Lab-IP

LABORATORIO PER L’INNOVAZIONE PUBBLICA 3/2023

05/04/2023

Indice:

1. IL DECRETO MILLEPROROGHE E LE CONCESSIONI BALNEARI: CRONACA DI UN’INCOMPATIBILITÀ ANNUNCIATA di Andrea Nardone

2. IL NUOVO DECRETO PNRR: TRA ACCENTRAMENTO, SEMPLIFICAZIONE E TRANSIZIONE ENERGETICA di Giulia Moscaroli

3. UNA NUOVA ALLEANZA TRA AMMINISTRAZIONE E CITTADINI di Beatrice Tabacco

4. POLO STRATEGICO NAZIONALE: IL RUOLO DELLE SOCIETÀ A PARTECIPAZIONE PUBBLICA di Elena Valenti

5. NUOVO CODICE DEI CONTRATTI PUBBLICI: VIA IL LIMITE DEL 49% ALLA CONTRIBUZIONE PUBBLICA IN MATERIA DI PARTENARIATO di Antonio Iuliano

6. GEOTERMIA: TRA FER 2 E CONCESSIONI MINERARIE di Gaspare Mariani

1. IL DECRETO MILLEPROROGHE E LE CONCESSIONI BALNEARI: CRONACA DI UN’INCOMPATIBILITÀ ANNUNCIATA di Andrea Nardone

Come noto, nella legge 5 agosto 2022, n. 118 (Legge annuale per il mercato e la concorrenza 2021) sono contenute alcune deleghe al Governo per l’adozione di taluni decreti legislativi, rispettivamente, «per la costituzione e il coordinamento di un sistema informativo di rilevazione delle concessioni di beni pubblici» (art. 2), e «volti a riordinare e semplificare la disciplina in materia di affidamento delle concessioni demaniali marittime, lacuali e fluviali per finalità turistico-ricreative e sportive» (art. 4).

Il termine originariamente individuato per l’adozione dei decreti in questione era quello di sei mesi, con la scadenza delle deleghe fissata dunque per febbraio 2023. Tuttavia, già in tempi non sospetti la migliore dottrina aveva segnalato come quel lasso di tempo fosse insufficiente per portare a termine una riforma, quale quella delle concessioni balneari, attesa da quasi tre lustri, in una materia peraltro connotata da un alto tasso di politicità; a posteriori, oltretutto, è possibile individuare un elemento di complicazione nell’avvicendamento al Governo di una maggioranza diversa da quella che ha approvato le deleghe. 

Così, in prossimità della scadenza di cui sopra, nella legge 24 febbraio 2023, n. 14, di conversione del decreto-legge 29 dicembre 2022, n. 198, recante «Disposizioni urgenti in materia di termini legislativi» (c.d. Milleproroghe), sono stati approvati alcuni emendamenti per prolungare il termine di adozione dei suddetti decreti legislativi. All’art. 1, co. 8, della legge di conversione è stato previsto che la delega di cui all’art. 2 della Legge annuale per il mercato e la concorrenza 2021 abbia durata di undici mesi, anziché sei, e quindi fino a luglio 2023. In aggiunta, è stato altresì inserito all’art. 4 della legge n. 118/2022 un comma 4-bis, a mente del quale «Fino all’adozione dei decreti legislativi di cui al presente articolo, è fatto divieto agli enti concedenti di procedere all’emanazione dei bandi di assegnazione delle concessioni e dei rapporti di cui all’articolo 3, comma 1, lettere a) e b)».

Con la legge n. 14/2023 è stato poi inserito nel d.l. n. 198/2022 un articolo 10-quater, il cui comma 1 istituisce presso la Presidenza del Consiglio dei ministri un Tavolo tecnico con compiti consultivi e di indirizzo in materia di concessioni demaniali marittime, lacuali e fluviali. Il co. 3 del suddetto articolo 10-quater, successivamente, proroga dal 31 dicembre 2024 al 31 dicembre 2025, il termine per lo svolgimento delle procedure selettive di affidamento che non si siano potute tenere in presenza di ragioni oggettive (quelle di cui ai commi 3 e 4 dell’articolo 3 della legge n. 118/2022).

La previsione dagli effetti più immediati, ad ogni modo, è rappresentata dall’inserimento all’art. 12 del Milleproroghe di un comma 6-sexies, che interviene sull’art. 3 della Legge annuale per il mercato e la concorrenza 2021, prorogando fino al 31 dicembre 2024 l’efficacia delle concessioni e dei rapporti in essere su beni demaniali marittimi, lacuali e fluviali, per finalità turistico-ricreative e sportive. Si tratta, a tutti gli effetti, di una nuova proroga, approvata nonostante l’inequivocabile monito lanciato dal Consiglio di Stato in Adunanza Plenaria con le sentenze gemelle nn. 17 e 18 del 9 novembre 2021. In quelle pronunce, infatti, si leggeva: «Si precisa sin da ora che eventuali proroghe legislative del termine così individuato (al pari di ogni disciplina comunque diretta a eludere gli obblighi comunitari) dovranno naturalmente considerarsi in contrasto con il diritto dell’Unione e, pertanto, immediatamente non applicabili ad opera non solo del giudice, ma di qualsiasi organo amministrativo, doverosamente legittimato a considerare, da quel momento, tamquam non esset le concessioni in essere».

