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La Robin Tax e il potere di modulare temporalmente gli effetti delle declaratorie di incostituzionalità: violazione dei principi costituzionali o tutela degli stessi?

COSTANZA TRAPPOLINI

 

 

10/01/2019

 

 

Nel corso dell’arbitrato internazionale Sunreserve Luxco Holdings S.A.R.L v. Italy(SCC caseno. 132/2016), instaurato dinanzi all’Arbitration Institute of the Stockholm Chamber of Commerce, la Ricorrente ha contestato al Governo italiano citato in giudizio la non corretta applicazione di una sentenza di illegittimità costituzionale.

Ci si riferisce alla sentenza della Corte costituzionale 11 febbraio 2015, n. 10, che ha dichiarato illegittimo l’art. 81, commi 16, 17 e 18, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 6 agosto 2008, n. 133 (cd. Robin Hood Taxdal nome del celebre eroe inglese che rubava ai ricchi per dare ai poveri). Il decreto, introdotto dal Governo Berlusconi nel 2008, prevedeva una maggiorazione dell’aliquota IRES a carico delle imprese operanti nei settori energetici che avessero conseguito fatturati e redditi superiori a determinate soglie fissate per legge. Le disposizioni della legge 13 dicembre 2010, n. 220 (Legge finanziaria 2011), avevano poi esteso l’addizionale a tutte le imprese operanti nei settori del petrolio, dell’energia elettrica e del gas eliminando precedenti esenzioni previste per le attività di distribuzione, trasporto e trasmissione e per la produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili.

La peculiarità della sentenza in esame consisteva nel potere esercitato dalla Consulta di modulare temporalmente gli effetti della sentenza di illegittimità costituzionale: il dispositivo, infatti, pur dichiarando l’illegittimità costituzionale della norma de qua per aver violato i principi di uguaglianza e capacità contributiva, prevedeva che i propri effetti decorressero dal giorno successivo a quello della pubblicazione della sentenza medesima nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana – dunque con efficacia ex nunc– con la conseguenza che la norma dichiarata incostituzionale doveva continuare ad applicarsi ai rapporti pendenti sorti in precedenza. La sentenza, proprio per questa sua peculiarità, ha destato molte perplessità in dottrina poiché sembrava violare l’art. 136, comma 1, Cost. in base al quale ‹‹quando la Corte dichiara l’illegittimità costituzionale di una norma di legge o di atto avente forza di legge, la norma cessa di avere efficacia dal giorno successivo alla pubblicazione della decisione››. Ciò significa che, per legge, fatti salvi i rapporti esauriti, la norma non può più essere applicata in nessun caso. Di fronte a una disposizione così chiara si può attribuire alla Corte costituzionale il potere di limitare l’efficacia nel tempo della declaratoria di incostituzionalità?

La Consulta ha giustificato questa particolare soluzione sulla base della necessità di compiere una ponderazione tra i valori costituzionali lesi dalla norma di legge (principio di uguaglianza e principio della capacità contributiva) e altri valori costituzionali che sarebbero stati lesi nel caso in cui fosse mancata nella sentenza la limitazione pro-futuro della sua efficacia. In particolare, l’argomentazione della Corte si riferisce al principio dell’equilibrio di bilancio, garantito dall’art. 81 Cost., in base al quale ‹‹lo Stato assicura l’equilibrio tra le entrate e le spese del proprio bilancio, tenendo conto delle fasi avverse e delle fasi favorevoli del ciclo economico››. Ebbene, la Corte osservava che il riconoscimento dell’efficacia retroattiva della sentenza, obbligando lo Stato al rimborso del tributo dichiarato incostituzionale, avrebbe gravemente compromesso l’equilibrio di bilancio, valore anch’esso costituzionalmente garantito. Nel ragionamento della Corte, dunque, limitare l’efficacia della declaratoria di incostituzionalità solo pro-futuro era la soluzione ottimale.

Dalla sentenza si legge che la Consulta, nell’accogliere le questioni di legittimità costituzionale, avrebbe il potere di introdurre una limitazione all’efficacia temporale delle proprie decisioni, qualora esse siano suscettibili di incidere su altri valori costituzionali. Si tratta di un’affermazione che ha esercitato un notevole impatto sulla dottrina creando opinioni discordanti che rendono la questione, ancora oggi, discussa.

Questa soluzione non è stata condivisa da gran parte della dottrina che ha ritenuto inammissibile il potere esercitato nella sentenza in esame. A detta di autorevole dottrina, l’art.81 Cost. crea un vincolo che vale per il legislatore e non per il giudice costituzionale, con la conseguenza che l’obiettivo dell’equilibrio di bilancio, essendo una regola di metodo finanziario della legislazione, può determinare l’illegittimità delle norme di legge, ma non può comprimere la portata di valori costituzionali sostanziali, come quelli di uguaglianza e capacità contributiva.

