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A proposito di rimedi alternativi: l’Ombudsman

di Filippo Maria Longhi

26/10/15

Sommario: 1. Il Parliamentary Commissioner britannico; 2. L’attività inquirente del Parliamentary Commissioner; 3. La difesa civica in Italia; 4. L’interrogazione e l’interpellanza parlamentari

Nel desiderio di rinvenire strumenti che possano favorire “il buon andamento” dell’attività amministrativa in Italia, uno spunto interessante – senz’altro non inedito – può arrivare dallo studio di una figura presente nell’ordinamento inglese e deputata all’esame dei ricorsi dei cittadini contro i casi di mala amministrazione. Proviamo a immaginare l’Italia dotata di un soggetto forte e con le adeguate risorse che possa ottenere dalla pubblica amministrazione la correzione e la revisione di atti e comportamenti irragionevoli o ingiusti… Come vedremo, qualcosa in Italia si è tentato di importarlo, ma con un livello di incisività nel sistema molto scarso.

1. Il Parliamentary Commissioner britannico

Sorta nel 1809 in Svezia, quella dell’ombudsman è una figura di assoluto rilievo nel panorama amministrativo inglese. Nel Regno Unito, come per l’originario prototipo svedese, rappresenta “un’istanza di tutela di interessi collettivi e individuali compromessi dall’inerzia dell’amministrazione o dai suoi comportamenti attivi illegittimi o inopportuni” . Come vedremo, si tratta uno strumento di grande successo, alternativo sia alla giurisdizione delle Corti che a quella dei tribunals. È comunque risaputo che, nel Regno Unito, gli Administrative tribunals costituiscono il principale strumento (di fatto, alternativo) di risoluzione delle controversie: si tratta di organi di tipo giustiziale, la cui decisione permette di evitare il ricorso alle Corti di common law.

Il Parlamentary Commissioner for Administration (PCA), successivamente definito Parliamentary Ombudsman (PO), è stato istituito con una legge nel 1967.

Ispirato ad un organo già esistente, il PO è nominato dalla Corona e rappresenta una felice e peculiare sintesi tra due elementi importanti, entrambi fatti valere in fase di elaborazione ed istituzione di questa figura: nella sua strutturazione, il PO è insieme un organo indipendente – qualifica essenziale per poter svolgere un’attività di controllo sull’amministrazione guidata dall’Esecutivo, strettamente legato al Legislativo – e insieme espressione di “incardinamento parlamentare” .
Questo incardinamento parlamentare si manifesta in due meccanismi:

1) “the MP filter”, ovvero la necessità, per il cittadino che intenda adire il PO, di presentare ricorso dinanzi al parlamentare (MP) della propria circoscrizione.

Questo meccanismo rappresenta una delle avvertenze che si sono avute presenti nel costruire questo organo, introducendolo all’interno del sistema costituzionale inglese. Si è in questo modo salvaguardata, o meglio: rivitalizzata, una tradizionale funzione propria del parlamentare di protezione nei confronti dei cittadini. Esso costituisce, inoltre, un significativo filtro teso ad evitare il sovraccarico degli uffici del PO. Dinanzi ad un ricorso di un cittadino, il parlamentare ha la possibilità di ignorarlo, di occuparsene in prima persona o di trasmetterlo al PO. Questi, al termine dell’inchiesta, dovrà presentare un rapporto al parlamentare che gli ha trasmesso il caso.

2) la regolare presentazione di un rapporto annuale dinanzi al Select Commettee della Camera dei Comuni, deputato alla vigilanza sull’attività del PO, nonché l’audizione su singole questioni ogniqualvolta a ciò sia invitato dalla Camera dei comuni o lo stesso commissario lo ritenga necessario.

Il modello del PO è stato utilizzato per altre figure: tra tutte, la più importante è il Local Government Ombudsman (LGO). Mentre il primo (PO) è competente per gli atti e i comportamenti dei dipartimenti governativi e di numerose altre autorità pubbliche, nonché dei gestori privati di pubblici servizi, il secondo (LGO) si occupa invece dei reclami nei confronti dei casi di maladministration all’interno dell’amministrazione locale.

2. L’attività inquirente del Parliamentary Commissioner

Chiamato a sindacare principalmente i casi di maladministration, tipicamente su istanza del cittadino e non d’ufficio, l’ombudsman o commissioner è un soggetto chiamato a stimolare la pubblica amministrazione verso un suo continuo miglioramento. Esso gode di un potere discrezionale relativamente all’introduzione, allo svolgimento e alla chiusura dell’indagine. Indagine che lo porterà ad accertare il comportamento dell’autorità indagata.

