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DIRITTO DI PRELAZIONE NELLA FINANZA DI PROGETTO E TUTELA DELLA CONCORRENZA: UN DIBATTITO MAI SOPITO

18/09/2023

A cura di Antonio Iuliano

Il diritto di prelazione, nell’ambito della Finanza di progetto, consiste nel vantaggio attribuito al soggetto promotore di divenire aggiudicatario – nel caso in cui già non lo sia all’esito della gara – adeguando la propria offerta a quella risultata vincitrice. L’istituto, sin dalla sua prima introduzione, risalente alla Legge Merloni quater (L. 166/2002), ha suscitato dubbi circa la compatibilità con il diritto di formazione eurounitaria, con particolare riferimento alla tutela della concorrenza. Da ultimo, nei mesi scorsi si è pronunciato il Consiglio di Stato rimettendo la questione alla Corte di giustizia.

Come accennato, l’istituto è stato oggetto di discussione sin dal suo ingresso all’interno del nostro ordinamento, tanto da portare la prima giurisprudenza del Consiglio di Stato ad affermare, alla luce del peculiare vantaggio competitivo riconosciuto al promotore, la natura concorsuale della selezione delle proposte di pubblico interesse e la necessità di comparare le varie proposte presentate sulla scorta di criteri di giudizio positivi, uniformi, trasparenti e previamente determinati (v. Cons. St., Sez. V, 5 ottobre 2005, n. 5316).

L’apertura, ad opera della Commissione europea, di una procedura d’infrazione a carico dell’Italia, sulla scorta dei medesimi rilievi mossi dal Consiglio di Stato, ha portato nel 2007, dopo vari tentativi di correzione dell’istituto, all’abolizione dello stesso per il timore di una condanna da parte della Corte di giustizia, cui nel frattempo la questione era arrivata.

I giudici di Lussemburgo, tuttavia, con sentenza 21 febbraio 2008, C-412/04, alla luce di un argomento di carattere meramente processuale, hanno dichiarato irricevibili le censure proposte dalla Commissione; ciò ha portato alla reintroduzione dell’istituto ad opera del Terzo correttivo al Codice (d. lgs. 152/2008).

Il Codice dei contratti pubblici del 2016 (d. lgs. 50/2016) all’art. 183, co. 15 aveva confermato l’istituto della prelazione, lo stesso vale per il nuovo Codice (d. lgs. 36/2023), che prevede una disciplina sostanzialmente invariata.

Prima di analizzare le disposizioni del nuovo Codice dei contratti pubblici (d. lgs. 36/2023), ai fini della comprensione dell’istituto è opportuno inquadrarlo all’interno della procedura di project financing.

Tale procedura ha una struttura bifasica, constando di una prima fase di individuazione del progetto di pubblico interesse e di scelta del promotore e di una seconda, successiva, fase di messa a gara del progetto precedentemente individuato. 

La procedura di gara (seconda fase), -avente finalità pro-concorrenziale- rischia di scoraggiare a monte l’iniziativa dei privati, esposti al rischio di svolgere un lavoro ad esclusivo vantaggio di altri (gli aggiudicatari), in particolare di potenziali concorrenti. L’attribuzione del diritto di prelazione è volto a ovviare a tale situazione

Il d. lgs. 36/2023, dopo aver previsto, all’art. 193, co. 4, che nel bando di gara debba essere disposto che il promotore possa esercitare il diritto di prelazione, al comma 8 definisce le modalità di esercizio di tale diritto.

Il promotore non aggiudicatario può esercitarlo, entro 15 giorni dalla comunicazione dell’aggiudicazione, impegnandosi ad adempiere alle obbligazioni contrattuali alle medesime condizioni offerte dall’aggiudicatario.

Se non esercita la prelazione ha diritto al pagamento, a carico dell’aggiudicatario, delle spese per la predisposizione della proposta, comprensive dei diritti sulle opere di ingegno, nei limiti -tuttavia- del 2,5% del valore dell’investimento, come risultante dal progetto di fattibilità posto a base di gara.

Se invece il promotore esercita la prelazione, l’aggiudicatario originario ha diritto al pagamento, a carico del promotore, dell’importo delle spese documentate e sostenute per la predisposizione dell’offerta (sempre nei limiti del 2,5%).

Tali ultime previsioni sono evidentemente volte, da un alto, a limitare(compensare?) gli effetti anticoncorrenziali dell’istituto, dall’altro a incentivare la presentazione di proposte, tutelando il promotore in caso di mancata aggiudicazione.

E’ interessante sottolineare come il Consiglio di Stato, nel predisporre lo schema del nuovo Codice, avesse previsto, in alternativa al sistema della prelazione, quello dell’attribuzione di un punteggio premiale al soggetto promotore nel caso in cui ciò fosse previsto dallo strumento triennale di programmazione. Tale previsione è però scomparsa nel testo definitivo poi entrato in vigore.

