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Spending review: alcune considerazioni

di Adriano Zammar

13/10/16

Il termine spending review viene spesso utilizzato in maniera fuorviante e inappropriata, contribuendo ad alimentare la confusione già esistente in merito a questo istituto.

Sembra quasi che tutto ciò che produce risparmi debba essere considerato spending review.

Eppure, nonostante l’assenza di chiarezza in materia, la diffusione del termine ed il suo impiego hanno assunto una portata dirompente in molti paesi occidentali.

In effetti, con il termine spending review, o expenditure review, nel nostro paese si evoca un concetto prima facie assai ambiguo. La traduzione convenzionalmente adottata, revisione della spesa, d’altronde, si presta a molteplici interpretazione.

Innanzitutto, quale spesa? Ci si riferisce alla spesa pubblica, intesa come l’insieme dei mezzi monetari erogati dallo Stato e dagli altri enti pubblici per il conseguimento di fini di interesse pubblico, indipendentemente dalla natura dell’obbligazione che ne costituisce titolo.

E poi, perché una revisione? In realtà, nonostante la traduzione convenzionale, il termine può assumere diversi significati, tra cui “rassegna”, “riesame”, “analisi”. È in questo senso che, probabilmente, i paesi pionieri della spending review hanno inteso tale tecnica. Come uno strumento di studio, analisi e valutazione dei processi che interferiscono con l’andamento della spesa pubblica, finalizzato al contenimento e alla riqualificazione della stessa. Peraltro, secondo la definizione data dall’Ocse, per spending review deve intendersi un processo consistente nella predisposizione di misure di risparmio basate su una valutazione sistematica della spesa pubblica.

Il controllo della spesa ed il contenimento del suo volume d’altronde, sono oggi un aspetto centrale della politica di bilancio di molti paesi europei, i quali si trovano a dover fronteggiare la criticità della situazione finanziaria lasciata in eredità dalla recente crisi globale. La tempesta finanziaria del 2008, infatti, ha determinato un forte aumento della spesa pubblica rispetto al Pil, a causa delle politiche emergenziali di sostegno alla crescita e di protezione delle fasce più deboli della popolazione, messe in campo dai governi nazionali per fronteggiare la congiuntura. A tale brusco incremento ha fatto seguito il deterioramento dei deficit pubblici, giunti a toccare livelli record nell’Eurozona. La criticità della situazione ha, quindi, costretto i governi occidentali a predisporre rigidi piani di consolidamento dei conti pubblici, resi ancora più rigorosi dalla necessità di rispettare i parametri di finanza pubblica concordati in sede sovranazionale.

Di fronte alla necessità di ridurre il disavanzo pubblico (il famoso deficit) e riportare il bilancio in pareggio, si è spesso provveduto ricorrendo a due alternative: sul fronte delle entrate, attraverso l’inasprimento della pressione fiscale, sul fronte delle spese, invece, attraverso la riduzione dell’ammontare delle risorse pubbliche complessivamente allocate, realizzando i cosiddetti “tagli alla spesa pubblica”.

Si tratta delle famose misure di austerità, la cui attuazione spesso viene imputata al volere delle istituzioni europee. Queste misure sono divenute note per via del malcontento generale da esse causato nei paesi più provati dalla crisi (la Grecia, soprattutto). L’aumento delle tasse, infatti, erode il potere di acquisto delle famiglie e comporta, quindi, una riduzione dei consumi. La riduzione della spesa, sostanziandosi il più delle volte in una diminuzione dei servizi erogati alla collettività, risulta altrettanto sgradita.

Tuttavia, vi è una terza alternativa, costituita dalla razionalizzazione della spesa pubblica, attraverso un intervento mirato di rimozione di sprechi e inefficienze della macchina amministrativa. E sembra essere la via più seguita negli ultimi anni.

