Lab-IP

LABORATORIO PER L’INNOVAZIONE PUBBLICA 8/2023

5/12/2023

Indice:

1. LE SOVVENZIONI ESTERE NEL SETTORE CALCISTICO: SEGNALAZIONI DEI PRIVATI E PRIMI COMMENTI DALLA COMMISSIONE EUROPEA di Riccardo Zinnai

2. STRUMENTI FINANZIARI QUOTATI DIVERSI DALLE AZIONI ED ESENZIONE DAL T.U.S.P. di Elena Valenti

3. GOLDEN POWER, ULTIME NOVITÀ: IL D.L. 104/2023 AMPLIA ULTERIORMENTE I POTERI DEL GOLVERNO di Gian Marco Ferrarini

4. DDL CAPITALI: NUOVE PROSPETTIVE DI GOVERNANCE PER LE SOCIETA’ QUOTATE di Marta Nigrelli

5. LA MANCATA ATTIVAZIONE DEL SOCCORSO ISTRUTTORIO VIOLA IL PRINCIPIO DEL RISULTATO di Cristiana Traetta

6. RESPONSABILITA’ PRECONTRATTUALE DELLA P.A. NELLA FINANZA DI PROGETTO. BREVI RIFLESSIONI ALLA LUCE DI RECENTI DECISIONI GIURISPRUDENZIALI di Antonio Iuliano

7. I PREZZI DEL VETRO CAVO SOTTO LA LENTE DELL’AGCM di Andrea Nardone

8. REGOLE DALLA CORTE COSTITUZIONALE IN MATERIA DI DELEGIFICAZIONE DELL’ORGANIZZAZIONE AMMINISTRATIVA DELLA GIUNTA REGIONALE di Martina Bordi

1. LE SOVVENZIONI ESTERE NEL SETTORE CALCISTICO: SEGNALAZIONI DEI PRIVATI E PRIMI COMMENTI DALLA COMMISSIONE EUROPEA di Riccardo Zinnai

Durante una conferenza tenutasi a Bruxelles il 22 novembre 2023, il capo unità Eddy De Smijter, operante all’interno della Direzione Generale per la Concorrenza della Commissione europea, ha affermato che la Commissione ha ricevuto varie segnalazioni contenti informazioni su presunte sovvenzione estere. Tuttavia, la Commissione non ha ancora deciso di usare i propri poteri investigativi d’ufficio.

Uno dei settori in cui si sospetta che possano esservi dei foreign subsidies è quello del gioco del calcio. Infatti, la massima serie calcistica spagnola, nota come LaLiga, ha provveduto a rilasciare un comunicato stampa in data 12 agosto 2023 nel quale annunciava di aver segnalato alla Commissione europea un possibile caso di presenza di sovvenzioni estere. Essa riteneva infatti che la squadra francese Paris-Saint Germain, anche nota con l’acronimo di PSG, ricevesse sovvenzioni estere dallo Stato del Qatar.

In particolare, la LaLiga si duole che il Paris-Saint Germain possa ottenere risorse a condizioni non di mercato grazie alle quali si renderebbe possibile l’ingaggio di talentuosi calciatori e allenatori mentre ciò non sarebbe possibile se si operasse alle normali condizioni di mercato. Allo stesso tempo, si renderebbe possibile aumentare le entrate legate alle sponsorizzazioni, anch’esse non corrispondenti al valore di mercato. Tutto ciò risulterebbe in un significativo aumento della performance sportiva. Vi sarebbe quindi una distorsione nel mercato interno e segnatamente nel settore delle competizioni sportive in quanto queste sovvenzioni estere porterebbero ad un aumento artificiale del valore della società calcistica in confronto alle altre società non percettrici di sovvenzioni estere. Da qui la scelta de LaLiga di confidare in un’investigazione d’ufficio della Commissione europea, ai sensi del Regolamento (UE) 2022/2560 relativo alle sovvenzioni estere distorsive del mercato interno.

Tuttavia, già durante una conferenza tenutasi a Bruxelles il 13 settembre 2023 il capo unità Nicola Pesaresi, impiegato all’interno della Direzione Generale per la Concorrenza, ha fatto sapere che la Commissione europea intende concentrarsi sul garantire l’effettivo funzionamento del sistema di notifiche operante per le concentrazioni e gli appalti pubblici. L’obiettivo è di rendere tale meccanismo agile e snello sia per gli operatori che per le imprese. Pertanto, la Commissione non ritiene una priorità investigare le segnalazioni su presunte sovvenzioni estere nel settore calcistico ed è dell’avviso che sia opportuno muoversi con grande cautela. Come detto in apertura, a fine novembre 2023 non risultano ancora pendenti procedure investigative d’ufficio.

Per comprendere questa notizia si ricorda che il Regolamento sulle sovvenzioni estere prevede tre meccanismi per azionare l’esame della Commissione europea su presente sovvenzioni estere distorsive del mercato interno. Il primo è l’esame d’ufficio ai sensi dall’articolo 9 comma 1 nel quale si prevede che la Commissione possa, di propria iniziativa, esaminare le informazioni provenienti da qualsiasi fonte (includendo quindi sia gli Stati membri sia i privati) relative a presunte sovvenzioni. Il secondo ed il terzo meccanismo si basano invece su un sistema di notifiche preventive riguardanti rispettivamente le concentrazioni (art. 21) e gli appalti pubblici (art. 29).

Può aiutare a comprendere perché i primi casi di richiesta di applicazione del regolamento riguardino segnalazioni provenienti dai privati ricordare quanto previsto dall’articolo 54. Mentre generalmente il regolamento è divenuto applicabile dal 12 luglio 2023, il sistema di notificazioni preventive ha cominciato ad applicarsi solo a partire dal 12 ottobre 2023. Si ricorda anche che la Commissione può esaminare sovvenzioni estere concesse anche nei cinque anni precedenti il 12 luglio 2023 purché continuino ad avere effetti distorsivi oltre tale data. Vi è stato quindi un trimestre in cui l’esame d’ufficio era l’unica procedura disponibile.

Anche le segnalazioni provenienti dal mondo calcistico si spiegano considerando l’amplissimo ambito di applicazione del regolamento. Infatti, nel primo comma dell’articolo 1 si afferma che le distorsioni del mercato interno prodotte dalle sovvenzioni estere possono verificarsi in relazione a qualsiasi attività economica. Da qui si evince, come del resto è riportato anche nel considerando 3, che il regolamento riguarda tutti i settori economici, compresi quelli di interesse strategico per l’Unione e le infrastrutture critiche.

Il comunicato stampa de LaLiga fa anche implicitamente riferimento a vari aspetti del regolamento. Da un lato l’applicabilità del regolamento è legata all’esercizio di un’attività economica nel mercato interno. Le sovvenzioni di un’attività calcistica possono ben essere analizzate ai sensi del regolamento 2022/2560 perché non vi è un’importazione di beni provenienti da Paesi terzi che determinerebbe invece l’applicazione del diverso regolamento 2016/1037. Inoltre, vi è una sovvenzione estera quando un contributo finanziario viene fornito direttamente o indirettamente da un paese non membro dell’Unione, qualora detto contributo conferisca un vantaggio selettivo ad un’impresa operante nell’Unione (art. 3).

L’insistenza sull’effetto distorsivo all’interno del comunicato stampa de LaLiga non è casuale ma, al contrario, è profondamente aderente al dettato normativo. Infatti, l’articolo 4 è relativo alla definizione di distorsione sul mercato interno, la quale si ritiene esistente quando la sovvenzione estera migliora la posizione concorrenziale di un’impresa nel mercato interno e si abbia quindi un’incidenza negative – sia effettiva sia potenziale – sulla concorrenza. Infatti, la mera esistenza di una sovvenzione estera non è di per sé sufficiente ad autorizzare la Commissione ad imporre misure di riparazione. Occorre che la sovvenzione estera sia distorsiva e che tali effetti negativi non siano bilanciabili, all’esito di una valutazione comparata, con eventuali effetti positivi sul mercato interno.