Rappresenta, quindi, uno strumento di risoluzione di conflitti nascenti da maladministration. Con questa nozione, pur soggetta a diverse interpretazioni, si vuole fare riferimento ad “atti e comportamenti caratterizzati da contraddittorietà, irragionevolezza, scarsa trasparenza, disparità di trattamento, che risultassero in una “ingiustizia” per il cittadino e nei confronti dei quali non fosse possibile ricorrere né alle corti né ai tribunals” . E, in quanto strumento di risoluzione, si presenta come alternativo alle vie giurisdizionali, non percorribili per esempio per l’onerosità in termini economici e di tempo rispetto alla questione prospettata, o ancora più semplicemente per l’assenza di una violazione di legge.

Il percorso prospettato al cittadino, quindi, si struttura in maniera più rapida e immediata rispetto al ricorso giurisdizionale. La questione può e vuole essere risolta in uno stadio precedente, affiancando alla pretesa del cittadino l’indagine, l’accertamento e quindi le raccomandazioni di un soggetto autorevole che possa spingere l’amministrazione a rivedere il suo comportamento. L’esito dell’indagine è appunto una formale recommendation rivolta all’amministrazione: un invito a porre riparo al motivo di doglianza o alla disfunzionalità strutturale.

La controversia ha quindi la possibilità di risolversi subito, e davanti alla stessa amministrazione che ha provveduto in precedenza. Di fatto, in Inghilterra, il semplice invito fatto dal Commissioner all’amministrazione di esaminare le doglianze del cittadino è spesso sufficiente per trovare una soluzione della questione soddisfacente per il privato.

Particolarità dell’Ombudsman britannico è la mancanza di vincolatività delle sue decisioni. Difatti, al termine dell’indagine, qualora dovesse riscontrare un caso di maladministration, l’ombudsman non ha alcun potere per costringere la pubblica amministrazione a rivedere la sua decisione, a correggere il suo comportamento. Il soggetto indagato potrebbe benissimo disattendere le indicazioni contenute nel report del PO (rifiutandosi, per esempio, di pagare il risarcimento indicato dal PO quale mezzo di risoluzione della controversia).
In caso di rifiuto, il PO ha come unica arma la possibilità di presentare un ulteriore, questa volta “special”, report al Select Committee, denunciando il caso di maladministration e il successivo comportamento della pubblica amministrazione.

Insomma, raccomandazioni e non ordini. Molti ritengono che stia proprio qui la chiave del successo dell’ombudsman britannico: la sua autorevolezza e il buonsenso delle sue misure portano le pubbliche amministrazioni ad adeguarvisi, pur non essendovi formalmente costrette.
Diversi ritengono, e giustamente, che questo come altri strumenti del sistema giustiziale inglese rappresenti “il frutto della convinzione che l’attività amministrativa porti con sé la risoluzione del contenzioso, che diviene così una sorta di appendice della prima. Restare nell’ambito dell’amministrazione per ovviare a eventuali manchevolezze, errori e rimediare allo scorretto esercizio del potere permette, infatti, di godere di margini di dialogo” .
Tipicamente il ricorso all’ombudsman è condizionato dal fatto che il privato si sia innanzitutto rivolto all’amministrazione, manifestando le sue doglianze e chiedendo la revisione della decisione.
Oggetto di riflessione in Regno Unito è il rapporto tra ombudsman e giudice, nonché il coordinamento tra i tre ombudsmen più rilevanti nel panorama inglese: PO, LGO e HSO (Health Service Ombudsman).

3. La difesa civica in Italia

Come spesso accade, il modello straniero è stato preso in considerazione anche nel nostro ordinamento, che però è stato in grado di partorire di fatto solo una norma, piuttosto generica, all’interno di un testo di legge (quello della L. 127/1997) che racchiude misure urgenti attinenti ai più disparati ambiti dell’attività amministrativa.

L’articolo 16 della L. 127/1997 prevede, “sino all’istituzione del difensore civico nazionale”, la comparsa di difensori civici delle regioni e delle province autonome con “funzioni di richiesta, proposta, sollecitazione e informazione” attribuite “dai rispettivi ordinamenti” nei confronti delle strutture regionali e provinciali. Salva forse la buona volontà, il resto non ha fruttato moltissimo: l’istituzione del difensore civico nazionale non è mai avvenuta, e la discrezionalità lasciata alle singole Regioni ha determinato situazioni molto differenti a seconda delle circoscrizioni: in alcuni casi in difensore è stato istituito ed abolito, in altri è attivo e propositivo.

Il Coordinamento nazionale per la Difesa civica lamenta appunto “la perdurante mancanza del Difensore civico nazionale”, nonché l’assenza “di regole generali e condivise, di un quadro entro cui definire con esattezza, seppur nella discrezionalità inevitabile del mandato, che cosa deve e può fare l’ombudsman, come si deve rapportare con le istituzioni e i rappresentanti istituzionali, a quali esigenze e criticità può rispondere e in quale ambito la sua azione deve essere prescrittiva o semplicemente orientativa” .