In Europa, infatti, si è diffusa la tendenza all’attuazione di programmi di spending review, a seguito della presa di coscienza comune circa la necessità di intraprendere un organico processo di ridefinizione della portata e del perimetro dell’intervento dello Stato e di potenziamento delle competenze gestionali delle pubbliche amministrazioni, da realizzare attraverso un’opera di modernizzazione dell’intero settore pubblico.

Il successo della spending review a seguito dello scoppio della crisi risulta evidente da un sondaggio effettuato dall’Ocse nel 2012, dal quale emerge che la metà dei paesi membri censiti ha dichiarato di avere in atto un programma di revisione della spesa. Appare significativo il fatto che ad adottare tali programmi non siano stati solo quei paesi che già avevano un’esperienza consolidata in materia di revisione della spesa pubblica, ma anche paesi del tutto privi di esperienze significative in questo campo, come l’Italia.

È bene precisare, comunque, che le esperienze di spending review sviluppatesi nei diversi paesi non sono tutte riconducibili ad un modello unitario, in quanto le modalità di implementazione delle misure di riforma e di revisione sono fortemente influenzate dal contesto sociale, politico ed economico dei diversi territori nazionali. A giocare un ruolo determinante, poi, vi è anche la cultura amministrativa radicata nel contesto politico-istituzionale, la quale è in grado di condizionare le modalità di impostazione dei processi innovativi.

Nonostante le differenze, si può affermare che una buona revisione presuppone una capillare ricognizione della struttura amministrativa dello Stato, al fine di individuare le aree caratterizzate da duplicazioni, eccessi di spesa o margini di miglioramento gestionale. Si tratta di verificare come viene spesa ogni unità di moneta (ad esempio ogni euro) del denaro pubblico ad ogni livello, per valutarne l’impatto in termini di prodotto e di utilità sociale. È opportuno verificare se il denaro possa essere speso in modo più efficiente, riducendo la spesa ma mantenendo gli stessi risultati o, addirittura, incrementando il livello qualitativo dei servizi offerti (si sente spesso parlare di fare di più, con meno).

La spending review opera, quindi, come un efficace strumento di programmazione economico-finanziaria in relazione alle risorse pubbliche, diretto, da un lato, a migliorare la qualità dei servizi pubblici e, dall’altro, ad incrementare l’efficienza e i livelli di performance delle pubbliche amministrazioni.

Ciò che colpisce è il fatto che, in tutti i paesi che hanno adottato programmi di revisione della spesa, si è verificata un’emblematica evoluzione nella gestione delle risorse pubbliche, da una logica di mezzi ad una logica di risultati.

Il termine revisione, di cui si parlava all’inizio, indica, quindi, una riduzione delle spese, ma non per mezzo di tagli indiscriminati dei costi, bensì mediante l’orientamento delle risorse verso gli obiettivi prioritari e la ponderata eliminazione degli sprechi e delle inefficienze della spesa pubblica.

Immaginando la macchina amministrativa come una grande impresa (si tratta, comunque, di una impostazione che non si allontana troppo da quella proposta dalla dottrina di origine anglosassone del New public management), si possono definire gli sprechi come i consumi eccessivi o superflui di risorse, ovvero tutte quelle attività che non producono valore.

Per quanto riguarda l’inefficienza, invece, si rende necessaria una valutazione della relazione esistente tra risorse impiegate, gli input, e beni e servizi prodotti, gli output. Si deve quindi valutare ex ante il livello massimo di beni e servizi che possono essere prodotti con una determinata quantità di risorse impiegate, per verificare successivamente se tale livello è stato raggiunto o meno. Peraltro, l’inefficienza presa in considerazione nei programmi di spending review è sia quella produttiva che quella gestionale. La prima indica una sottoproduzione di beni o servizi in relazione alle risorse allocate. La seconda indica, invece, un’errata allocazione iniziale delle risorse tra le diverse alternative possibili.