Questo caso analizzato mostra vari profili di interesse. Già in fase di prima applicazione del regolamento si nota una differenza tra gli obiettivi della Commissione in materia di politica commerciale e il comportamento dei privati che vedono nel regolamento nuove possibilità di difesa da possibili concorrenti economici. La Commissione sembra volersi concentrare specialmente su settori ritenuti strategici, come ad esempio il settore energetico e della transizione ecologica, in un quadro di rivalità economica con la Cina. Il settore calcistico non riveste invece tale carattere strategico e le sovvenzioni in questione provengono da paesi medio-orientali.

Tuttavia, un totale disinteresse di fronte tali questioni non sarebbe in linea con il comportamento antecedente della Commissione, la quale in passato ha invece avuto modo di occuparsi degli aiuti di Stato concessi da alcuni Stati membri nel settore calcistico. Ad esempio, nel caso C-362/19 P Commissione europea c. Fútbol Club Barcelona la CGUE aveva confermato la decisione della Commissione la quale aveva ravvisato che il Regno di Spagna avesse introdotto un aiuto di Stato sotto forma di privilegio fiscale. Poiché il regolamento 2022/2560 tende a riprodurre per le sovvenzioni estere la disciplina sugli aiuti di Stato di cui all’art. 107 TFUE allo scopo di imporre una limitazione agli aiuti di Stati terzi paragonabile ai divieti per gli Stati membri, sarebbe singolare per la propria Commissione discostarsi dai propri precedenti.

Inoltre, investigare le sovvenzioni estere nel settore calcistico potrebbe essere un modo per la Commissione di dimostrare che il regolamento non sia stato pensato come uno strumento da usare esclusivamente contro la Repubblica popolare cinese.

Ciò nonostante, non si può affermare che la Commissione sicuramente investigherà il caso. Infatti, la disciplina dell’esame d’ufficio da parte della Commissione prevede sì che la Commissione possa acquisire informazioni anche da privati ma non vi è una procedura formalizzata. Resta quindi da vedere se e in che modo i privati o anche gli Stati membri proveranno a reagire a fronte dell’inerzia della Commissione. In ogni caso, i primi casi saranno utili per migliorare l’operatività delle procedure che la Commissione dovrà seguire.

2. STRUMENTI FINANZIARI QUOTATI DIVERSI DALLE AZIONI ED ESENZIONE DAL T.U.S.P. di Elena Valenti

Il Consiglio Nazionale dei dottori commercialisti e degli esperti contabili, per il tramite dell’osservatorio Enti Pubblici e Società partecipate, con documento n. 13254 del 15 novembre 2023, si è pronunciato circa la questione relativa alla sorte delle società a partecipazione pubblica che si definiscono società quotate in virtù dell’emissione di strumenti finanziari diversi dalle azioni.

Nel corso degli ultimi anni sono pervenute diverse segnalazioni al Consiglio Nazionale dei dottori commercialisti da parte di società a partecipazione pubblica quotate i cui strumenti finanziari non azionari sono prossimi alla scadenza.

Il problemaattiene alla configurabilità della società a partecipazione pubblica come società quotata nel caso in cui lo strumento finanziario giunga a scadenza.

Ci si chiede se la società perda lo status di società quotata in modo irreversibile, oppure se una nuova emissione di titoli di eguale natura sia idonea alla conservazione dello status, almeno finché la società si trovi in costanza di emissione.

La questione affrontata risulta rilevante in quanto la riconducibilità di una società a partecipazione pubblica nel perimetro delle società a partecipazione pubblica quotate comporta l’esclusione dall’applicazione del T.u.s.p, come disposto dall’art. 1, comma 5, dello stesso Testo unico.

Dunque, l’attrazione al perimetro delle società a partecipazione pubblica quotate comporta una differenziazione delle norme che regolano la vita della società.

Secondo quanto disposto dal T.u.s.p. all’art. 2, comma 1, per società quotate si intendono quelle società che <<emettono azioni quotate in mercati regolamentari e le società che hanno emesso, alla data del 31 dicembre 2015, strumenti finanziari, diversi dalle azioni, quotati in mercati regolamentari >>.

Parte della scienza giuridica ritiene che tale cesura temporale abbia la funzione di evitare una impropria estensione dell’ambito di applicazione del Testo unico, con funzione antielusiva.

Con riferimento alle società emittenti strumenti finanziari diversi dalle azioni il legislatore ha previsto, all’art. 26, comma 5 del Testo unico, che si possano considerare quotate anche le società a partecipazione pubblica che abbiano emesso detti strumenti all’esito di un procedimento concluso entro il termine di dodici mesi dall’entrata in vigore del Testo unico, dunque entro il 23 settembre 2017.

Per le sole società del comparto energetico il d.l. 17 maggio 2022, n. 50, all’art. 52, comma 1-bis, prevede che gli strumenti finanziari diversi dalle azioni debbano essere emessi inderogabilmente alla data del 31 dicembre 2021.

La definizione unitaria del Testo unico, che rappresenta la volontà da parte del legislatore di equiparare le società quotate a quelle che hanno emesso strumenti finanziari diversi dalle azioni, si deve all’accoglimento delle osservazioni presentate con dossier n. 322 del 2016 nel corso dei lavori preparatori del Testo unico dalla Commissione V Bilancio della camera.

La Commissione V Bilancio auspicava una ridefinizione della nozione di società quotata al fine di includervi le società che avessero avviato processi di emissione di strumenti finanziari quotati diversi dalle azioni in mercati regolamentati, già posti in essere alla data di emissione del Testo unico.

La definizione di società a partecipazione pubblica quotata confluita nell’art. 2, lettera p), del Testo unico risulta essere dunque una nozione che affianca, secondo parte della scienza giuridica, una nozione statica ed una transitoria.

Tuttavia, la norma non chiarisce se l’esaurimento dello strumento finanziario comporti l’attrazione nell’ambito di applicazione del Testo unico ovvero se la società possa considerarsi esclusa dall’ambito applicativo nel caso di successiva emissione di strumenti di eguale natura.

Secondo il Consiglio Nazionale dei commercialisti e dei dottori contabili l’assenza di una norma chiarificatrice depone in favore della considerazione che il Testo unico si limiti a dettare le condizioni per l’acquisto dello status di società a partecipazione pubblica quotata, ma non neghi in alcun modo che alla scadenza la società possa, con una nuova emissione, considerarsi una società a partecipazione pubblica quotata.

Stando alla lettera della norma, dunque, è condizione espressa soltanto che la prima emissione sia già avvenuta al dicembre 2015, ovvero che il procedimento si sia stato avviato entro il 30 giugno 2016 e si sia perfezionato nei dodici mesi successivi all’entrata in vigore del Testo unico.

L’emissione degli strumenti finanziari avvenuta nei termini indicati dalla norma si pone non solo come conditio sine qua non ai fini dell’ascrivibilità come società quotata, ma anche come antecedente in grado di consentire alla società il mantenimento dello status di società quotata, che va considerato in corrispondenza dell’arco di durata di ciascuna successiva emissione, purché sia presente un carattere continuativo.

Tale interpretazione del vuoto normativo consente di evitare una ingiustificata differenziazione di trattamento in presenza di condizioni fattuali immutate, nonché di interferire sulle prospettive di ricorso al credito e più in generale sul legittimo affidamento degli azionisti.