Il Consiglio di Stato nella relazione allo schema non aveva mancato di sottolineare alcune criticità dell’istituto della prelazione, tra cui la scarsa partecipazione di concorrenti alla gara di attuazione a causa delle limitate possibilità di successo.

E’ in questo quadro che si inseriscono la sentenza (non definitiva) 5184/2023 del 26 maggio e l’ordinanza 5615/2023 del 7 giugno della V sezione del Consiglio di Stato. La controversia in questione origina dall’impugnazione di una delibera del Consiglio comunale di Trieste con cui è stata dichiarata la fattibilità tecnico economica, nonché l’interesse pubblico, di una proposta di project financing concernente la gestione del servizio di illuminazione pubblica, nonché una serie di servizi accessori. Oltre alla proposta oggetto della delibera, il comune di Trieste ne aveva ricevute altre, tra cui quella della società appellante, risultata seconda graduata nella procedura di scelta del promotore.

Tra le varie censure, respinte già in primo grado dal TAR Trieste, per quanto qui d’interesse, la società appellante recriminava la violazione del termine di conclusione del procedimento (90 giorni, così come previsto dall’art. 183, co. 5 del d. lgs. 50/2016 e confermato anche nel nuovo codice), decorso il quale, ad avviso del ricorrente, si sarebbe fuoriusciti dallo schema procedimentale semplificato, con conseguente necessità di indire una gara.

Il Consiglio di Stato, con la succitata sentenza (5184/2023), ha chiarito che il decorso del termine rileva esclusivamente ai fini di un’eventuale azione avverso il silenzio, in quanto posto a tutela del proponente, e che lo spirare dello stesso non è in alcun modo idoneo a mutare i caratteri della procedura.

La sentenza prosegue rilevando che la fase preliminare di individuazione del promotore, ancorché procedimentalizzata, è connotata da amplissima discrezionalità amministrativa, in quanto diretta non alla scelta della migliore tra una pluralità di offerte sulla base di criteri tecnici ed economici preordinati, ma alla valutazione di un interesse pubblico all’accoglimento della proposta di finanza di progetto.

Dunque, non si tratta di un modulo di confronto concorrenziale, in quanto tale sottoposto a procedure di evidenza pubblica; ciò tanto più ove si consideri che l’amministrazione, anche una volta dichiarato il pubblico interesse e individuato il promotore, non è tenuta a dare corso alla procedura di gara per l’affidamento della concessione (senza peraltro incorrere in responsabilità precontrattuale). Ne discende che alla fase di scelta del proponente non si addice la predeterminazione di criteri di valutazione, presupponente quanto meno la esatta definizione dell’oggetto del procedimento e dunque della proposta.

Resterebbe comunque fermo il necessario rispetto del principio di ragionevolezza. In questo caso, peraltro, il Comune di Trieste aveva enucleato all’interno della documentazione relativa alla procedura i criteri di valutazione seguiti nella scelta, potendosi facilmente escludere anche l’esercizio irragionevole della discrezionalità.

L’appellante, in subordine all’accoglimento del ricorso, aveva sollecitato la rimessione alla Corte di Giustizia della questione pregiudiziale circa la compatibilità dell’istituto con i principi e le norme eurounitarie poste a tutela della concorrenza. Il collegio, pur non ravvisando alcuna incompatibilità con il diritto eurounitario, alla luce della pertinenza e della rilevanza, nonché dell’assenza delle altre eccezioni che lo esenterebbero -essendo dunque obbligato- con l’ordinanza 5615/2023 ha  sottoposto  alla CGUE la seguente questione pregiudiziale: “Se l’art. 184 (rectius 183, ndr), comma 15, del d.lgs. n. 50 del 2016 è contrario al diritto UE e in particolare ai principi di pubblicità, imparzialità e non discriminazione contenuti sia nel Trattato che nei principi UE, propri di tutte le procedure comparative, laddove interpretato così da consentire trattamenti discriminatori in una procedura di attribuzione del diritto di prelazione, senza predefinizione dei criteri e comunque senza comunicazione dei medesimi a tutti i concorrenti ma solo ad alcuni di essi, quanto meno al decorso dei tre mesi di urgenza previsti da tale articolo”.

In attesa della pronuncia dei giudici di Lussemburgo, la vicenda in questione ci permette di trarre delle prime conclusioni.

Anzitutto il dibattito circa la compatibilità dell’istituto con la tutela della concorrenza è ancora vivo e acceso.

In secondo luogo, nonostante le non troppo velate critiche (sopra riportate) mosse all’interno della relazione allo schema del nuovo Codice dei contratti pubblici, risulta molto interessante il netto cambio di paradigma nella giurisprudenza del Consiglio di Stato, facilmente rilevabile raffrontando la sentenza da ultimo citata con quella richiamata in apertura. Tra le due, considerabili agli antipodi, quasi 20 anni di dibattiti e pronunce.

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