Appare evidente, a questo punto, come la revisione della spesa sia cosa ben diversa da quei tagli alla spesa pubblica a cui si faceva riferimento all’inizio, parlando di misure di riduzione del deficit e di austerità. Questi tagli, generalmente definiti lineari, costituiscono mere misure di contenimento della spesa, adottate senza una previa valutazione d’impatto e di concreta fattibilità, e limitate alla fissazione ex ante di tetti di spesa.

Si tratta, insomma, di una semplice ed indiscriminata eliminazione di costi, finalizzata a ridurre le dotazioni di bilancio delle pubbliche amministrazioni, indipendentemente da un’analisi di merito e da una valutazione circa le conseguenze generate dai tagli sulla qualità dei servizi offerti alla collettività. Tuttavia, non corrispondendo a scelte selettive e interventi strutturali, i tagli lineari non risultano idonei a rimuovere realmente gli eccessi di spesa e i fattori di inefficienza, e producono, quindi, benefici solamente transitori. Inoltre, finiscono spesso per penalizzare le aree di attività più virtuose, senza distinguerle da altre superflue e inefficienti e rischiano di determinare ulteriori problemi e difficoltà per le amministrazioni pubbliche, chiamate a svolgere gli stessi compiti con budget più limitati.

A distinguere ulteriormente la spending review dai tagli lineari, vi è il fatto che essa non costituisce solo un mero esercizio di redistribuzione delle risorse all’interno del settore amministrativo, ma si configura, invece, come un efficace sistema di regolazione, attraverso il quale il Governo tende ad influenzare il comportamento di altri operatori, pubblici e privati. Inoltre, si osserva come, analogamente alle altre aree tipiche della regolazione, anche la gestione delle risorse pubbliche si caratterizza per la combinazione di una componente tecnica e di una politica.

Sotto questo profilo, l’utilizzo delle risorse pubbliche diviene uno strumento di governo, attraverso il quale incidere sui comportamenti dei diversi operatori sul mercato e dei privati cittadini. I processi di spending review, infatti, consentono di impostare una programmazione dei servizi pubblici a lungo termine e di predisporre un programma di riforme chiave dell’intero settore. La stretta connessione di tali processi con le riforme strutturali del settore pubblico, fa della spending review uno strumento che va ben oltre la semplice programmazione dei tagli e diventa parte di un vero e proprio percorso di riconsiderazione e riqualificazione del ruolo dello Stato, uscendo dai confini dell’attività finanziaria fino a coinvolgere questioni di solidarietà sociale.

La diffusione della spending review trova, come visto, una delle cause principali nella gravità della crisi e nell’esigenza di rispettare i vincoli finanziari di derivazione comunitaria imposti per fronteggiarla. Tuttavia, non si tratta di un tema del tutto nuovo. Le prime forme di spending review sono apparse nella pratica della politica di bilancio dei paesi più avanzati già negli anni novanta e si sono incentrate sull’analisi e la razionalizzazione della spesa pubblica. Basti pensare che nel 1993 Albert Gore pubblicava un manuale della National Performance Review, dal titolo “Creating a Government that works better and costs less”.

Le attuali tecniche di spending review sono, quindi, il risultato di un processo che parte da lontano e vede gli stati impegnati sul fronte della gestione del bilancio pubblico e della regolamentazione dell’attività delle pubbliche amministrazioni in materia di allocazione delle risorse disponibili. Si tratta di un’evoluzione che trae la sua forza dalla consapevolezza che gli interventi sulla spesa, per essere efficaci, devono essere accompagnati da una profonda revisione delle strutture organizzative dello Stato e delle procedure di bilancio, anche attraverso un processo di selezione degli obiettivi politici prioritari, in funzione di scelte strategiche precise.

Negli anni cinquanta, nei paesi più avanzati si è cominciato ad attribuire rilievo alla predisposizione di tecniche di valutazione della spesa e si sono affermati nuovi principi, quali il “program budgeting” e il “performance budgeting”. L’analisi della spesa è stata quindi spostata dalla fase meramente successiva, relativa alla misurazione dei risultati e alla valutazione di efficacia delle scelte politiche effettuate, alla fase precedente, relativa alla programmazione finanziaria, attraverso l’elaborazione di specifiche tecniche di analisi costi-benefici.