L’incompatibilità di eventuali nuove proroghe delle concessioni balneari, quindi, era pienamente annunciata. Non deve sorprendere, perciò, che in sede di promulgazione della legge n. 14/2023 il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella abbia sollevato «specifiche e rilevanti perplessità» con riferimento alle «norme inserite, in sede di conversione parlamentare, in materia di proroghe delle concessioni demaniali e dei rapporti di gestione per finalità turistico-ricreative e sportive». Quelle disposizioni – si legge nella lettera che il Capo dello Stato ha indirizzato al Presidente del Senato della Repubblica, al Presidente della Camera dei Deputati e al Presidente del Consiglio dei Ministri – «oltre a contrastare con le ricordate definitive sentenze del Consiglio di Stato, sono difformi dal diritto dell’Unione europea, anche in considerazione degli impegni in termini di apertura al mercato assunti dall’Italia nel contesto del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza». Pur giungendo a promulgare la legge di conversione, il Presidente della Repubblica ha quindi segnalato come «i profili di incompatibilità con il diritto europeo e con decisioni giurisdizionali definitive accrescono l’incertezza del quadro normativo e rendono indispensabili, a breve, ulteriori iniziative di Governo e Parlamento».

Proprio la certezza del diritto, a ben vedere, è la principale vittima del cortocircuito derivante dall’introduzione dell’ulteriore proroga. Non può escludersi, in effetti, che talune amministrazioni locali siano “smarrite” a fronte del dovere di disapplicare una norma, quale quella introdotta nella Legge annuale per il mercato e la concorrenza 2021, che arriva ultima nel tempo.

In quest’ottica, un intervento chiarificatore è provenuto tempestivamente con la sentenza 1° marzo 2023, n. 2192 del Consiglio di Stato, resa a pochissimi giorni di distanza dalla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale della legge n. 14/2023. Nella pronuncia, degna di nota per altri versi per la consacrazione del ruolo di advocacy dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, si legge un’interessante affermazione dei giudici, secondo i quali «anche la nuova norma contenuta nell’art. 10-quater, comma 3, del D.L. 29/12/2022, n. 198, conv. in L. 24/2/2023, n. 14, che prevede la proroga automatica delle concessioni demaniali marittime in essere, si pone in frontale contrasto con la sopra richiamata disciplina di cui all’art. 12 della direttiva n. 2006/123/CE, e va, conseguentemente, disapplicata da qualunque organo dello Stato». Nell’obiterdictum del Supremo Consesso Amministrativo, tanto netto e incondizionato, è possibile scorgere una certa affettazione dei giudici nel ribadire sin da subito l’incompatibilità delle nuove disposizioni introdotte dalla legge di conversione del Milleproroghe con il diritto euro-unitario. In effetti, l’applicazione della nuova proroga non era rilevante ai fini della decisione sottoposta all’attenzione dei giudici di Palazzo Spada, che nondimeno hanno ritenuto di «soggiungere» quanto sopra. Eppure, l’affermazione rappresenta un’importante bocciatura del Milleproroghe da parte della magistratura amministrativa, lasciando intendere sin d’ora, a beneficio della certezza del diritto, quale sarà l’orientamento giurisprudenziale sul punto.

2. IL NUOVO DECRETO PNRR: TRA ACCENTRAMENTO, SEMPLIFICAZIONE E TRANSIZIONE ENERGETICA di Giulia Moscaroli

Alla luce della dichiarata «straordinaria necessità e urgenza di definire misure volte a garantire la tempestiva attuazione degli interventi relativi al Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR)», il Governo ha emanato il d.l. 24 febbraio 2023, n. 13 (c.d. Decreto PNRR-ter), recante Disposizioni urgenti per l’attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) e del Piano nazionale degli investimenti complementari al PNRR (PNC), nonché per l’attuazione delle politiche di coesione e della politica agricola comune.

La Parte I del Decreto prevede norme volte a ridisegnare la governance introdotta dal Decreto Semplificazioni-bis (d.l. 31 maggio 2021, n. 77) per il PNRR e il PNC, nell’ottica di un maggior accentramento dei poteri. Il precedente Decreto aveva già richiesto alle amministrazioni centrali coinvolte nell’attuazione del PNRR di dotarsi di una c.d. unità di missione, individuandola in una struttura dirigenziale adeguata già esistente, oppure di costituire ad hoc un nuovo organismo responsabile a livello dirigenziale generale. Al fine di migliorare il coordinamento delle attività di gestione e controllo degli investimenti, l’art. 1 del Decreto PNRR-ter attribuisce a ciascun ministero la possibilità di prevedere la riorganizzazione della struttura di livello dirigenziale generale ovvero dell’unità di missione di livello dirigenziale generale già individuata tra quelle esistenti. Tale disposizione ha lo scopo di spingere le unità già individuate ad accelerare e migliorare la gestione degli investimenti. In caso di inadempienza, è previsto che i poteri attuativi del PNRR, e soprattutto le relative risorse, vengano trasferiti ad altri soggetti. Per le stesse finalità, si procede inoltre alla riorganizzazione delle unità di missione istituite presso la Presidenza del Consiglio dei ministri.