In particolare, si tratta di considerare l’eventualità in cui la scadenza dello strumento finanziario coincida con il rinnovo dell’affidamento da parte degli azionisti.

Si tiene in considerazione che gli investimenti della società siano spesso supportati proprio dagli strumenti finanziari giunti a scadenza.

Il Consiglio Nazionale dei dottori commercialisti e degli esperti contabili ha inoltre suggerito una possibile revisione della disciplina, per rispondere alle diverse esigenze di finanziamento.

In particolare, sarebbe possibile prevedere da parte del legislatore diverse soluzioni che vadano al di là della mera logica transitoria finora adottata.

Per esempio, subordinare l’equiparazione alla funzionalizzazione dell’emissione ad un piano di investimenti legato alla gestione di talune attività di particolare rilievo (come i servizi di interesse economico generale) o prevedere una applicazione selettiva delle norme speciali del Testo unico e non una sottrazione totale.

La lettura della disposizione proposta dal Consiglio Nazionale dei dottori commercialisti e degli esperti contabili si pone come punto di equilibrio tra due diverse contrapposte esigenze: la volontà del legislatore di impedire fenomeni elusivi e ragionevolezza nell’interpretazione della norma.

Se accolta nella sua interezza, l’interpretazione così esposta avrebbe una conseguenza iniqua: le società a partecipazione pubblica che hanno emesso strumenti finanziari diversi dalle azioni alla data indicata dal legislatore vanterebbero un favor da parte del legislatore rispetto alle società che emettono strumenti finanziari successivamente alla data del 31 dicembre 2015.

Seppur è indubbio che nella scrittura del Testo unico il legislatore ha dimostrato un certo favor nei confronti delle società che avevano emesso strumenti finanziari entro la cesura temporale, la ratio della norma è da ravvisare nella tutela degli investitori che avevano sottoscritto gli strumenti finanziari anteriormente alla data in vigore del Testo unico (più precisamente, anche prima che fossero diffuse le prime bozze del Testo unico) e non nella volontà di conferire a quest’ultime società una posizione di vantaggio assoluta.

Si tratta di una esigenza di tutela avvertita da legislatore nei confronti degli investitori che avevano sottoscritto gli strumenti finanziari diversi dalle azioni nella consapevolezza del regime giuridico applicabile. Tuttavia, è auspicabile e necessario un intervento del legislatore che possa colmare il vuoto normativo.

3. GOLDEN POWER, ULTIME NOVITÀ: IL D.L. 104/2023 AMPLIA ULTERIORMENTE I POTERI DEL GOLVERNO di Gian Marco Ferrarini

Il 9 ottobre scorso è stato convertito con la legge n. 136 il c.d. Decreto Omnibus (d.l. 104/2023) recante disposizioni urgenti a tutela degli utenti, in materia di attività economiche e finanziarie e investimenti strategici. Tale provvedimento ha, tra le altre cose, introdotto importanti modifiche alla normativa concernente l’esercizio dei poteri speciali da parte del Governo, conseguenziali, in parte, alla pubblicazione, avvenuta lo scorso luglio, della relazione annuale al Parlamento in materia di Golden Power per l’anno 2022.

La principale novità riguarda l’introduzione di un nuovo paragrafo all’articolo 2, co. 1-ter del d.l. 21/2012. Nella specie, la nuova disposizione prevede che: “In ogni caso, quando gli atti, le operazioni e le delibere hanno ad oggetto attivi coperti da diritti di proprietà intellettuale afferenti all’intelligenza artificiale, ai macchinari per la produzione di semiconduttori, alla cybersicurezza, alle tecnologie aerospaziali, di stoccaggio dell’energia, quantistica e nucleare, e alle tecnologie di produzione alimentare e riguardano uno o più soggetti esterni all’Unione europea, la disciplina del presente articolo si applica anche all’interno di un medesimo gruppo, ferma restando la verifica in ordine alla sussistenza dei presupposti per l’esercizio dei poteri speciali.”

L’intervento legislativo de quo ha anzitutto esteso l’ambito applicativo della normativa Golden Power anche alle operazioni condotte all’interno di uno stesso gruppo societario (c.d. operazioni infragruppo), ciò però al ricorrere di due requisiti: in primo luogo tali operazioni devono coinvolgere soggetti esterni all’Unione europea; inoltre devono riguardare i settori strategici di cui sopra.

Pertanto, la novità introdotta col Decreto Omnibus segna una sostanziale differenza rispetto alla disciplina previgente. Invero, sebbene fossero in ogni caso soggette all’obbligo di notifica, le operazioni realizzate nell’ambito di un medesimo gruppo societario erano però oggetto di una apposita eccezione rispetto all’applicazione della disciplina sui poteri speciali: il governo, cioè, avrebbe potuto esercitare questi ultimi solamente nell’ipotesi in cui le operazioni infra-gruppo, come, ad esempio, il trasferimento della sede sociale in un paese non Ue, o il mutamento dell’oggetto sociale, oppure lo scioglimento della società e via dicendo, avessero contenuto elementi di attenzione strategica, quali la minaccia di grave pregiudizio alla sicurezza e al corretto funzionamento delle reti, e alla continuità degli approvvigionamenti o il pericolo per la sicurezza e l’ordine pubblico.

Per effetto del recente intervento normativo sembrerebbe dunque essersi determinata un’inversione nel rapporto regola-eccezione rispetto all’esercizio del Golden Power nei casi di operazioni infragruppo, rimanendo in ogni caso ferma la necessità di una preventiva verifica in ordine alla sussistenza dei presupposti per l’esercizio di tali poteri.

Proseguendo nell’analisi della disposizione, appare utile porre in evidenza un ulteriore dato: oltre ad incrementare l’ambito delle attività di rilevanza strategica,la nuova disciplina si focalizza, altresì, sulla categoria dei diritti di proprietà intellettuale. Prima di questo intervento normativo, infatti, l’unico rimando a tale categoria era quello contenuto nella normativa di attuazione, in particolare all’articolo 9 del d.p.c.m n. 179/2020, ove sono individuati come rilevanti ai fini dell’applicazione dei poteri speciali, i diritti di proprietà intellettuale relativi alle tecnologie critiche nel settore dell’intelligenza artificiale, della robotica, dei semiconduttori, della cybersicurezza, delle nanotecnologie e delle biotecnologie.

In forza della novità introdotta con il d.l. 104/2023, la categoria dei diritti di proprietà intellettuale risulta ora espressamente prevista anche nel d.l. 21/2012, in particolare all’articolo 2, co. 1-ter, e si estende non più solo ai settori indicati dal d.p.c.m. 179/2020 ma anche all’area delle tecnologie aerospaziali, di stoccaggio dell’energia, quantistica e nucleare nonché delle tecnologie di produzione alimentare.

In questo modo, il legislatore intende estendere l’attenzione non soltanto agli assetti legati al mero controllo societario, che pure rappresentano il cuore dell’intera disciplina del Golden Power, ma anche ai vincoli contrattuali che riguardano la proprietà intellettuale inerente, comunque, alle attività strategiche.

Nella nuova normativa, perciò, assumono rilevanza fondamentale per l’applicazione dei poteri speciali anche le proprietà intellettuali, da considerarsi, per l’appunto, beni primari, al pari delle partecipazioni societarie o del controllo di complessi aziendali di particolare interesse pubblico.

Le conseguenze di una simile scelta da parte del legislatore italiano sono evidenti: si finisce per incidere direttamente nelle future decisioni dei singoli gruppi societari, sui quali grava, ora, l’onere di valutare attentamente eventuali operazioni di centralizzazione dei diritti di proprietà intellettuale, presso un’unica società, sia essa capogruppo o controllata, quando ne determinino il trasferimento all’estero.