Inoltre, la dottrina ritiene che l’ingiustizia di un’imposta non possa essere giustificata, neppure temporaneamente, per il fatto che essa garantisce l’equilibrio di bilancio. Se il legislatore equilibra il bilancio con una manovra ingiusta, la soluzione corretta non è mantenere la manovra ingiusta per ragioni di bilancio, ma sostituire quella ingiusta con una giusta, ugualmente rispettosa dell’equilibrio finanziario. Pertanto, ammettere il potere della Corte di modulare l’efficacia nel tempo delle declaratorie di incostituzionalità significherebbe ammettere una soluzione che neghi il rimborso del tributo dichiarato incostituzionale per esigenze del bilancio, senza però valutare che l’equilibrio di bilancio avrebbe potuto essere garantito con un tributo alternativo conforme ai principi costituzionali. La soluzione adottata dalla Corte costituzionale rischia di condurre ad approdi abnormi: si arriverebbe, infatti, ad affermare che le esigenze di bilancio giustificano qualsiasi sacrificio, anche quello diseguale, sproporzionato, ingiusto, perché lesivo di altri valori costituzionali, sebbene evitabile.

Infine, la dottrina reputa che il potere di graduare gli effetti temporali delle sentenze della Consulta, oltre a non essere disciplinato da alcuna norma, sia anche incompatibile con l’art. 136 Cost. In base all’autorevole opinione dell’ex presidente della Consulta Gustavo Zagrebelsky, nel nostro ordinamento ‹‹gli effetti delle decisioni di incostituzionalità sono integralmente previsti dal diritto e operano del tutto automaticamente››. Compito della Corte è ‹‹dichiarare il contrasto della legge con la Costituzione, ma non dettare disposizioni sugli effetti della sua decisione››, che ‹‹si producono ipso iure››. Da ciò si evince che riconoscere alla Corte tale possibilità equivarrebbe ad attribuirle un potere più ampio di quello proprio dell’organo sovrano per eccellenza, il Parlamento, poiché neppure quest’ultimo può disporre pienamente della efficacia delle leggi, essendo numerosi i limiti previsti dalla Costituzione.

A testimonianza della complessità della questione, il tema è emerso nel corso del recente arbitrato Sunreserve Luxco Holdings S.A.R.L v. Italy sortoin relazione ad alcuni investimenti – effettuati dalla Ricorrente nel settore delle rinnovabili – che non sarebbero stati adeguatamente protetti dal Governo italiano sulla base di quanto disposto dall’Energy Charter Treaty. Tra le richieste milionarie di risarcimento avanzate dalla Ricorrente, però, spunta anche un’istanza di risarcimento promossa per il danno derivante dalla non corretta applicazione della declaratoria di incostituzionalità relativa alla Robin Tax.

Nel corso delle udienze, tenutesi lo scorso novembre, sono stati presentati al collegio arbitrale diversi pareri di esperti del diritto volti a sostenere le tesi delle parti processuali. Se i pareri degli esperti incaricati dalla Ricorrente riflettono in pieno i dubbi avanzati dalla maggioranza della dottrina, la difesa del Governo italiano si fonda essenzialmente sulla ‹‹complessa situazione economica›› – e, dunque, sull’esigenza di garantire l’equilibrio finanziario – che ha reso necessario e legittimo un simile intervento della Corte. Il Governo italiano ritiene che il potere di modulare l’efficacia delle declaratorie di incostituzionalità sia strumentale all’esigenza, imposta dal ruolo di “Guardiano della Costituzione” della Corte, di evitare che possano essere lesi altri principi anch’essi costituzionalmente garantiti. Alla critica relativa al fatto che un simile potere della Corte rappresenterebbe un evidente travalicamento dei poteri attribuiti alla stessa il Governo risponde che non sono rari i casi in cui si ammette che la Corte vada oltre il dettato legislativo: a testimonianza di ciò si deve citare la regola in base alla quale il disposto di cui all’art 136 Cost. troverebbe una eccezione, pacificamente accolta sia in dottrina che in giurisprudenza, nel caso dei cd. rapporti esauriti che continuano a essere disciplinati sulla base della disposizione dichiarata illegittima. Se, dunque, sono pacificamente riconosciuti limiti all’efficacia retroattiva delle declaratorie di incostituzionalità, per quale motivo non si può accogliere la soluzione elaborata dalla Consulta?

Sarà necessario attendere il lodo arbitrale per vedere come il collegio supererà questaimpasse.

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