La norma elimina poi il Tavolo permanente per il partenariato economico, sociale e territoriale, che svolgeva funzioni consultive nelle materie e nelle questioni connesse all’attuazione del PNRR. Alcune delle sue competenze vengono trasferite alla Segreteria tecnica presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, altre alla Cabina di regia, che detiene poteri di indirizzo, impulso e coordinamento sull’attuazione degli interventi.

Il Decreto istituisce al contempo un Ispettorato generale per il PNRR presso il Ministero dell’economia e delle finanze, con compiti di coordinamento operativo sull’attuazione, gestione finanziaria e monitoraggio del PNRR, nonché di controllo e rendicontazione all’Unione Europea. Tale organo è anche responsabile della gestione del Fondo di rotazione del Next Generation EU-Italia e dei connessi flussi finanziari, dovendo assicurare il necessario supporto tecnico alle amministrazioni coinvolte. Viene inoltre incrementato il potere di controllo e di monitoraggio attribuito alla Ragioneria Generale dello Stato presso il medesimo ministero.

Al fine di accentrare i poteri attuativi del PNRR, l’art. 2 istituisce, fino al 31 dicembre 2026, una Struttura di missione PNRR presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, con funzioni di supporto nell’esercizio delle funzioni di indirizzo e coordinamento dell’azione strategica del Governo nell’attuazione del Piano. La struttura si occupa altresì di interloquire con la Commissione europea, di verificare la coerenza degli interventi con gli obiettivi programmati e di assicurare lo svolgimento delle attività di comunicazione istituzionale.

La Parte II del Decreto è dedicata alla semplificazione dei procedimenti amministrativi. In particolare, per quanto di interesse, interviene sulle procedure di verifica della compatibilità ambientale dei progetti e di autorizzazione degli impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili.

Nell’ottica di semplificare i procedimenti funzionali allo sviluppo di determinati investimenti, l’art. 14 prevede infatti che, nei casi eccezionali in cui è necessario procedere con urgenza alla realizzazione degli interventi di interesse statale previsti dal PNRR, il ministro competente per la realizzazione dell’intervento può proporre al Ministro dell’ambiente e della sicurezza energetica l’avvio della procedura di esenzione del relativo progetto dall’applicazione delle disposizioni sulla Valutazione di Impatto Ambientale (VIA). Per le medesime finalità, non sarà più necessario, ai fini della procedibilità dell’istanza di VIA, allegare alla domanda l’atto del competente soprintendente del Ministero della cultura relativo alla verifica preventiva di interesse archeologico (cfr. art. 19). Tali disposizioni, considerando l’eccessiva attuale durata dei procedimenti di VIA, sono senz’altro idonee ad accelerare notevolmente l’attuazione dei progetti, risultando in linea con l’obiettivo di semplificazione dell’azione amministrativa. Rimane, tuttavia, da chiedersi se il legislatore abbia adeguatamente preso in considerazione i potenziali rischi sull’ambiente connessi a tali norme, in particolare in relazione alla possibile esenzione da VIA del progetto, comunque sempre da limitare a casi eccezionali, come richiesto dall’Unione Europea (sul punto, si veda la Comunicazione della Commissione 14 novembre 2019/C 386/05, Documento di orientamento relativo all’applicazione delle esenzioni ai sensi della direttiva sulla valutazione dell’impatto ambientale (direttiva 2011/92/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, modificata dalla direttiva 2014/52/UE) — articolo 1, paragrafo 3, e articolo 2, paragrafi 4 e 5).

Il legislatore, stante l’esigenza primaria di conseguire l’efficienza energetica, interviene anche per semplificare le procedure per l’installazione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili.

L’art. 9 istituisce presso il Ministero dell’interno un Comitato centrale per la sicurezza tecnica della transizione energetica e per la gestione dei rischi connessi ai cambiamenti climatici, organo tecnico-consultivo circa le questioni di sicurezza tecnica relative ai sistemi e agli impianti alimentati da idrogeno, nonché ai sistemi di produzione di energia elettrica innovativi.

Si prevede (cfr. art. 47) l’ampliamento delle aree idonee, riducendo la fascia di rispetto dei beni tutelati dal Codice dei beni culturali (d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42) dai sette chilometri attuali per gli impianti eolici a tre chilometri e dal chilometro per gli impianti fotovoltaici a cinquecento metri. La medesima disposizione stabilisce poi che l’installazione degli impianti fotovoltaici su terra e delle relative opere connesse e infrastrutture necessarie nelle zone a destinazione industriale, artigianale e commerciale è considerata attività di manutenzione ordinaria, non essendo quindi subordinata all’acquisizione di permessi, autorizzazioni o atti di assenso comunque denominati.

L’art. 47 interviene altresì sulle disposizioni in materia di Autorizzazione Unica per gli impianti rinnovabili, di cui al d.lgs. 29 dicembre 2003, n. 387, prevedendo che la partecipazione al procedimento del Ministro della cultura è limitata alle sole ipotesi in cui siano interessate aree vincolate. L’Autorizzazione è idonea a ricomprendere anche il provvedimento di VIA e, nel caso di pompaggi, il rilascio della concessione ai fini delle acque. Si fissa infine la durata massima del procedimento in centocinquanta giorni.

