Lab-IP

Amministrazione pubblica e capitalismo delle piattaforme digitali

GIULIO NAPOLITANO, GIORGIO MOCAVINI

3.2. Reingegnerizzazione dei procedimenti amministrativi in funzione delle nuove tecnologie. Attività pubblica discrezionale e vincolata 

Le nuove tecnologie sono state tradizionalmente concepite in funzione servente rispetto alle necessità di modernizzazione e di riforma delle pubbliche amministrazioni. Nell’ordinamento italiano, le tecnologie digitali sono state spesso considerate come strumenti atti a semplificare le relazioni tra amministrazioni e cittadini o tra amministrazioni e imprese, con risultati indubbiamente positivi[1]. Si pensi, per esempio, all’enorme mole di informazioni scambiate quotidianamente tramite comunicazioni elettroniche. Attraverso le piattaforme online, infatti, si possono presentare le dichiarazioni dei redditi, pagare le multe stradali, richiedere certificati anagrafici, presentare istanze di autorizzazione all’esercizio di attività di impresa, firmare contratti, presentare candidature ai concorsi pubblici, partecipare a gare di appalto. In generale, dunque, svariati servizi pubblici sono stati resi più efficaci ed efficienti grazie alla digitalizzazione.

L’evoluzione tecnologica, tuttavia, ha rivoluzionato non solo le modalità con cui gli utenti si interfacciano con le amministrazioni, ma anche il metodo di lavoro e di azione delle stesse amministrazioni[2]. Si faccia riferimento, per esempio, alla modalità asincrona della conferenza di servizi, resa possibile proprio dall’impiego dei mezzi telematici. I dispositivi elettronici, tra l’altro, facilitano l’archiviazione e il recupero di dati e documenti, favoriscono la cooperazione e il dialogo tra distinti uffici pubblici, contribuiscono a una migliore gestione dei dati personali, consentono una più ampia partecipazione dei privati ai procedimenti amministrativi, assicurano maggiore trasparenza dei processi decisionali.

La digitalizzazione, dunque, da un lato, aumenta la produttività del settore pubblico, generando risparmi e liberando risorse che possono essere investite diversamente; dall’altro, permette di supportare la crescita economica e sociale del settore privato, migliorando l’offerta dei servizi pubblici[3]. Da una parte, rende superflue alcune sequenze, in passato necessarie, di vari procedimenti amministrativi; dall’altra, riduce eventuali duplicazioni di adempimenti e controlli in capo agli enti pubblici[4].

Tuttavia, è evidente che le potenzialità delle tecnologie digitali sono ancora molto ampie. In tempi recenti, le pubbliche amministrazioni si sono impegnate a fondo nella dematerializzazione dei documenti e hanno investito nell’informatizzazione. La tappa più importante delle trasformazioni digitali in relazione all’attività amministrativa, tuttavia, sembra essere rappresentata dalla reingegnerizzazione dei procedimenti. Il mutamento di prospettiva è molto rilevante: si tratta, infatti, non di intendere le innovazioni digitali in funzione dei procedimenti amministrativi, ma di ridisegnare questi ultimi in base al migliore uso che si possa fare delle prime[5].

Per cogliere a pieno tutte le opportunità del digitale, quindi, non è sufficiente che le pubbliche amministrazioni impieghino strumenti elettronici di ultima generazione in modo tradizionale[6]. In altri termini, non basta che alla carta si sostituisca il file, che alla penna subentri il mouse o il tocco del dito sullo schermo, che dall’inchiostro si passi alla firma elettronica, che dagli scaffali si finisca all’archivio informatico. La sfida, infatti, non è solo digitalizzare l’esistente, ma anche rimodulare le procedure amministrative, ripensandone in radice struttura e sequenze.

La reimpostazione dei tradizionali moduli amministrativi, infatti, si rende necessaria alla luce delle nuove applicazioni dell’intelligenza artificiale nei settori della sanità, dell’istruzione, della sicurezza, della giustizia, della mobilità, del sistema tributario, del monitoraggio ambientale[7]. Sebbene non vi sia ancora una definizione univoca, la nozione di intelligenza artificiale può essere intesa come l’abilità di un sistema tecnologico di risolvere problemi e svolgere compiti attraverso meccanismi razionali che riproducono quelli della mente umana[8]. Già oggi l’intelligenza artificiale sostituisce il pubblico funzionario in una serie di attività che attengono all’incameramento e all’analisi dei dati, alla gestione di procedure automatizzate, alla classificazione di informazioni, all’assistenza ai cittadini nell’accesso ai servizi pubblici, alla protezione dei dati personali.

In generale, si può ipotizzare che in un futuro non lontano sistemi intelligenti gestiranno interamente determinati procedimenti amministrativi, con personale pubblico completamente sostituito da «funzionari informatici», ossia da computer e macchine intelligenti. Saranno queste ultime, nei procedimenti a istanza di parte, come quelli autorizzatori, a esaminare la richiesta del privato, a processare le informazioni da questi presentate e ad adottare il provvedimento finale, con una rapidità di risposta quasi istantanea. Anche nei procedimenti avviati d’ufficio, come in quelli sanzionatori, saranno le stesse macchine a rilevare il fatto commesso dal cittadino, a qualificarlo come illecito e a irrogare la corrispondente sanzione prevista dall’ordinamento. 