Infatti, nonostante rimanga inalterata la catena di comando, è sufficiente che all’interno di un medesimo gruppo si verifichi il semplice passaggio dei diritti di proprietà intellettuale da una società, italiana, ad altra, straniera e non situata all’interno dell’Ue, affinché, in astratto, si attivi l’obbligo di notifica alla Presidenza del Consiglio dei ministri per ottenere il via libera preventivo al trasferimento che, in assenza della valutazione positiva da parte dell’autorità pubblica preposta, non può avere altrimenti luogo.   La ratio sottesa alle nuove norme va rintracciata in un generico obiettivo di tutela e salvaguardia dell’industria italiana, specialmente in quei campi che rivestono un interesse pubblico per le tecnologie applicate e le invenzioni brevettate. Alla luce, poi, di una situazione geopolitica sempre più instabile e di un evidente conflitto tra potenze industriali, interessate ad acquisire le infrastrutture strategiche degli altri paesi e ad assimilarne le tecnologie, il legislatore italiano ha optato per un indirizzo conservativo e protezionistico. Non è un caso, infatti, che le misure analizzate trovino collocazione all’interno di un decreto che preveda anche un innalzamento a 10 anni del divieto di delocalizzazione per le grandi aziende che hanno usufruito di incentivi statali, pena l’obbligo di restituire gli incentivi ricevuti.

4. DDL CAPITALI: NUOVE PROSPETTIVE DI GOVERNANCE PER LE SOCIETA’ QUOTATE di Marta Nigrelli

Il 24 ottobre 2023 il Senato ha approvato il Disegno di legge n. 674, noto come “DDL Capitali”, concernente interventi a sostegno della competitività dei capitali e delega al Governo per la riforma organica delle disposizioni in materia di mercati dei capitali.

Il testo si compone di 27 articoli, alcuni dei quali intervengono direttamente sui sistemi di governance delle società quotate.

Al riguardo, il 16 novembre 2023, la Consob ha pubblicato una memoria tecnica, soffermandosi su alcuni articoli del DDL Capitali relativi alla corporate governance delle società quotate, in materia di lista del board, voto maggiorato e delega per la riforma del TUF, evidenziando l’importanza di mantenere coerenza con gli obiettivi di riforma e di adottare regole in linea con il diritto europeo e le migliori pratiche internazionali per garantire la semplificazione e la stabilità normativa nel settore.

Il nuovo articolo 12 del DDL consente alle società quotate di includere nel loro statuto la facoltà per il Cda uscente di presentare una lista di candidati per l’elezione dell’organo amministrativo. Questo articolo stabilisce un meccanismo specifico per tale presentazione. La pratica di presentare liste da parte del CdA nel sistema italiano di voto di lista ha generato preoccupazioni di trasparenza, portando l’Istituto a richiamare l’attenzione sul processo di formazione delle liste del CdA (Richiamo di attenzione n. 1/2022).

In linea con quanto evidenziato nel Richiamo di attenzione n. 1/2022, il termine anticipato di deposito e pubblicazione della lista del CdA uscente (individuato nel quarantesimo giorno precedente la data dell’assemblea) risulta idoneo a consentire ai soci la valutazione delle proposte del consiglio con congruo anticipo prima della presentazione di eventuali proprie liste.

Il DDL introduce, inoltre, un meccanismo di votazione individuale dei candidati al Cda, che si applica se la lista presentata dal consiglio uscente risulta prima.

Questo meccanismo, che è in linea con la prassi di altri Paesi europei, garantisce che i consiglieri siano eletti sulla base dell’espressione della volontà dei soci sui singoli candidati.

La previsione che richiede che la lista del consiglio abbia un numero di candidati più ampio rispetto a quello dei componenti dell’organo da eleggere, sebbene rappresenti un fattore di complessità, è funzionale alla possibilità per l’assemblea di scegliere i candidati più graditi.

Inoltre, la presenza di candidati ulteriori nella lista di maggioranza facilita il rispetto del criterio di riparto tra generi e degli ulteriori requisiti di composizione del consiglio (art. 147-ter, comma 1-ter TUF).

Tuttavia, la previsione del voto individuale sui candidati potrebbe rivelarsi problematica nella pratica, in particolare nelle società che dovessero optare per lo svolgimento delle assemblee esclusivamente per il tramite del rappresentante designato (art. 135-undecies TUF).

In queste società, infatti, potrebbe risultare più complesso garantire ai soci, nel rispetto delle formalità previste, il diritto ad esprimere il proprio voto in un momento antecedente all’assemblea.

Infine, è previsto che l’eventuale comitato avente competenze in tema di controlli e rischi sia presieduto da un amministratore indipendente nominato dalle liste di minoranza dei soci.

Questa previsione limita la capacità del consiglio di amministrazione, una volta eletto, di assegnare la presidenza del comitato all’amministratore con le competenze più adatte, a prescindere dalla lista di provenienza.

Infatti, è importante che la scelta del presidente del comitato tenga conto di tutte le professionalità presenti nel consiglio, assicurando così che il ruolo sia ricoperto dalla figura più adatta, anche in considerazione della complessità del settore in cui opera la società.

Pertanto, laddove il legislatore intendesse comunque mantenere una disposizione in merito alla composizione del comitato controllo e rischi, sarebbe preferibile una riformulazione della norma che si limitasse a richiedere la presenza all’interno del comitato di (almeno) un amministratore indipendente nominato dalle liste di minoranza dei soci, ove presente.

Per quanto riguarda i poteri di intervento della Consob, è prevista una delega per l’emanazione di disposizioni attuative della norma in materia di elezione dei componenti del consiglio di amministrazione.

Tuttavia, la delega alla Consob presenta alcuni problemi: il termine previsto di soli 30 giorni è troppo breve per consentire alla Consob di svolgere una consultazione pubblica con il mercato e di valutare gli esiti; inoltre, non è chiaro quali aspetti dovrebbero essere disciplinati dalla Consob, considerato l’elevato livello di dettaglio della disposizione proposta a livello primario.

In assenza di più specifiche indicazioni del legislatore, si ritiene opportuno valutare di prevedere una facoltà e non un obbligo per la Consob di intervenire a livello regolamentare.

In caso di obbligo di intervento, viene segnalata la necessità di prolungare il termine per l’emanazione delle disposizioni attuative e di specificare gli aspetti da disciplinare.

È fondamentale definire l’ambito di intervento della Consob, proprio perché essa svolge un ruolo di vigilanza sui mercati finanziari, in termini di vigilanza regolamentare, cioè sulle regole che l’autorità stessa ha elaborato (avendo essa un’ampia competenza normativa, che richiede un alto tecnicismo) e di vigilanza informativa (potendo chiedere e fornire informazioni).

Infine, la Consob è dotata di poteri di vigilanza ispettiva, per svolgere eventualmente la sua funzione di vigilanza sanzionatoria: l’attività di sorveglianza che svolge la Consob è funzionale, infatti, a garantire la corretta e trasparenza delle operazioni sui mercati finanziari, proprio allo scopo di prevenire condotte illecite.

Le previsioni del DDL, così come le osservazioni formulate dalla Consob, si inseriscono in un settore (quello dei mercati finanziari) in cui operano diversi soggetti, pubblici e privati, e in cui parallelamente sono impiegate risorse pubbliche e private.

Il nuovo quadro normativo, dunque, risulta in coerenza anche con l’obiettivo del Testo Unico in materia di società a partecipazione pubblica, che all’art. 1, comma 2, prevede l’applicazione delle relative disposizioni avendo riguardo all’“efficiente gestione delle partecipazioni pubbliche, alla tutela e promozione della concorrenza e del mercato, nonché alla razionalizzazione e riduzione della spesa pubblica”.