Il Decreto, per contrastare comportamenti inerti delle amministrazioni preposte alla tutela del paesaggio, dispone che per l’installazione di impianti fotovoltaici di piccola dimensione nelle zone con vincolo paesaggistico, ove il proponente non riceva una risposta entro quarantacinque giorni dalla presentazione della richiesta, trova applicazione il meccanismo del silenzio-assenso.

Per il resto, il legislatore ha intrapreso la via della semplificazione attraverso diverse norme perlopiù derogatorie della disciplina vigente, soprattutto in relazione al Codice dei contratti pubblici, e acceleratorie, dimezzando anche i termini previsti dal d.p.r. 8 giugno 2001, n. 327 (c.d. TU espropri), fatta eccezione per la durata ancora quinquennale del vincolo preordinato all’esproprio. Al momento in cui si scrive il Decreto PNRR-ter è in fase di conversione. Il 24 febbraio 2023 è stato infatti presentato al Senato un disegno di legge di conversione, in corso di esame in commissione parlamentare a partire dal 23 marzo. Sarà probabilmente necessario attendere il decorso dei consueti sessanta giorni per il testo definitivo, comprensivo anche degli eventuali emendamenti approvati in sede di conversione.

3. UNA NUOVA ALLEANZA TRA AMMINISTRAZIONE E CITTADINI di Beatrice Tabacco

Il 24 novembre 2022 è stato approvato in Giunta capitolina il nuovo Regolamento per l’amministrazione condivisa dei beni materiali ed immateriali di Roma Capitale. Questo delibera, elaborata dall’assessore al Decentramento e Partecipazione e Servizi al Territorio per la Città dei 15 minuti, sembra voler rappresentare per Roma un nuovo approccio alla collaborazione tra amministrazione e cittadinanza attiva. Gli elementi di novità sono molti, a partire dalle modalità di accesso ai beni. Il regolamento risponde a diverse esigenze che sono state manifestate dalla cittadinanza attiva durante i mesi di preparazione del testo. In particolare, è stata avanzata una richiesta di semplificazione per l’accesso ai beni e alle procedure, insieme alla designazione di soggetti specifici degli uffici pubblici per l’interlocuzione con gli utenti privati. Queste richieste sono state accolte; il regolamento si mostra come un cambio di passo tra il vecchio e il nuovo.

In primo luogo, all’articolo 5 del Regolamento è prevista una figura di raccordo tra cittadini attivi e amministrazione comunale, rappresentato dal Responsabile Unico di Procedimento. Si tratta di un funzionario che “costituisce il punto di contatto tra i cittadini attuatori del patto e gli altri uffici dell’amministrazione interessata. Rientrano tra le funzioni del R.U.P. oltre a quanto previsto ai successivi artt. 7 e 8, la convocazione di incontri con i cittadini attivi nella fase iniziale per co-progettare il patto e, successivamente, per la sua implementazione. In generale, il R.U.P. gestisce il rapporto di collaborazione fra i cittadini attivi coinvolti nell’attuazione delle azioni previste dal patto e l’amministrazione. Le sue funzioni si svolgono per l’intera durata del patto di riferimento”. Questo funzionario, che sarà presente in ogni municipio e dipartimento, rappresenterà per i cittadini l’interfaccia con gli uffici dell’amministrazione. L’inserimento della figura del R.U.P. rappresenta la buona intenzione di diminuire la distanza percepita dalla cittadinanza attiva con l’amministrazione.

In secondo luogo, nello specifico ambito dei patti di collaborazione, all’articolo 7, è prevista la possibilità di individuare un facilitatore o un promotore civico che segua la formazione del patto dall’inizio fino alla sotto scrittura. I procedimenti per i patti di collaborazione rappresentano il punto d’incontro di diverse intenzioni e punti di vista per il bene oggetto del patto. Passando dalla fase della coprogrammazione e coprogettazione, il patto deve rappresentare la sintesi della volontà dell’amministrazione e della cittadinanza attiva. Questo processo, di per sé oggettivamente complesso, potrebbe essere più facile se “un facilitatore opportunamente formato sulla materia di cui al presente Regolamento che, oltre agli adempimenti procedimentali, curi l’interlocuzione con i cittadini attivi facilitando sia la fase di co-progettazione e di formazione dei patti, sia la fase della loro attuazione”.

In ultimo, sempre riguardo i patti di collaborazione, l’amministrazione si impegna “a facilitare il più possibile le attività di comunicazione/informazione/accesso ai cittadini attivi interessati ai patti di collaborazione sia attraverso l’individuazione del facilitatore di cui all’art.7 comma 2 all’interno di ciascuna struttura organizzativa titolare del bene comune, sia attraverso la sezione web dedicata”. Il passaggio a mezzi di comunicazione più informali rappresenta un’ulteriore dimostrazione dell’impegno dell’amministrazione per la diffusa e semplificata applicazione del regolamento. L’impegno prevede il “favorire lo scambio di informazioni con i cittadini attivi privilegiando strumenti rapidi ed informali quali contatti telefonici, piattaforme di messaggistica elettronica ed e-mail”. Sono diversi, quindi, i tentativi presenti nel Regolamento per andare a formare una nuovo tipo di rapporto tra l’amministrazione locale e la cittadinanza attiva. Il Regolamento per ora è stato approvato solo dalla Giunta e deve ancora essere votato dall’assemblea capitolina. Ovviamente, non per forza una più facile comunicazione rappresenta meno ostacoli applicativi, però sicuramente l’intenzione sembra essere questa. Questi tentativi rappresentano una novità non solo per il panorama romano ma per le amministrazioni locali in generale. Se i procedimenti risultassero davvero semplificati, il Regolamento per l’amministrazione condivisa dei beni materiali ed immateriali di Roma Capitale potrebbe rappresentare un contributo fondamentale per una maggiore efficienza della nostra pubblica amministrazione.

