Lab-IP

A proposito della nuisance

di Cristiana Mangano

26/10/15

Quando si parla di nuisance ci si riferisce ad un intervento dello Stato che provoca una sorta di “molestia” al godimento di un bene e si collega questa all’harm-benefit test il quale ha come scopo quello di rilevare che la creazione di un beneficio per la comunità, richiede l’indennizzo per il singolo che viene privato anche soltanto dell’uso di un suo bene. Mentre, in caso di nuisance type, ovvero di un irragionevole “fastidio”, la proibizione dell’uso dannoso non lo esige.
Le nuisances hanno permesso alla tecnica dello zoning (strumento di disciplina dello sviluppo urbano che consiste nel vincolare l’uso del suolo a destinazioni prefissate e specificate nel piano regolatore) di prendere piede all’interno dell’ordinamento statunitense.
Negli U.S.A. si cominciò con una regolamentazione delle attività edilizie, in relazione al pericolo di incendio, ricomprese nel piano di viabilità adottato dallo Stato di New York nel 1816, e si arrivò ad un divieto preventivo al solo fine di evitare una successiva condotta repressiva.
Negli Stati Uniti le nuisances sono nate per proteggere il pacifico uso del territorio da tutte le eventuali intromissioni statali affinché queste non si concretizzassero in una invasione fisica.
Quello che si desume dalla giurisprudenza statunitense di questo periodo è che il privato doveva sopportare perdite anche notevoli in seguito ad un provvedimento emanato per ordine pubblico; l’indennizzo era sempre dovuto, invece, quando l’ordinanza privava il soggetto del diritto reale sul bene inteso come utilizzazioni redditizie.
Vi è una decisione della Corte Suprema del 1887 (Mugler v Kansas, 123 U.S. 623 1887) che stabilisce che una misura di regulatory approvata per proteggere la salute, la sicurezza e il welfare del pubblico, non produceva esproprio anche se diminuiva notevolmente il valore della proprietà per i possessori. Questo caso è stato definito una eccezione di nuisance, alla regola generale che invece richiedeva un risarcimento quando le regulatory erano troppo onerose.
L’utilità dell’attività “dannosa” che provoca nuisance è determinata dal valore che la comunità le attribuisce.
Lo stile di vita delle società contemporanee ha ormai creato bisogni che devono essere necessariamente soddisfatti per il benessere sociale e l’inevitabile costo che comporta questo stile di vita è ben tollerato dalla comunità. Coloro che maggiormente subiranno il peso scaturito, per esempio, da un’installazione di industria chimica, saranno coloro le cui abitazioni siano nei pressi delle stesse.
La comunità richiede, infatti, a questi soggetti, effettivamente colpiti da un danno, di sacrificarsi per il bene comune e quindi di accettare qualche svantaggio o fastidio.
Il risultato è che l’utilità dell’attività dannosa innalza il limite entro il quale l’interesse individuale è sacrificabile per il bene comune. E solo quando una condotta è indifendibile dal punto di vista dell’utilità sociale vi saranno molte probabilità di ottenere una condanna per nuisance.

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