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AFFIDAMENTI DIRETTI A SOCIETÀ A PARTECIPAZIONE PUBBLICA QUOTATE: IL CASO HERA S.P.A.

18/09/2023

A cura di Elena Valenti

Il Consiglio di Stato, con sentenza del 19 luglio 2023, n. 7079/2023, ha disposto l’annullamento del contratto di affidamento diretto per la gestione del servizio pubblico di illuminazione stipulato tra il comune di Modena e la società derivante dalla fusione tra Meta S.p.A. e Hera S.p.A.

Il caso ha origine dai progetti Modena Pensa Led e Modena Full Led, comprendenti il risanamento e l’innovazione del servizio pubblico. Con delibera consiliare n. 252 del 19 dicembre 1996 il comune di Modena aveva approvato la costituzione di Meta S.p.A., società a partecipazione pubblica, il cui oggetto sociale comprendeva la gestione di reti di illuminazione pubblica. In particolare, Meta S.p.A. risultava affidataria in house del servizio di illuminazione pubblica fino al 2027, con possibilità di rinnovo. Successivamente, nel 2003, Meta S.p.A. è stata quotata nel mercato regolamentato ed è stata poi oggetto di fusione per incorporazione con Hera S.p.A, società privata multiutility anche essa quotata in borsa, partecipata dal Comune. La fusione era avvenuta direttamente e senza gara pubblica. A seguito della fusione, anche il servizio di illuminazione pubblica era oggetto di affidamento diretto a Hera S.p.A. Quest’ultima aveva poi ceduto a una sua controllata, Hera luce S.r.l., il ramo d’azienda costituito da tutti gli affidamenti, incluso quello relativo al servizio di illuminazione del Comune di Modena.

Una società milanese, City Green S.r.l., ha dunque presentato ricorso al giudice amministrativo, sostenendo l’illegittimità dell’affidamento diretto a Hera S.p.A. Con sentenza del 18 gennaio 2023, n. 18, il Tar Emilia-Romagna, sezione II, ha accolto il ricorso, disponendo la cessazione del contratto. Nei confronti della sentenza del Tar hanno proposto appello al Consiglio di Stato sia il Comune di Modena, sia la società Hera S.p.A.

Il Consiglio di Stato, innanzitutto, ha osservato che la materia degli affidamenti diretti a società a partecipazione pubblica quotate è disciplinata dall’art. 34, comma 22, del d.l. n. 179/2012 (successivamente convertito in legge 17 dicembre 2012, n. 221). La disposizione si compone di due periodi. Il primo ammette la prosecuzione fino a scadenza naturale degli affidamenti diretti avvenuti fino al 31 dicembre 2004 a società a partecipazione pubblica già quotate in mercati regolamentati e a quelle da esse controllate alla medesima data. Il secondo periodo dispone che gli affidamenti diretti a società poste, successivamente al 31 dicembre 2004, sotto il controllo di società quotate a seguito di operazioni societarie effettuate in assenza di procedure conformi ai principi europei applicabili allo specifico affidamento, cessano improrogabilmente il 31 dicembre 2018 e senza necessità di apposita delibera da parte dell’ente.

In particolare, l’affidamento è stato considerato illegittimo dai giudici per violazione dell’art. 34, comma 22 del d.l. n. 179/2012, nonché dei principi di libera concorrenza e imparzialità, delle norme contenute nel d. lgs. n. 50 del 2016 e delle norme europee in materia di libera circolazione dei servizi e libertà di stabilimento. I giudici di palazzo Spada hanno stabilito che in seguito alla fusione di Meta in Hera vi sia stato sostanzialmente un nuovo affidamento, che avrebbe dovuto comportare l’indizione di una gara ad evidenza pubblica.

Secondo gli appellanti, alla fattispecie in esame si applicherebbe il primo periodo della disposizione, che ammette la prosecuzione fino a scadenza naturale del contratto, sul presupposto che l’atto di diritto privato, cioè la fusione, non avesse alcun rilievo ai fini dell’affidamento. Tra i motivi di gravame, infatti, vi era la considerazione che Meta S.p.A. fosse stata quotata in borsa antecedentemente al 2004, e dunque il contratto avrebbe dovuto considerarsi valido fino alla conclusione prevista. Inoltre, l’indizione di una gara pubblica avrebbe leso l’affidamento dei risparmiatori che avevano a suo tempo investito in Meta S.p.A. sul presupposto che quest’ultima fosse titolare dell’affidamento fino al 2027.

I giudici di palazzo Spada, al contrario, hanno specificato che la norma deve essere letta nella sua interezza e il principio evidenziato dagli appellanti trova un limite applicativo proprio nelle ipotesi previste all’ultimo periodo della disposizione, in presenza delle quali la prima parte della disposizione diviene soccombente. Ne deriva che il contratto tra il comune di Modena ed Hera S.p.A. è da qualificarsi come un illegittimo affidamento diretto. 

Secondo il Consiglio di Stato, al fine di stabilire se si possa applicare l’art. 34 comma 22, che dispone la rideterminazione massima degli affidamenti diretti, non è rilevante in alcun modo che la quotazione sia avvenuta prima del 2004, in quanto l’operazione societaria ha comportato la creazione di un soggetto terzo.

Sembra utile considerare anche che la Corte di giustizia dell’Unione europea, con sentenza del 12 maggio 2022, n. C/719/2020, si è espressa in materia, stabilendo il principio per cui nelle ipotesi di appalto pubblico senza indizione di gara, qualora avvenga un’acquisizione di un operatore economico da parte di un terzo, tale evento comporta una modifica delle condizioni fondamentali dell’appalto che necessita di indire una nuova gara.

La sentenza in esame ha consentito al Consiglio di Stato di rispondere al quesito insito nei motivi di gravame circa il conferimento dei rami d’azienda relativi alla gestione di servizi pubblici, che secondo i ricorrenti non avrebbe comportato alcuna cessione della titolarità degli affidamenti, in quanto la società che gestisce il servizio pubblico rimarrebbe sempre la medesima.

Il Consiglio di Stato si è espresso ribadendo che il rapporto tra la controllata e la controllante non comporta il venire meno della caratteristica di alterità giuridica tra gli operatori, comportando il subentro nella gestione del servizio di un soggetto terzo. Tale subentro comporta l’obbligo per la stazione appaltante di indire una nuova gara al fine di rispettare i principi sovranazionali e nazionali in tema di libera concorrenza, non discriminazione e parità di trattamento.

In conclusione, è possibile mettere in evidenza che gli atti di diritto privato previsti dall’ordinamento, quali fusioni, cessioni di rami d’azienda o incorporazioni, non possono in alcun modo diventare uno strumento per eludere i principi cardine che regolano lo svolgimento delle gare d’appalto e delle procedure di affidamento diretto.

Le norme a tutela delle società a partecipazione pubblica quotate devono inoltre essere lette nella loro interezza, senza possibilità di considerare le parti di cui si compone la disposizione in modo autonomo, al fine di consentirne una applicazione al caso di specie. La legittimità degli atti di diritto privato di cui si serve l’affidatario di un servizio pubblico non è messa in discussione dalla giurisprudenza in alcun modo, ma comporta una nuova valutazione di compatibilità con le norme a tutela degli operatori economici.

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