4. POLO STRATEGICO NAZIONALE: IL RUOLO DELLE SOCIETÀ A PARTECIPAZIONE PUBBLICA di Elena Valenti

Il Tar Lazio, sezione I-bis, con sentenza del 13 marzo 2023, n. 4338, ha dichiarato inammissibile l’offerta presentata da Tim S.p.A. in qualità di mandataria del raggruppamento temporaneo di imprese costituito con C.d.p. Equity S.p.A., Leonardo S.p.A. e Sogei S.p.A.

La procedura riguarda l’affidamento, mediante partenariato pubblico-privato, della gestione e realizzazione del Polo Strategico Nazionale, la cui realizzazione rappresenta un obiettivo fondamentale della missione n. 1 del P.N.R.R di promuovere la transizione digitale e la competitività attraverso la diffusione di connessioni veloci in tutto il paese.

Con determinazione del 22 giugno 2022, n. 15, era stata disposta l’aggiudicazione in favore del raggruppamento Fastweb S.p.A. e Aruba S.p.A. Tuttavia, come previsto dall’art. 183, comma 15, del d.lgs. n. 50/2016, il soggetto Promotore RTI Tim si è avvalso della facoltà di esercitare il diritto di prelazione, impegnandosi così a realizzare il progetto alle stesse condizioni di Fastweb e Aruba.

Questi ultimi hanno contestato tale aggiudicazione con ricorso n. 8702/2022, di cui è possibile individuare tre gruppi di censure. Il primo gruppo attiene alla costituzione della gara e alla acquisizione del ruolo di promotore da parte di Tim, il secondo gruppo attiene all’ammissibilità dell’offerta proposta dai concorrenti per violazione della lex specialis e il terzo riguarda vizi attinenti all’esercizio del diritto di prelazione.

Con riferimento al secondo gruppo di motivi il Tar ha accolto le censure e ha ritenuto l’offerta incompatibile con quanto prescritto dalla disciplina di gara, con la conseguenza che Tim avrebbe dovuto essere esclusa. L’offerta è infatti incompatibile con la lex specialis sia in merito alla collocazione dei data center presso aree che presentino un ridotto rischio sismico, sia per quanto attiene alla violazione della distanza minima tra i due data center, non rispettata dal progetto presentato da Tim e necessaria a consentire la realizzazione di tutti i servizi in modo efficace.

In questa sede, tuttavia, appare utile soffermarsi sul primo gruppo di censure, con le quali i ricorrenti intendevano dimostrare che, consentendo la partecipazione alla procedura di un raggruppamento composto quasi per intero da società a partecipazione pubblica, si sarebbe snaturato lo schema del partenariato contrattuale, «piegandolo allo schema del partenariato istituzionale», data l’assenza di una procedura ad evidenza pubblica per la scelta del socio privato.

Attraverso tale schema, inoltre, sarebbe stato violato l’art. 180 del d.lgs. n. 50/2016, che prevede il limite del finanziamento a carico della pubblica amministrazione nella misura del quarantanove per cento del costo dell’investimento complessivo.

I giudici del Tar Lazio, tuttavia, hanno dichiarato inammissibili le censure proposte riguardanti la costituzione della gara, considerandole tardive, in quanto grava in capo al ricorrente l’onere di farle valere mediante impugnazione del provvedimento conclusivo della prima fase di gara, con il quale si nominava il raggruppamento Tim “promotore” nell’ambito della procedura.

I ricorrenti hanno inoltre sostenuto che la partecipazione di una società in house, Sogei, ad una società di progetto, come previsto dalla procedura di gara, violasse le norme del Testo unico in materia di società a partecipazione pubblica. In particolare, la partecipazione pubblica diretta al RTI di Sogei doveva essere previamente autorizzata dal Ministero dell’economia e delle finanze e risultare rispondente alle finalità istituzionali. Il Tar, al contrario, ha osservato come l’art. 7-bis del decreto-legge n. 80 del 2012 abbia espressamente autorizzato Sogei alla costituzione di società per la realizzazione di progetti di trasformazione digitale del PNRR affidati alla medesima società.

Secondo i ricorrenti, tale disposizione avrebbe legittimato la costituzione da parte di Sogei di società finalizzate ai predetti obiettivi di trasformazione digitale (in deroga all’articolo 4 del TUSP), ma non avrebbe esonerato la medesima Sogei dal rispetto delle procedure di cui agli articoli 5, 6, 7 e 8 del TUSP. In realtà, è lo stesso TUSP, all’art. 5, ad escludere un onere di analitica motivazione dell’atto deliberativo quando la costituzione di una società sia astrattamente prevista da una norma di legge, fattispecie alla quale è ascrivibile il caso in esame.

