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Ddl Acqua: giusto o sbagliato?

di Vittoria Vetrano

16/10/16

Sono ormai molti anni che nel dibattito pubblico ha assunto un valore cruciale il tema del diritto all’acqua. La rilevanza del tema e la molteplicità delle posizioni emerse hanno determinato infatti sia a livello globale, che nazionale l’elaborazione di testi sul tema del libero accesso all’acqua. In tali contesti si  sono affermate politiche volte ad incentivare il risparmio idrico, a prevenire le perdite facendo riferimento al concetto di acqua come elemento scarso e come elemento “pesante” relativamente ai costi notevoli per spostarla da un territorio ad un altro. Da questa nuova valutazione ne è seguito il dibattito sul tema dell’infrastruttura per la gestione della risorsa idrica, e l’analisi costi-benefici sulle scelte allocative. Si è fatto quindi ricorso al concetto dello “stress idrico” per indicare stati di carenza o di difficile reperibilità della risorsa. Ecco che allora i dibattiti hanno preso piede in modo sempre più vivace e spesso demagogico  anche nel panorama italiano. Questo perché la delicatezza del tema  apre a prese di posizione ideologiche sulla concretizzazione del diritto umano all’acqua come diritto universale indivisibile e imprescrittibile. Diritto che il nostro Parlamento mai hai osato scalfire. La questione poi, ha preso una piega sempre più incerta in seguito al Referendum  del 2011 che ha sancito l’abrogazione del cosiddetto « decreto Ronchi » (articolo 23-bis del decreto legge n. 112 del 2008, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 133 del 2008) e ha soppresso la parte del comma 1 dell’articolo 154 del decreto legislativo n. 152 del 2006, relativa all’adeguata remunerazione del capitale investito, eliminando la possibilità per il gestore di ottenere profitti garantiti sulla tariffa. Modifiche queste dovute data la palese volontà popolare, ma certamente strumentalizzate e figlie di equivoci.  Veniamo quindi al tema della proposta di legge denominata “Princìpi per la tutela, il governo e la gestione pubblica delle acque e disposizioni per la ripubblicizzazione del servizio idrico, nonché delega al Governo per l’adozione di tributi destinati al suo finanziamento” presentata su iniziativa dei deputati all’attenzione della Camera nel marzo 2014. Come si legge anche  nella relazione preparata per la discussione in Assemblea gli obiettivi e le finalità sottostanti alla proposta di legge sono il riconoscimento del diritto all’acqua a ogni cittadino stabilendo una quantità minima garantita a carico della fiscalità generale, la tutela del patrimonio idrico come bene comune pubblico inalienabile a protezione delle future generazioni, l’istituzione di forme e metodi di informazione e di consultazione preventiva dei cittadini rispetto alle decisioni, l’identificazione di criteri per il finanziamento del diritto all’acqua e per un uso responsabile delle risorse idriche e la definizione delle modalità di finanziamento del servizio idrico integrato attraverso la fiscalità generale, la finanza pubblica e la tariffa; si prevede inoltre l’istituzione di un apposito fondo al fine di accelerare gli investimenti nel servizio idrico integrato, con particolare riferimento alla ristrutturazione della rete idrica, finanziato tramite anticipazione della Cassa depositi e prestiti Spa. Il cuore del dibattito però ruota tutto introno all’articolo 6, il quale prescrive l’affidamento del servizio idrico a enti di diritto pubblico pienamente controllati dallo Stato stabilendo che la gestione e l’erogazione del servizio idrico integrato non possano essere separate e possano essere affidate esclusivamente a enti di diritto pubblico. Inoltre si definiscono le modalità della fase di transizione verso la ripubblicizzazione della gestione del servizio idrico, stabilendo la decadenza degli affidamenti in essere in concessione a terzi. Tuttavia in sede di approvazione, avutasi il 22 aprile 2016, il disegno di legge originario ha subito una deviazione. Infatti, (emblematica è la nuova denominazione : “Princìpi per la tutela, il governo e la gestione pubblica delle acque”)  in particolare, non  si prevede più la formula che garantiva l’affidamento in via prioritaria a società interamente pubbliche, facendone conseguire quindi un’apertura alla partecipazione dei privati. Da qui la polemica circa il disconoscimento dell’esito referendario del 2011. Tuttavia giova sempre ricordarlo la questione è solo presentata da un punto di vista per cosi dire “emotivo” in quanto falso è il presupposto di partenza: acqua pubblica ed acqua privata. Infatti l’acqua era ed è un bene pubblico e  demaniali sono le reti. Ciò che può essere dato in concessione ai privati è la gestione del servizio.  