura collegiale.

La dottrina e la giurisprudenza, adottando una lettura delle disposizioni in combinato disposto tra loro, ritengono che le norme previste dal Testo Unico si aggiungano agli obblighi già previsti per le società controllate dal D.P.R n. 251/2012.

Con riferimento alle società quotate, la legge di bilancio n. 160/2019, operando modifiche al Testo Unico di intermediazione finanziaria, ha ampliato sia la quota riservata al genere meno rappresentato, da un terzo ad almeno due quinti dei componenti, sia l’arco temporale di applicazione del criterio di riparto tra generi a ulteriori sei mandati consecutivi, che decorrono dall’entrata in vigore della legge.

Le recenti evoluzioni segnalano un evidente disallineamento tra le disposizioni che regolano le società a controllo pubblico, ancorate al Testo Unico e alla Legge Golfo-Mosca, e le disposizioni più incisive, previste per le società quotate.

Il raggiungimento dell’obiettivo della parità di genere negli organi di vertice delle società, seppur in costante miglioramento, non può dirsi ancora conseguito. La presenza del genere femminile, in Italia, pur riscontrandosi nei consigli di amministrazione in qualità di amministratrici indipendenti e non esecutive, raramente è rinvenibile nei ruoli di amministratici delegate.

L’intervento del legislatore è necessario e auspicabile non soltanto alla luce della proposta di direttiva del Parlamento Europeo e del Consiglio summenzionata, ma anche per colmare le lacune che la normativa per le società a controllo pubblico presenta, con riferimento alle mancate disposizioni di previsioni concernenti l’organo di controllo.

Le nuove disposizioni del Testo Unico, inoltre, in tema di parità di genere, non contemplano la previsioni di sanzioni. L’art. 11 del d. lgs. n. 175/2016 richiama la legge Golfo Mosca soltanto con riferimento ai criteri ivi stabiliti, senza disporre la previsione di specifiche sanzioni. È dunque auspicabile un intervento del legislatore italiano al fine di rendere omogenee e allineate le disposizioni previste per le società a controllo pubblico e quelle che si riferiscono alle società quotate.

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