Le disposizioni del TUSP non sono applicabili anche per un’altra ragione dirimente, ossia in quanto tali previsioni hanno la finalità di tutelare la concorrenzialità del mercato, che non viene limitata dalla presenza di una società di progetto, la quale può svolgere solo e unicamente l’attività che le è stata affidata.

Inoltre, nel nostro ordinamento, non esiste alcuna norma che imponga alle società pubbliche, nella costituzione di un raggruppamento temporaneo di imprese, al fine di partecipare ad una gara pubblica, l’obbligo di selezionare l’operatore privato parte del raggruppamento mediante una procedura di evidenza pubblica.

 Un altro aspetto da mettere in evidenza consiste nel fatto che Sogei, per il tramite del raggruppamento temporaneo, si trova a collaborare con una società pubblica quotata in borsa, ossia Leonardo S.p.A.

Leonardo opera nel settore della difesa e della sicurezza e ha contribuito negli anni alla formazione della cyber security dell’amministrazione, sia mediante la scelta della strategia di governance, sia nella protezione dei sistemi e delle applicazioni funzionali all’erogazione dei servizi ai cittadini. Nell’ambito della sicurezza interna, Leonardo vanta varie collaborazioni di natura istituzionale, in partenariato pubblico privato, secondo i modelli promossi dal Ministero per lo sviluppo economico, come ad esempio il Competence Center, attivo nel Sistema della protezione dei dati nel processo di progressiva digitalizzazione del paese e dei suoi sistemi. La scelta di coinvolgere nel raggruppamento temporaneo di imprese Leonardo, società leader nel mercato e che svolge attività in settori strategici nazionali, risponde all’esigenza di raggiungere nel modo più efficiente la missione numero 1 del Piano nazionale di ripresa e resilienza. La pronuncia del Tar Lazio, pur accogliendo parzialmente il ricorso e la censura di inammissibilità dell’offerta presentata da Tim, conferma indirettamente l’importanza che possono assumere le società pubbliche, anche quotate, nello svolgimento di compiti strumentali strategici per la pubblica amministrazione.

5. NUOVO CODICE DEI CONTRATTI PUBBLICI: VIA IL LIMITE DEL 49% ALLA CONTRIBUZIONE PUBBLICA IN MATERIA DI PARTENARIATO di Antonio Iuliano

Il 1° aprile è entrato in vigore -con efficacia dal 1° luglio 2023- il nuovo Codice dei contratti pubblici, approvato in via definitiva dal Consiglio dei ministri lo scorso 28 marzo. 

Tra le novità più significative rilevano quelle in materia di Concessioni, in particolare, per ciò che qui interessa, quelle relative alla Finanza di progetto.

Tale istituto viene a tutti gli effetti considerato una particolare modalità di finanziamento delle Concessioni, venendo consequenzialmente ricondotto a tale modello.

Difatti, come precisato dalla Relazione del Consiglio di stato allo schema del nuovo Codice, non si tratta più di due tipi contrattuali diversi, come invece prevedeva -prevede, considerato che sarà abrogato a decorrere dal 1° luglio 2023 e che, ciononostante, troverà applicazione ai procedimenti già in corso a quella data, oltre che ai contratti stipulati nel periodo di vigenza – il d. lgs. 50/2016, ma dello stesso contratto, quello di concessione, che può essere finanziato tanto in corporate financing quanto in project financing.

Ciò è inoltre confermato dalla collocazione sistematica dell’istituto all’interno del nuovo Codice: la finanza di progetto è disciplinata dal titolo IV (La finanza di progetto), della parte II (Dei contratti di concessione), del libro IV (Del partenariato pubblico-privato e delle concessioni).

Sin dalle sue origini una delle ragioni che rende particolarmente attrattivo il Project financing, e in generale il PPP contrattuale, è la possibilità -per le ragioni che vedremo- di aggirare i vincoli di finanza pubblica, particolarmente stringenti  a seguito della crisi del debito pubblico e delle conseguenti politiche di spending review (a partire dal d.l. 52/2012 convertito con modificazioni dalla l. 94/2012 e dal d.l. 95/2012 convertito con modificazioni dalla l. 135/2012).

Gli elementi essenziali del Partenariato contrattuale sono due: il trasferimento del rischio operativo -inteso come il rischio di mercato dei servizi cui è strumentale l’opera realizzata (rischio di domanda) oppure il rischio di disponibilità (rischio di offerta), potendo gli stessi ricorrere anche congiuntamente- e l’equilibrio economico-finanziario -inteso come contemporanea presenza della convenienza economica e della sostenibilità finanziaria, in altri termini come la capacità del progetto di coprirne i costi e di rimborsare il capitale di debito nonché di remunerare quest’ultimo e il capitale di rischio.