Come noto, l’art. 1, comma 5, del TUSP prevede che le disposizioni del decreto si applichino alle società quotate solo se espressamente previsto: l’esclusione delle società quotate dai TUSP è giustificata dalla necessità di evitare distorsioni del mercato e di penalizzare le società a partecipazione pubblica che si confrontano con società concorrenti. Inoltre, l’applicazione parziale della disciplina del TUSP tiene in considerazione che tali società sono già sottoposte a una disciplina di settore che, attraverso stringenti regole di trasparenza e regole speciali di governance, favorisce l’attuazione delle finalità comunque previste dal TUSP.

Il bilanciamento tra profilo pubblico e privato rende necessario porre l’attenzione sui possibili impatti del nuovo DDL sulle società in cui interesse pubblico e privato vengono riuniti in un soggetto giuridico ad hoc: le società miste, riconducibili al modello del partenariato pubblico-privato.

Tali società risultano comunque sottoposte ad una disciplina volta a garantire, da un lato, la tutela della concorrenza, evitando che la peculiarità di tali società (la partecipazione pubblica) possa tradursi in indebiti vantaggi anticoncorrenziali, dall’altro, l’estensione dei vincoli tipicamente pubblicistici per evitare meccanismi di elusione a causa della forma di diritto privato di tali società.

Stante la particolarità di tale forma societaria, l’art. 17 del TUSP consente alle società miste di ricorrere ad una governance societaria speciale rispetto alla disciplina codicistica.

La selezione dell’operatore privato mediante procedura di evidenza pubblica avente il duplice oggetto di scelta del partner privato e affidamento ad esso della missione (nel rispetto dei principi di parità di trattamento, non discriminazione e trasparenza) influisce necessariamente sulla compagine sociale: è prevista, infatti, in capo al socio privato, la soglia minima del trenta per cento per titolarità di una quota di partecipazione (artt. 7, comma 5, 17 TUSP).

Le finalità e la connotazione “pubblica” dell’oggetto sociale non incidono comunque sulla natura giuridica dell’ente, che rimane di diritto privato, sebbene suscettibile di applicazione della disciplina pubblicistica: in tal senso, l’atto costitutivo rappresenta il momento contrattuale di riferimento, sia per la definizione specifica del modello societario sia per la determinazione delle quote di partecipazione.

Con riferimento ai rapporti endosocietari, l’individuazione del corretto equilibrio tra parte pubblica e privata è affidata alla logica dell’ingegneria statutaria, potendo infatti ricorrere all’assetto di governance che meglio risponde alle esigenze dei soci e alle disposizioni del codice civile, dirette a rafforzare sia l’influenza del socio privato sulla gestione operativa della società (artt. 2468, comma 3, 2479 c.c.) sia le competenze del socio pubblico in caso di partecipazione minoritaria (artt. 2473-bis, 2479-bis c.c.).

In questa prospettiva, il DDL Capitali, intervenendo su profili che richiedono elevati requisiti di trasparenza e correttezza, potrebbe contribuire a rafforzare l’articolata disciplina che, attraverso diverse fonti, si propone di regolare i rapporti sempre più intersecati tra attori pubblici e privati, nei diversi contesti in cui essi si instaurano. Lo scopo, infatti, è quello di migliorare il contesto normativo e regolatorio, per modernizzare e rendere più efficienti mercati di capitali italiani.

5. LA MANCATA ATTIVAZIONE DEL SOCCORSO ISTRUTTORIO VIOLA IL PRINCIPIO DEL RISULTATO di Cristiana Traetta

La pronuncia del TAR Bolzano n. 316/2023 dello scorso 25 ottobre ha annullato la procedura di gara indetta dalla Provincia Autonoma di Bolzano per aver omesso il soccorso istruttorio nei confronti del partecipante che avrebbe potuto aggiudicarsi il contratto.

La Provincia ha pubblicato un bando per l’affidamento di servizi di collaudo tecnico-amministrativo, statico, tecnico funzionale degli impianti e antincendio per l’opera “Circonvallazione dell’abitato di Perca sulla SS 49 Val Pusteria” nel comune di Perca.

Nella lex specialis essa ha inserito la richiesta di indicare all’interno della documentazione amministrativa, la composizione del gruppo di lavoro. Si prevedeva poi di inserire in apposito allegato dell’offerta tecnica, eventuali lavori referenziati in affinità con i servizi oggetto dell’appalto. Per sopperire ad eventuali carenze e/o omissioni è stata prevista espressamente la possibilità di attivare il cd. soccorso istruttorio, inter alia. Ancora si stabiliva la possibilità di richiedere chiarimenti (c.d. soccorso procedimentale) volti a superare le eventuali ambiguità ai fini della più corretta interpretazione della volontà del dichiarante.

Tra i criteri di valutazione dell’offerta tecnica, con riguardo ai sub-criteri della professionalità ed adeguatezza, è stato inserito quello delle referenze. In particolare la corrispondenza fra il professionista che ha realizzato il lavoro referenziato e quello che risulta incaricato della medesima prestazione nell’appalto avrebbe comportato l’assegnazione di un punteggio aggiuntivo. Entrambi i partecipanti hanno commesso un errore nella redazione della composizione del gruppo rispetto al quale però la s.a. ha agito diversamente: ha invitato a fornire chiarimenti solo uno dei due operatori, che poi si è aggiudicato la gara. Nessuna maggiorazione di punteggio per il ricorrente, che per soli due punti perde la chance del contratto. Questi lamenta proprio, fra i vari motivi, che la errata assegnazione dei punteggi è dipesa dalla mancata richiesta di chiarimenti nei suoi confronti: dalla lettura degli altri documenti emergeva subito la materialità dell’errore nella compilazione del gruppo di lavoro, la cui mancata possibilità di correzione ha determinato l’impossibilità di valutare positivamente le referenze allegate. Allo scopo sarebbe stato sufficiente un’integrazione che la s.a. avrebbe dovuto consentirgli.

Il giudice ritiene irrilevante che l’errore dell’aggiudicatario fosse conoscibile già in sede di controllo della documentazione amministrativa, mentre quello del ricorrente fosse individuabile solamente in sede di valutazione dell’offerta tecnica. La Commissione, una volta resasi conto dello sbaglio, avrebbe dovuto rimettere gli atti all’Autorità di gara, richiedendo l’attivazione del soccorso istruttorio/procedimentale come accaduto nei confronti dell’altro concorrente.

Tale operato dell’Amministrazione sembra porsi in contrasto con il principio di trattamento, viola la lex specialis e non si pone in linea con gli indirizzi giurisprudenziali sull’istituto. Pare utile richiamare l’orientamento della giurisprudenza amministrativa che, a fronte di carenze documentali o dichiarative, afferma “La sanabilità nei limiti in cui si tratti di rimediare ad una carenza strettamente formale della sua manifestazione esteriore, come accade nel caso in cui la suddetta volontà, pur non consacrata in un documento all’uopo destinato sia comunque desumibile da altri documenti di gara.” (Consiglio di Stato, sez. III, 27.10.2022, n. 9147). Il dubbio sull’interpretazione dei documenti ben poteva esser chiarito attivando il rimedio, poiché la volontà dell’operatore economico emergeva già dalla documentazione tecnica. Si ravvisa un contrasto con l’interesse individuale, ma anche con quello pubblico: la ratio del soccorso si rinviene proprio nell’esigenza di evitare che errori ed omissioni meramente formali possano compromettere l’interesse pubblico a stipulare il contratto con l’operatore economico che presenti la migliore offerta in termini di qualità e di prezzo.