Il Coordinamento individua la causa di queste carenze in una dottrina giuridica qual è quella italiana “che continua a dare rilievo esclusivamente alla giustizia amministrativa, prestando attenzione esclusiva alle modalità con le quali i problemi della pubblica amministrazione possano essere risolti dal giudice amministrativo” . Mentre, come vedevamo per il caso inglese, la possibilità di rivedere le questioni dinanzi all’amministrazione decidente e su sollecitazione di un organo forte potrebbe determinare la riduzione del ricorso al giudice amministrativo, con risparmio di tempo e di risorse.

Attualmente, quindi, l’Italia è formalmente dotata di una rete di difensori civici coinvolti nella tutela delle prestazioni essenziali dei diritti civici e sociali indicati dall’articolo 117.2° lett m) della Costituzione, ma priva di un vertice e di modalità adeguati per poter interloquire con il Parlamento, e poter così incidere sulla produzione normativa attinente all’attività amministrativa.

Per avere un’idea dell’attività svolta dai difensori civici, è possibile guardare al dato delle pratiche aperte nell’anno 2014 da due dei Difensori civici regionali più importanti: per quello della Toscana, un totale di 1737 pratiche (ripartite per le seguenti materie: Altre attività 8; Ambiente 63; Assetto Istituzionale 125; Coordinamento nazionale 20; Immigrazione 44; Imprese e attività produttive 17; Istruzione, cultura, formazione 30; Lavoro 102; Ordinamento Finanziario 278; Politiche Sociali 48; Sanità 209; Servizi Pubblici 612; Territorio 181 ); per quello della Lombardia, 1363.

Sarebbe auspicabile rimettere mano alla normativa riguardante la difesa civica in Italia, così che possa rappresentare una via importante nel panorama della giustizia amministrativa italiana, in grado di intervenire a tutela del cittadino e di prevenire il ricorso alla giurisdizione, favorendo la conciliazione tra pubblica amministrazione e privato.

4. Interrogazioni e interpellanze parlamentari

Concludendo questa breve analisi dedicata alla difesa civica italiana, vale la pena soffermarsi su un ulteriore strumento, in certo modo legato ai meccanismi di “incardinamento” del Parliamentary Ombudsman britannico al Parlamento.

Come spiegato, il PO è legato a doppio filo alle Camere inglesi; oltre all’“MP filter”, questo organo è chiamato a riferire al Parlamento in numerose occasioni: senz’altro, con cadenza annuale; eventualmente, con uno special report a seguito di raccomandazioni disattese da parte della pubblica amministrazione; quando necessario, con audizioni su particolari temi. Sappiamo che il riferimento in sede parlamentare è rappresentato da un Select Committee, che ha compiti di vigilanza e di collegamento dell’attività dell’ombudsman con l’organo legislativo.

Guardando alla realtà italiana, è interessante domandarsi quali margini ci siano per dotare il Parlamento di una maggiore incisività in termini di mala amministrazione. Gli articoli 128 e seguenti del Regolamento della Camera dei deputati, infatti, prevedono due strumenti ben conosciuti ed utilizzati, che potrebbero però essere dotati di nuova effettività. Stiamo parlando delle interrogazioni e delle interpellanze, con le quali i deputati possono chiedere all’Esecutivo di pronunciarsi su singole questioni o, più in generale, su politiche di governo. Nel secondo caso, quello delle interpellanze, il parlamentare che le propone, a seguito della risposta governativa, ha la possibilità di fare un suo intervento e proporre, eventualmente, una mozione che chiami l’assemblea a pronunciarsi sulla questione.

Constatando l’analiticità delle interrogazioni presentate (disponibili sul sito della Camera dei deputati), sarebbe possibile impiegarle per stimolare indagini su casi di mala amministrazione; ma sarebbe necessario dotare questi strumenti di uno sbocco concreto, che non si limiti ad una mera informazione data alle Camere, in linea con la loro funzione di controllo.

Un difensore civico nazionale potrebbe appunto essere il canale attraverso il quale, a seguito di interrogazione/interpellanza e di risposta governativa, agire per correggere le storture dell’attività amministrativa. Volendo seguire lo schema britannico, l’iniziativa del parlamentare (su eventuale segnalazione dei cittadini o delle realtà associative della propria circoscrizione elettorale) susciterebbe un’indagine ed una risposta governativa, la quale – da notificare all’amministrazione interessata e da eseguire – verrebbe poi monitorata dal difensore civico nazionale o locale nella sua fase di attuazione.

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