L’assenza del tradimento richiamato e che si è insinuato nel dibattito pubblico in realtà è sancito  all’interno della sentenza di ammissione del quesito referendario (n.24 del 2011) la quale ha chiarito che l’esito positivo dello stesso avrebbe prodotto: “applicazione immediata della disciplina comunitaria relativa alle regole concorrenziali minime in tema di gara ad evidenza pubblica per l’affidamento della gestione dei servizi pubblici di rilevanza economica”.  Lo schema normativo che ne è seguito all’approvazione del disegno di legge oggetto della presente nota è perfettamente compatibile con la normativa europea in materia di affidamento dei servizi di interesse economico generale che favorisce la concorrenza tra gli operatori.  Neppure compare in queste norme così emendate il ripristino del criterio dell’adeguatezza del capitale investito, tanto è vero che l’AEEGSI sta ormai da anni cercando di controbilanciare un modello tariffario che permetta la copertura integrale dei costi e eviti di ricadere nel modello della remunerazione del capitale. Questo dato va sottolineato in questo contesto in quanto le modifiche apportate alla proposta di legge sono più che dovute poiché nell’originario disegno il servizio veniva qualificato come “servizio pubblico locale privo di rilevanza economica” , in antitesi con il dettato della giurisprudenza della Corte Costituzionale che lo riconosce come “ servizio di interesse economico generale” , definizione essenziale all’interpretazione del “full cost recovery” . Dovrebbe esser chiaro che la scelta circa la forma di gestione così come voluto anche a livello europeo è  demandata agli Enti di Governo d’ambito ai quali è riconosciuta la massima discrezionalità, nel rispetto delle forme previste dalla disciplina comunitaria che attribuisce pari dignità alle diverse forme di affidamento, e di alcuni principi che qualificano la responsabilità degli enti locali, oltre all’importanza di scelte consapevoli e informate.  L’aspetto più critico del testo ormai superato è inoltre la sua sostenibilità economica.  Mancava, infatti, nella proposta di legge una riflessione sugli oneri a carico della finanza pubblica laddove il ricorso alla fiscalità generale se non adeguatamente valutato non appare sostenibile e implica la caduta in una crisi ancora più grande. Analisi dei costi che tanto più andava compiuta alla luce dell’articolo 81, comma 3 della Costituzione. In merito  le stime di AEEGSI hanno aperto gli occhi sulla necessità degli ingenti investimenti da fare, sulla necessità di rimodernare le infrastrutture per poter porre un freno allo spreco della risorsa. Si tratta di un volume di risorse che la finanza pubblica non può certo essere in grado di sostenere, senza contare il costo di miliardi di euro che si sarebbero dovuti riconoscere ai privati per la sospensione delle gestioni in corso.

In Conclusione gli emendamenti approvati lungi dal negare il diritto all’acqua hanno invero precisato ancora una volta che la risorsa va tutelata e salvaguardata in termini di sostenibilità e solidarietà. Restano attivi gli strumenti di tutela delle fasce più deboli garantendo un quantitativo minimo vitale giornaliero di acqua potabile per persona e l’operatività del fondo nazionale di solidarietà internazionale presso il Ministero degli esteri da destinare a progetti di cooperazione in campo internazionale che promuovano l’accesso all’acqua che va, ricordiamolo garantito ad ogni essere umano. Queste modifiche hanno però evitato che scelte di matrice ideologica conducessero ad un risparmio (tutto da vedere) che avrebbe causato una mancata manutenzione delle reti e degli interventi necessari a prevenire l’inquinamento delle falde. La regolazione pubblica è necessaria, perché baluardo certo dei nostri diritti e della consapevolezza dell’importanza dell’acqua per la vita, ma ben venga la collaborazione con tutti quei soggetti pubblici o privati che ne assicurino una gestione efficiente ed efficace non solo per il bene nostro ma anche a tutela delle generazioni future. Aspettiamo quindi con ansia l’esito della deliberazione in Senato.

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