Viene affermato che “l’istituto del soccorso istruttorio, come anche quello procedimentale, deve essere interpretato alla luce del principio del risultato di cui all’art. 1 del nuovo codice degli appalti”. Il perseguimento del risultato, infatti, deve orientare quale criterio-guida l’azione amministrativa nella selezione del concorrente che risulti il più idoneo all’esecuzione delle prestazioni oggetto dell’affidamento. Da ciò deriva che l’operato della stazione appaltante la quale, attraverso erronee valutazioni, impedisca all’operatore economico che abbia presentato la migliore offerta di aggiudicarsi la commessa, è illegittimo anche sotto il profilo della violazione del cd. principio del risultato.”

Si rende necessario, soprattutto a fronte delle ingenti quantità di denaro che con il PNRR stanno entrando nelle casse italiane, che lo svolgimento delle procedure di gara non sia condizionato da eccessivo formalismo tale da pregiudicare la qualità dell’offerta e del pieno raggiungimento dell’obiettivo della s.a. D’altronde non si comprende come possa accettarsi l’esclusione del concorrente che ha presentato quella che risulta essere la migliore offerta in conseguenza di una mera svista, peraltro del tutto sanabile attraverso un’opportuna iniziativa da parte dell’amministrazione aggiudicatrice. Non si vuole dire che laddove vi sia l’offerta migliore l’Amministrazione possa raggirare le norme in virtù di un miglior risultato conseguibile, bensì solo che quando l’esclusione della miglior offerta dipenda esclusivamente da un errore effimero, insignificante, che può essere corretto, ciò deve indiscutibilmente essere fatto. Resta sempre fermo il divieto di correzioni che celino modifiche sostanziali.

Il principio del risultato costituisce anche il parametro per valutare il modus operandi della stazione appaltante e contestarlo in tutti quei casi di empasse dovuti a formalità del tutto prive di fondamento logico. Compito degli operatori economici non deve essere per forza quello di saper presentare le documentazioni di gara, quanto piuttosto quello di saper portare a termine la prestazione oggetto del contratto.  Secondo consolidata giurisprudenza l’obbligo di soccorso istruttorio serve ad evitare l’esclusione dalla gara di un operatore economico dovuta al solo fatto di aver prodotto una documentazione incompleta od irregolare sotto il profilo formale, in conformità al principio del favor partecipationis. Un simile dovere dovrebbe ritenersi quanto mai rafforzato laddove la finalità correttiva consenta l’accesso e l’aggiudicazione al contraente che ha formulato l’offerta migliore in termini di qualità e prezzo. In effetti sembra esser proprio questo l’obiettivo ultimo della disciplina della selezione del contraente da parte delle Pubbliche Amministrazioni, rispetto ai quai la concorrenza e le regole che scandiscono la procedura che porta all’affidamento si pongono sempre quali mezzi per raggiungere il fine. Inoltre, non può non sottolinearsi che tale ingiustificabile resistenza nei confronti del soccorso istruttorio non è in linea con la nuova disciplina contenuta nell’art. 101 del nuovo codice appalti, la quale, recependo gli orientamenti giurisprudenziali stratificatisi sul tema, ne ha indubbiamente ampliato ambito di utilizzo e tipologie.

6. RESPONSABILITA’ PRECONTRATTUALE DELLA P.A. NELLA FINANZA DI PROGETTO. BREVI RIFLESSIONI ALLA LUCE DI RECENTI DECISIONI GIURISPRUDENZIALI di Antonio Iuliano

Il tema della responsabilità precontrattuale della P.A. nell’ambito delle procedure di Finanza di progetto – e più in generale quello delle pretese risarcitorie nei confronti di un ente concedente- si intreccia inevitabilmente con la struttura bifasica delle procedure stesse, le quali si compongono, com’è noto, di una prima fase di individuazione del progetto di pubblico interesse e di scelta del promotore (con conseguente inserimento del progetto nello strumento di programmazione triennale) e di una seconda fase di messa a gara del progetto precedentemente individuato.   

Cosa accade allorché un ente concedente, dopo aver dichiarato un progetto di pubblico interesse e, di conseguenza, aver individuato il soggetto promotore, non bandisca la gara?

Per svolgere alcune brevi riflessioni sul tema, può essere utile partire da una recente sentenza della V Sezione del Consiglio di Stato, la n. 9298 del 27 ottobre 2023. La sentenza origina da una controversia tra una società che a giugno 2013 aveva presentato un’iniziativa di Finanza di Progetto dichiarata di pubblico interesse dalla Giunta comunale di Caserta, con conseguente individuazione della medesima società quale soggetto promotore – cui, ricordiamo, spetta il diritto di prelazione in sede di successiva gara. Nelle more della procedura, il Comune di Caserta veniva commissariato e a luglio 2015 il commissario straordinario annullava in autotutela il precedente provvedimento adottato dalla Giunta.

La società proponeva pertanto ricorso dinanzi al Tar, contestando la legittimità dell’annullamento d’ufficio e chiedendo il risarcimento dei danni subiti.

Per ciò che qui interessa, la società lamentava la lesione dei principi di legittimo affidamento e di lealtà nella fase delle trattative, chiedendo la reintegrazione dell’interesse contrattuale negativo, sia sotto il profilo del danno emergente, sia sotto quello del lucro cessante, facendo rientrare in tale ultima categoria anche l’utile che le sarebbe derivato dall’esecuzione del progetto in quanto promotore abilitato a esercitare il diritto di prelazione.

A seguito della reiezione del ricorso da parte del TAR, la società proponeva appello. 

Ad avviso dell’appellante, la qualifica di soggetto promotore sarebbe stata idonea a far emergere una posizione differenziata e qualificata, con conseguente assimilazione alla posizione delle parti nella fase precontrattuale di cui all’art. 1337 c.c.

Il Consiglio di Stato, pur rigettando l’appello, ricorda dapprima come le regole della legittimità amministrativa e quelle di correttezza operino su piani distinti e autonomi, nella misura in cui, ad esempio, l’accertamento della validità degli atti impugnati non implica che l’amministrazione sia esente da responsabilità per i danni comunque subiti dal privato destinatario degli stessi (v. anche CdS, sez. V, n. 5274/2021).

La Sezione richiama poi l’Adunanza plenaria 21/2021, che chiarisce come il legittimo affidamento sia ormai un principio generale anche nei rapporti di diritto amministrativo, ossia quelli che scaturiscono dall’esercizio del potere pubblico. Ciò essendo riprovato anche dall’evoluzione dell’art. 1, co. 2-bis, della L. 241/1990, il quale dispone che i rapporti tra cittadino e P.A. sono improntati ai principi di collaborazione e buona fede. Per non ricordare, poi, la previsione di cui all’art. 5 del nuovo Codice dei Contratti pubblici (ratione temporis evidentemente inapplicabile alla controversia in questione). Così concepito, il dovere di collaborazione e di buona fede ha portata bilaterale nella ricostruzione offerta dal Consiglio di Stato, discendendo da ciò l’assoggettamento dell’agire amministrativo al generale dovere di comportarsi secondo buona fede nella fase pre-contrattuale enunciato dall’art. 1337 c.c., come chiarito dalla stessa Adunanza plenaria con le sentenze 6/2005 e 5/2018.

Diviene allora dirimente l’individuazione del momento idoneo a far sorgere il legittimo affidamento, rispetto al quale, in generale, la giurisprudenza amministrativa, al pari di quella della Corte di Cassazione, tende a non assegnare un rilievo dirompente all’intervenuta aggiudicazione definitiva, stabilendo che la verifica del ragionevole affidamento vada svolta in concreto, in ragione del grado di sviluppo della singola procedura.