Negli anni settanta, l’attenzione dedicata al controllo della spesa pubblica ha portato ai primi tentativi di superamento dell’approccio incrementale nello stanziamento delle dotazioni di bilancio. In questo periodo sono state sperimentate le prime applicazioni al settore pubblico del criterio di matrice privatistica del bilancio a base zero (zero based budgeting), in base al quale i centri di spesa sono tenuti a giustificare l’ammontare delle risorse richieste, senza che operi un’automatica garanzia di conferimento delle risorse stanziate negli anni precedenti.

Negli anni ottanta, sono state attuate riforme innovative in materia di gestione della spesa pubblica e programmazione finanziaria. Un esempio molto interessante è quello dell’Expenditure Management System (Ems), introdotto dal governo canadese nel 1979, allo scopo di ridurre la spesa pubblica, mediante l’attribuzione ad apposite Commissioni del Gabinetto della funzione di controllo sulle decisioni di allocazione delle risorse.

Negli anni novanta, si è diffusa, tra i paesi avanzati, l’esigenza di nuove riforme che fossero in grado di incidere sull’incremento dell’efficienza dei processi produttivi e sulla predisposizione di programmi strategici di spesa.

Non sono pochi i paesi che hanno introdotto processi espressamente qualificati come spending review o expenditure review, diretti all’analisi e alla valutazione della spesa pubblica, al fine di ridurne l’ammontare e incrementarne l’efficacia. Si tratta, tuttavia, di modelli diversi, ancorché uniti dall’identità di scopi.

L’esperienza canadese della Program Review, avviata nel 1994, ha rappresentato, senza dubbio, uno dei principali punti di riferimento per lo sviluppo delle tecniche di revisione della spesa, avendo ispirato molti altri paesi, come Australia e Regno Unito, nell’attuazione di simili programmi. La Program Review prevedeva una totale revisione dei programmi di spesa dei singoli ministeri e dipartimenti, secondo una logica top-down, e non si limitava al semplice taglio delle risorse, ma prevedeva un ambizioso programma di riconsiderazione dell’intervento del governo federale nella società, attraverso una ridefinizione delle priorità di spesa.

Nonostante la diversità delle situazioni presenti nei diversi paesi, comunque, si può osservare come tutte le esperienze sono accomunate da una crescente attenzione non solo per la quantità, ma soprattutto per la qualità della spesa pubblica. Merita particolare attenzione soprattutto l’introduzione nel settore pubblico del criterio dei costi standard e il superamento del criterio della spesa storica, che prevedeva l’automatica attribuzione delle risorse ai centri di spesa sulla base delle dotazioni degli anni precedenti, prescindendo da ogni valutazione circa la congruenza delle risorse rispetto ai risultati. Come teorizzato già negli anni settanta, ora, molti governi provvedono all’allocazione delle risorse sulla base delle reali necessità dei singoli centri di spesa, chiamati a giustificare il loro fabbisogno finanziario (si parla di fabbisogni standard).

In conclusione, l’attuale concetto di spending review costituisce il risultato del perfezionamento delle tecniche sviluppate dai diversi paesi, nei diversi contesti, nel corso degli anni.

Nonostante la sua importanza, tuttavia, la spending review da sola non è sufficiente per riequilibrare i conti pubblici e deve essere integrata da riforme strutturali dell’apparato amministrativo dello Stato e da una modernizzazione dei processi di bilancio, idonea ad introdurre i principi del performance budgeting nel settore pubblico. Inoltre, il processo di revisione della spesa potrà dirsi completato solo quando le nuove tecniche e procedure saranno stabilmente inserite nell’attività quotidiana delle amministrazioni pubbliche e diventeranno un elemento stabile del processo ordinario di predisposizione del bilancio.

 

 

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