Al fine di garantire l’equilibrio economico-finanziario, funzionale alla corretta allocazione dei rischi, gli artt. 165 co. 2 e 180 co. 6 del d. lgs. 50/2016 -efficaci fino al 30 giugno 2023- prevedono che, in sede di gara, l’amministrazione aggiudicatrice possa stabilire anche un prezzo, consistente in un contributo pubblico o nella cessione di immobili (ovvero di diritti di godimento sugli stessi, se strumentali e tecnicamente connessi all’opera da realizzare), purché l’eventuale riconoscimento del prezzo, sommato alle eventuali garanzie pubbliche e agli ulteriori meccanismi di finanziamento a carico della P.A., non superi il 49% del costo dell’investimento complessivo (comprensivo degli eventuali oneri finanziari).

Detto limite è funzionale a garantire in concreto il trasferimento del rischio operativo.

Una previsione a tratti simile ma rispondente a differenti finalità è quella contenuta nel Manual on Government deficit and debt (MGDD) di Eurostat, emanato in attuazione del SEC 2010 (come definito del Regolamento (UE) n. 549/2013).

In particolare, il punto 55 del par. IV.4 del MGDD afferma testualmente che, nell’ambito di un contratto di PPP, se la maggior parte del finanziamento della spesa è sostenuta dalla parte pubblica (in varie forme, anche tra loro combinate, ad es. contributi a fondo perduto, garanzie e prestiti), la P.A. sopporta la maggior parte dei rischi del progetto e, di conseguenza, gli asset devono essere contabilizzati sul bilancio della stessa.

Detta previsione, dunque, in linea con il contesto normativo in cui è inserita, si concentra sulla qualificazione dell’operazione come on/off balance ed è particolarmente significativa proprio alla luce degli stringenti vincoli di finanza pubblica sopra richiamati. Difatti, in caso di superamento del limite (50%) previsto, l’operazione di PPP grava sul bilancio pubblico.

Come precisato dall’ANAC con delibera 432/2022, la finalità delle due disposizioni -quella codicistica e quella contenuta nel MGDD- è differente: la prima riguarda la vera e propria legittimità e natura dell’operazione, la seconda la qualificazione on/off balance degli asset.

Dunque, la previsione di cui al d. lgs. 50/2016, come rilevato anche dal Consiglio di stato in sede di relazione allo schema del nuovo Codice, pone un tetto che sembra rilevante ai fini della stessa configurazione del tipo contrattuale (concessione/appalto), con tutte le conseguenze che ne derivano, in primis in relazione alla disciplina applicabile all’operazione.

Nel nuovo Codice dei Contratti pubblici, mentre resta invariata la previsione circa la possibilità di prevedere un prezzo al fine di garantire l’equilibrio economico-finanziario, scompare il riferimento al limite del 49%, essendo previsto (art. 177, co. 7), ai soli fini di contabilità pubblica, un rinvio diretto alle decisioni Eurostat, prevedendo che l’eventuale riconoscimento di un contributo pubblico in misura superiore a quella prevista dalle predette decisioni (50%) non consenta la contabilizzazione degli asset fuori bilancio.

Ciononostante, il comma 6 dello stesso articolo prevede che non si applichino le disposizioni sulle concessioni ma quelle sugli appalti laddove l’operatore economico sia sollevato da qualsiasi perdita potenziale, essendogli comunque garantito un ricavo minimo pari o superiore agli investimenti effettuati e ai costi sostenuti, in altri termini nel caso in cui non ci sia trasferimento del rischio operativo.

Il limite alla contribuzione pubblica, dunque, ai fini della qualificazione dell’operazione come concessoria, diventa esclusivamente qualitativo (trasferimento del rischio operativo), rilevando il limite quantitativo esclusivamente ai fini della contabilizzazione (on/off balance), con tutto ciò che ne deriva in termini di disciplina applicabile e di finanza pubblica.

E’ interessante rilevare come la precedente disciplina (d. lgs. 50/2016) abbia richiesto un intervento chiarificatore dell’ANAC in relazione all’applicabilità del limite del 49% rispetto ai contributi europei a fondo perduto. L’ANAC, con delibera 432/2022, ha chiarito che entrambe le disposizioni -quella MGDD e quella del d. lgs. 50/2016- riguardano soltanto gli oneri finanziari a carico dello Stato. Da ciò consegue che, ove si tratti di risorse europee a fondo perduto (grants), i limiti in questione non trovano applicazione, gli stessi risultano invece applicabili ove si tratti di prestiti onerosi soggetti a obbligo di restituzione da parte dello Stato italiano (loans). Detto chiarimento è particolarmente rilevante ai fini degli investimenti legati al PNRR, essendo gli stessi in parte finanziati da contributi eurounitari a fondo perduto e in parte da prestiti onerosi. Alla luce della disciplina posta dal nuovo Codice, la succitata distinzione continuerà a rilevare ai fini della contabilizzazione dell’operazione, nonché per la valutazione relativa all’allocazione dei rischi.