E’ necessario, allora, precisare i requisiti che rendono tutelabile l’affidamento, individuati dal Consiglio di Stato nella sua ragionevolezza, nonché nel carattere colposo e ingiustificato della condotta dell’amministrazione, non dovendo al contempo essere inficiato da colpa l’affidamento del concorrente.

Quanto alle poste risarcibili, in caso di responsabilità precontrattuale della P.A. il danno va perimetrato non all’utile che il contraente avrebbe potuto ottenere dall’esecuzione del rapporto, ma al cosiddetto interesse contrattuale negativo, che copre sia il danno emergente che il lucro cessante. Si ricorda, poi, in tema di onere della prova, che si applica anche al giudizio amministrativo in tema di responsabilità precontrattuale l’art. 2697 c.c.. Dunque, colui che chieda il risarcimento deve fornire la prova del danno.

Poste queste premesse, e ritenendo che la richiesta risarcitoria in questione debba qualificarsi in termini di responsabilità precontrattuale, rispetto alla quale può risultare irrilevante la legittimità dell’agire amministrativo – in ciò sostanziandosi una delle differenze fra responsabilità da provvedimento illegittimo ex art. 2043 e responsabilità precontrattuale ex art. 1337 c.c. – il Consiglio di Stato ritiene infondata la pretesa, in quanto la società appellante non poteva nutrire un legittimo affidamento in ordine all’aggiudicazione successiva.

Oltre che dal macroscopico vizio di incompetenza della delibera di Giunta e dalla necessità del perfezionamento di una procedura esecutiva che insisteva sui terreni oggetto della proposta, ciò dipende dalla tempestività dell’intervento in autotutela e, soprattutto, dal fatto che la procedura competitiva -ossia la seconda fase della Finanza di progetto- non era stata neppure avviata, essendosi interrotto il procedimento alla fase di approvazione del progetto.

Il Consiglio di Stato, peraltro, rileva anche l’infondatezza delle richieste risarcitorie in riferimento alle poste addotte. In particolare, quanto al danno emergente non era stata allegata alcuna fattura relativa alle spese sostenute (ma solo progetti di fattura); quanto invece al lucro cessante, non solo non erano state allegate altre occasioni di guadagno perse, ma veniva richiesto l’intero utile positivo, ossia una posta non ascrivibile alla responsabilità precontrattuale, bensì alla responsabilità da illegittimità provvedimentale (dell’aggiudicazione).

Rispetto a tali conclusioni, si spinge oltre la sentenza del Tar Lazio n. 16995/2023 dello scorso 14 novembre, relativa all’annosa vicenda del tratto autostradale Orte-Mestre. Anche qui si chiedeva di accertare la responsabilità precontrattuale dell’ANAS e del MIT per la mancata conclusione di una procedura di Project financing, nonché per il risarcimento dei danni conseguenti o, in subordine, per il ristoro delle spese progettuali.

Per quanto qui di interesse, il Tar dopo aver richiamato quali elementi essenziali della responsabilità precontrattuale della P.A. la colpa e il ragionevole affidamento del privato nella stipula del contratto, da valutare in relazione al grado di sviluppo della procedura, ribadisce che il procedimento relativo alla Finanza di progetto non si sottrae all’osservanza dei principi di correttezza e lealtà previsti dall’art. 1337 c.c. (richiamando sul punto Cons. Stato, Sez. V. 368/2021). Tale richiamo vale anche a sottolineare come l’aggiudicazione definitiva trasformi la posizione vantata dal promotore da aspettativa di mero fatto, ad aspettativa giuridicamente tutelata alla consequenziale stipula del contratto aggiudicato, il cui rifiuto concreta ragione di responsabilità per violazione del canone di correttezza e lealtà.

Assume dunque carattere dirimente l’accertamento in concreto della lesione di un affidamento obiettivamente meritevole di tutela, non essendo sufficiente, per l’attivazione del rimedio risarcitorio, che il privato dimostri la propria buona fede soggettiva, ovvero che abbia maturato un affidamento incolpevole. Nel caso della procedura controversa, peraltro, non era ancora intercorsa l’aggiudicazione. In conclusione, dunque, se in generale la successiva aggiudicazione della gara non è condicio sine qua non dell’affermazione della responsabilità precontrattuale della P.A., in riferimento alla Finanza di Progetto, in ragione della sua struttura bifasica, essa pare finisca surrettiziamente per assumerla.

7. I PREZZI DEL VETRO CAVO SOTTO LA LENTE DELL’AGCM di Andrea Nardone

Con provvedimento n. 30847, pubblicato nel Bollettino n. 43 del 13 novembre 2023, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato ha avviato l’istruttoria, ai sensi dell’art. 14 della legge 10 ottobre 1990, n. 287, nei confronti di nove imprese attive nel commercio di imballaggi e bottiglie di vetro cavo, al fine di accertare se tra le stesse sia intercorsa alcuna intesa orizzontale vietata dall’art. 101 TFUE, nonché dall’art. 2 della suddetta legge n. 287/1990.

La procedura è stata avviata a seguito delle molteplici segnalazioni pervenute all’Autorità, oltre che in forma anonima, anche da parte di un’impresa produttrice di alcolici e da una fondazione senza scopo di lucro. A detta dei segnalanti, le imprese commercianti imballaggi in vetro cavo avrebbero operato un aumento dei prezzi dei prodotti tra loro coordinato, inviando addirittura, via e-mail, comunicazioni di revisione degli stessi sovrapponibili quanto alla rispettiva formulazione letterale. Né tali aumenti dei prezzi, operativi anche in via retroattiva, sarebbero stati ritirati a seguito del venir meno dei costi produttivi addotti.

L’Autorità Antitrust, pertanto, ha provveduto a definire, nel caso di specie, quale sia il mercato rilevante. Esso è stato individuato, dal punto di vista merceologico, nel mercato della produzione e commercializzazione delle bottiglie di vino in vetro; dal punto di vista geografico, invece, nel mercato nazionale, risultando le società parti del procedimento tra i principali operatori italiani.

Dalle informazioni disponibili, l’Autorità ha ritenuto ragionevole desumere l’esistenza di un coordinamento delle strategie commerciali: se le condotte delle società fossero confermate, infatti, le stesse «rivelerebbero l’esistenza di un’alterazione delle dinamiche competitive fra le maggiori imprese operanti nel mercato nazionale della produzione e vendita di vetro cavo per bottiglie di vino e potrebbero essere il risultato di un’intesa orizzontale, sotto forma di accordo e/o pratica concordata, finalizzata ad evitare un corretto confronto concorrenziale tra operatori».

Giova rammentare, in proposito, che tra «pratica concordata» e «accordo» intercorre una differenza non già qualitativa – potendosi ravvisare, in ogni caso, una qualche forma collusiva – quanto piuttosto di intensità. Entrambe le ipotesi, però, sono di difficile prova: ragion per cui, con riferimento all’esistenza di una pratica concordata, la giurisprudenza si accontenta di meri indizi, purché gravi, precisi e concordanti, senza richiedere l’acquisizione di una prova piena (cfr. Cons. Stato, sez. VI, n. 3197 del 2018).  