6. GEOTERMIA: TRA FER 2 E CONCESSIONI MINERARIE di Gaspare Mariani

Il 24 gennaio a Roma si è tenuto un incontro tra l’Unione geotermica italiana e il Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza energetica. L’importanza di tale incontro è da ravvisarsi nel pieno sviluppo del Green deal europeo, per quel che concerne, in particolare, lo sviluppo della geotermia e del suo sistema incentivante, ai fini della climatizzazione delle città più grandi affidata ancora ai combustibili fossili. Dopo l’incontro è stato confermato il contingente incentivabile di 100 MW per gli impianti tradizionali con innovazione, auspicandosi un aumento dei 40 MW di contingente per gli impianti a re-immissione totale fino alla soglia dei 60 MW. Gli incentivi andranno dai 100 ai 200 euro/MWh a seconda della tipologia di impianto (100 per i tradizionali e 200 per quelli a re-immissione totale). Non è certo che vengano tenuti meccanismi di premialità come per esempio 30 MWh aggiuntivi per i primi 10 MW installati in un’area “vergine”. L’unione geotermica italiana inoltre ha presentato un quadro da 400 MW installabili in Italia nel prossimo decennio (di cui la metà da parte di Enel Green power).

L’energia geotermica è l’energia che si sviluppa dal calore contenuto nella sfera terrestre. Le risorse geotermiche estraibili entro i 5 km di profondità sarebbero in grado di soddisfare il quintuplo dell’intero fabbisogno energetico nazionale. Questo grande potenziale, però, varia in base alle zone geografiche. Il calore aumenta in media di 3 gradi ogni 100 metri, salvo anomalie geologiche e vulcaniche. Per avere una produzione di energia elettrica servono temperature al di sopra dei 140 gradi (raggiunte in Toscana, nel Tirreno e nelle isole). Bastano temperature decisamente minori per coprire il fabbisogno delle pompe di calore e teleriscaldamento. La geotermia è considerata (al pari di biogas e solare termodinamico) una fonte di energia rinnovabile “innovativa”. L’utilizzo di tecnologia più avanzata richiede quindi un costo in termini economici più elevato rispetto al tradizionale eolico e fotovoltaico. Nonostante la geotermia si attesti intorno al 2% del fabbisogno nazionale di energia e al 5% di quella rinnovabile, l’Italia è una delle nazioni più avanzate per quanto riguarda questa fonte (in Toscana, a Larderello, è presente la centrale geotermica più grande d’Europa). La prima bozza del FER 2 delinea nel dettaglio i meccanismi di incentivazione delle rinnovabili diverse dal fotovoltaico per una cifra massima di 5,5 miliardi di euro all’anno (cifra monitorata dal GSE). I meccanismi di incentivazione si rivolgono: agli impianti nuovi, integralmente ricostruiti, riattivati se la potenza è inferiore a quella di soglia; impianti ibridi con potenza complessiva non superiore a quella di soglia; impianti in rifacimento totale o parziale (non sottoposti a procedura d’asta); impianti potenziati se la differenza tra la potenza pre e post-potenziamento risulti non superiore al valore di soglia. Gli impianti nuovi e ibridi che superano la potenza di soglia accedono ai meccanismi di incentivazione tramite partecipazione a procedure competitive di aste al ribasso. Anche per gli impianti oggetto di potenziamento vi può essere la procedura competitiva tramite asta al ribasso se la differenza pre e post potenziamento è superiore al valore di soglia. Accedono però, ad esempio, direttamente agli incentivi (senza procedura competitiva) gli impianti con potenza nominale fino a 50kW. Il valore della potenza di soglia per gli impianti geotermoelettrici è di 20.000 kW (contro i 5.000 delle altre FER). Per accedere ai meccanismi di incentivazione bisogna richiedere al GSE l’iscrizione al registro informatico della FER relativa. Le procedure d’iscrizione sono stabilite il 31 gennaio di ogni anno. Il GSE forma poi la graduatoria in base a criteri gerarchici, che tengono conto, ad esempio, degli impianti iscritti al precedente registro che non sono rientrati nel limite di potenza previsto, ovvero della semplice precedenza della richiesta di iscrizione al registro. Gli impianti geotermoelettrici inclusi nelle graduatorie devono entrare in esercizio entro 24 mesi dalla comunicazione di esito positivo della procedura. Per ogni mese di ritardo viene applicata una decurtazione dello 0,5 % della tariffa incentivante. Superati i dodici mesi di ritardo, gli impianti che fanno richiesta per l’anno successivo subiranno la decurtazione del 15% della tariffa. A chiudere il quadro vi è la necessità di programmare il futuro delle concessioni minerarie in Toscana, alla luce della imminente, fissata al 31 dicembre 2024.  Nessuna legge regionale definisce le modalità del rinnovo di tali concessioni. Secondo il d.lgs. 22/2010, recante la normativa in materia di ricerca e coltivazione delle risorse geotermiche, le concessioni dovranno essere riassegnate per un periodo di 30 anni tramite gare. Tali gare dovevano essere previste, entro il 31 dicembre 2021, da una legge regionale, che tuttavia non risulta, allo stato, emanata. Ci si domanda, allora, se la proroga delle concessioni in esame sia compatibile con l’assetto delineato dall’ordinamento europeo. Va infatti rilevato che in tutti i Paesi che sfruttano l’energia geotermica non è prevista alcuna gara, essendovi rinnovo automatico dopo un periodo più o meno variabile. In alcuni Paesi europei la durata delle concessioni è addirittura superiore ai 30 anni previsti dall’ordinamento italiano: in Francia e Germania, ad esempio, le concessioni hanno una durata di 50 anni, mentre in Portogallo si arriva addirittura a 90 anni.

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