Da ultimo, l’Autorità ha verificato la sussistenza dell’ulteriore elemento richiesto dall’art. 101 TFUE: il pregiudizio al commercio degli tra Stati membri (cfr. Comunicazione della Commissione – Linee direttrici la nozione di pregiudizio al commercio tra Paesi dell’UE – G.U. C 101 del 27 aprile 2004). L’AGCM, in particolare, ha affermato che «l’intesa ipotizzata appare idonea, laddove accertata, a pregiudicare il commercio tra Stati membri ed è, pertanto, suscettibile di integrare una violazione dell’articolo 101 del TFUE». Alla fase istruttoria cui il provvedimento ha dato avvio avranno diritto di partecipare, mediante richiesta di audizione, i legali delle parti ovvero i loro rappresentanti. Peraltro, in attesa delle determinazioni dell’AGCM – che dovranno giungere entro il 31 dicembre 2024 – vale ricordare che, allorquando un’impresa lamenti violazioni del diritto della concorrenza, parallelamente alla strada del public enforcement la stessa può richiedere altresì i rimedi opportuni, di natura inibitoria e risarcitoria, innanzi all’autorità giudiziaria (private enforcement).

8. REGOLE DALLA CORTE COSTITUZIONALE IN MATERIA DI DELEGIFICAZIONE DELL’ORGANIZZAZIONE AMMINISTRATIVA DELLA GIUNTA REGIONALE di Martina Bordi

La Corte costituzionale si è pronunciata con un’importante sentenza in tema di delegificazione, sent. n. 138/2023.

In particolare, la Corte ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 2, comma 1 della legge della Regione Campania n. 8 del 2010 riguardante “Norme per garantire l’efficienza e l’efficacia dell’organizzazione della Giunta regionale e delle nomine di competenza del Consiglio regionale.”.

L’articolo 2 comma 1, legge reg. n. 8/2010 autorizzava la Giunta regionale a disciplinare, con regolamento, il proprio ordinamento amministrativo in osservanza di criteri generali, come l’imparzialità, il buon andamento, la razionalizzazione organizzativa e in attuazione dei principi dell’attività amministrava posti dallo Statuto regionale.

A seguito dell’entrata in vigore del suddetto regolamento, ai sensi del secondo comma della norma oggetto del giudizio di legittimità, fu abrogata la legge regionale 11/1991 che, precedentemente, regolava l’ordinamento amministrativo della Giunta regionale.

Il nuovo regolamento, concernente l’ordinamento amministrativo, veniva quindi approvato dalla Giunta nel 2011, ex art. 2 l. reg. 8/2010.

La vicenda, che ha dato luogo alla decisione della Corte costituzionale, trae origine dal ricorso al Tar presentato da FEDIRETS (Federazione dirigenti e direttivi – Enti territoriali e sanità) contro la Regione Campania.

In particolare, l’associazione sindacale rappresentante gli interessi dei quadri direttivi e dei dirigenti regionali FEDIRETS, impugna, innanzi al Tar Campania, il regolamento disciplinante l’Ordinamento amministrativo della Giunta regionale e le delibere modificative ed integrative dello stesso.

Il ricorrente sosteneva l’illegittimità costituzionale dell’art. 2, comma 1, leg. reg. n. 8/2010 per contrasto con l’art. 123 della Costituzione in ragione della violazione dell’interposto art. 56, 4 comma dello Statuto regionale poiché, il legislatore regionale, nell’autorizzare la Giunta ad emanare con regolamento l’ordinamento amministrativo, non ha previsto norme generali che regolassero la materia, come previsto dal 4 comma, limitandosi a far riferimento a principi generali dell’azione amministrativa senza delineare un modello organizzativo a cui il regolamento potesse fare riferimento.

Il Tar Campania giudica infondati i profili di illegittimità costituzionale, respingendo integralmente il ricorso poiché il legislatore regionale, secondo la Corte, ha rispettato l’obbligo imposto dallo statuto di indicare al legislatore delegato, in questo caso alla Giunta, le norme regolatrici della materia.

La decisione veniva impugnata da FEDIRETS.

Il Consiglio di Stato considera la questione di legittimità costituzionale rilevante e non manifestatamente infondata per il giudizio, poiché un eventuale accoglimento eliminerebbe il presupposto normativo (art. 2 leg. reg. n. 8/2010) sul quale si basa il regolamento stesso.

Il Collegio, nel porre in luce l’istituto della delegificazione presente all’art. 56, 4 comma, ammette la necessità di norme generali regolatrici della materia nella legge di autorizzazione, dunque nella legge reg. n. 8/2010, che concilino l’istituto della delegificazione con i principi costituzionali.

Il Consiglio di Stato ha, infatti, evidenziato che l’art. 2, 1 comma della legge regionale n. 8/2010, nel fare riferimento ai principi e ai criteri che la Giunta doveva seguire nella predisposizione del regolamento, facesse riferimento a dei criteri che non sono altro che mera riproduzione di principi fondamentali generali dello Statuto, costituzionalmente orientati e inderogabili.

Pertanto, tali criteri risultavano, secondo il giudice rimettente, inidonei ad indirizzare la Giunta verso un modello di organizzazione amministrativa preciso, lasciandola svincolata da norme di riferimento più puntuali.

La Corte costituzionale accoglie la questione, allineandosi a quanto sostenuto dal remittente: la norma censurata postulava principi generali già vincolanti dal dettato costituzionale, e dunque ovvi e non sufficienti a predisporre una disciplina stringente delle prerogative della Giunta. Secondo la Corte, infatti, l’attitudine delle norme generali a regolare la materia si misura anche in relazione alla loro inerenza con l’oggetto della delegificazione.

La legge, inoltre, recando norme generali regolatrici solo per profili parziali e privi di organicità, permetteva al regolamento di invadere spazi in precedenza coperti da norme legislative.

Dalla sentenza della Corte costituzionale emerge come la Regione Campania si sia adeguata ad una tendenza generale di rendere più flessibile la disciplina dell’ordinamento amministrativo regionale, attraverso l’utilizzo dei regolamenti.

Difatti, l’art. 56 4 comma dello statuto regionale riproduce quasi letteralmente il comma 2 dell’art. 17 della legge 400/88 in tema di regolamenti governativi autorizzati alla delegificazione.

Come ribadito da diverse sentenze della Corte costituzionale, la legge di autorizzazione alla delegificazione deve adeguarsi allo statuto regionale, che è fonte sovraordinata con conseguente illegittimità della norma primaria contraria (sent. 178/2019).

Secondo la Corte, compete alla legge determinare il grado di analiticità con il quale disciplinare talune situazioni e lo spazio che può essere aperto alla fonte secondaria. Quest’ultima risulta più efficace nel disciplinare profili di minore impatto sulla vita delle istituzioni essendo in grado di evolvere a seconda delle necessità.

La funzione delle norme generali regolatrici della materia è di delineare il raggio d’azione del regolamento oggetto di delegificazione, avendo le stesse una funzione delimitativa più stringente rispetto a principi e criteri direttivi. Il regolamento non deve completare o integrare la legge primaria ma il suo obiettivo è di sviluppare ulteriormente le norme generali regolatrici della materia.

La Corte, nel delineare le direttrici su cui si fonda il regolamento ribadisce l’importanza anche delle norme di scopo. Queste ultime devono indirizzare il regolamento verso un obiettivo specifico, integrando le norme generali regolatrici della materia. La finalità descritta dalla norma offre un parametro di legalità del regolamento.

L’obiettivo enunciato dal legislatore, quindi, non deve avere tratti di genericità tali da svuotarlo di ogni profilo prescrittivo e dunque della sua funzione di orientare la potestà regolamentare e di costituire uno standard valutativo. Attraverso questa sentenza, la Corte delinea il quadro normativo generale entro cui deve muoversi il regolamento. La fonte secondaria, grazie alla sua natura elastica riesce a disciplinare profili di minore impatto sulla vita delle istituzioni. Tuttavia, ciò non toglie che vi devono essere delle norme regolatrici della materia che risultino precise nell’obiettivo che deve perseguire il regolamento e un quid plus rispetto a principi statutari costituzionalmente orientati che devono essere già di per sé perseguiti.

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