Non è arduo immaginare, per esempio, che ben presto gli autovelox diventeranno robot che non si limiteranno a rilevare la violazione dei limiti di velocità, ma, attraverso la connessione con altre banche dati pubbliche, ricaveranno immediatamente dal numero di targa il proprietario del veicolo o identificheranno il conducente del mezzo mediante meccanismi di riconoscimento facciale. Una volta associato l’individuo all’infrazione commessa, sarà lo stesso autovelox a calcolare in tempo reale l’entità della sanzione, a produrre il relativo verbale e a inviarlo per posta elettronica al cittadino.

È evidente che procedimenti del tutto automatizzati pongano seri problemi di ricostruzione giuridica, dato che è perfino difficile comprendere se il procedimento sia suddiviso in fasi, essendo i tempi dello stesso estremamente compressi[9]. Inoltre, è naturale che sul funzionamento del sistema intelligente dovrà necessariamente sussistere una piena trasparenza, affinché siano chiare le modalità e le regole in base alle quali esso è stato impostato per l’esercizio di determinate attribuzioni. È in questa prospettiva che il Tar del Lazio, in una recente sentenza, ha stabilito che sussiste in capo agli interessati il diritto di accedere all’algoritmo del programma informatico utilizzato dal Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca nel procedimento riguardante l’assegnazione delle cattedre scolastiche, nell’ambito del trasferimento interprovinciale del personale docente per l’anno 2016[10].

Ci si deve domandare, poi, quali conseguenze si possano prospettare qualora una macchina agisca in difformità del mandato burocratico di cui è investita[11]. È possibile, per esempio, che il robot, in grado di gestire un procedimento amministrativo, sia anche responsabile per lo stesso? O devono essere considerati comunque responsabili i funzionari pubblici che abbiano curato la configurazione originaria della macchina?

Un ulteriore problema di cui è opportuno dare conto è se l’intelligenza artificiale, oltre a prendere il posto dei funzionari amministrativi nell’adozione di atti all’esito di verifiche e controlli automatici, possa anche condurre in autonomia procedimenti a più elevato contenuto discrezionale. Questa ipotesi pare più difficile, dato che non esistono, e forse non vedranno mai la luce, indicatori oggettivi per misurare, ponderare e bilanciare gli interessi pubblici. Ciò nonostante, si ritiene che anche la sfera discrezionale dell’amministrazione potrà conoscere rilevanti mutamenti. 

Se l’amministrazione, infatti, decidesse di vincolare la propria decisione all’applicazione di software per pervenire a soluzioni il più possibile imparziali e funzionali alla massimizzazione dell’interesse pubblico, allora è possibile pensare che la discrezionalità si manifesti al momento dell’elaborazione dello strumento digitale, ossia anticipatamente rispetto allo specifico procedimento amministrativo. Un esempio potrebbe provenire dall’e-procurement: se l’autorità avesse a disposizione un sistema intelligente in grado di selezionare il contraente migliore, l’autentico esercizio della discrezionalità si sposterebbe dal momento di applicazione del sistema a quello di definizione del medesimo, dal momento che è in quel frangente che si cristallizzano le caratteristiche del potenziale migliore contraente.

3.3. La riorganizzazione dei pubblici uffici

È facile prevedere che la reingegnerizzazione dei procedimenti comporti anche una riorganizzazione dei pubblici uffici. La digitalizzazione, infatti, modificando i rapporti tra amministrazione e cittadini e cambiando le modalità di azione delle pubbliche amministrazioni, richiede un ripensamento complessivo dell’organizzazione amministrativa. La riforma si rende opportuna per accompagnare cittadini e utenti nella transizione verso una economia e una società pienamente digitali e per assicurare ai funzionari pubblici un nuovo ruolo nella gestione dei processi decisionali in forma elettronica.

Le nuove tecnologie conducono a una progressiva sostituzione del lavoro con le macchine. Molte attività di sportello rivolte al pubblico, in futuro, saranno svolte esclusivamente tramite portali digitali, nei quali assistenti elettronici aiuteranno l’utente a cercare i dati di cui ha bisogno, a presentare istanze, a ricevere certificati e attestati. Si tratta di un fenomeno di proporzioni epocali che non interessa solo il lavoro all’interno delle pubbliche amministrazioni, ma anche quello subordinato privato, e che necessariamente impone una riflessione su quale debba essere la funzione dell’impiegato pubblico[12]. In effetti, a fronte di numerose operazioni routinarie in cui l’essere umano verrà rimpiazzato in tutto e per tutto dai sistemi digitali, vi saranno comunque altrettante attività per le quali sarà imprescindibile una collaborazione tra l’uomo e la macchina. Nelle pubbliche amministrazioni ciò si traduce nella duplice esigenza di assumere nuove figure professionali, con profili tecnici altamente specialistici, e di assicurare una adeguata formazione al personale che presenti carenze nelle competenze tecnologiche[13].

Le qualifiche tecniche dei dipendenti pubblici, quindi, rappresentano una precondizione per la riuscita di qualsiasi riforma dell’organizzazione amministrativa ispirata all’evoluzione digitale. Tuttavia, affinché la rimodulazione dei processi e le innovazioni apportate nelle strutture pubbliche abbiano successo, risulta fondamentale che anche i cittadini siano in grado di comprendere il funzionamento dei procedimenti elettronici e di capire quali siano gli uffici pubblici responsabili dei medesimi. Da questo punto di vista, quindi, la questione dell’alfabetizzazione digitale per il successo degli strumenti di e-government si pone sia per le amministrazioni, sia per gli utenti. Il rischio è che la popolazione, pur attratta dalle potenzialità dell’intelligenza artificiale, finisca per non farne uso nei rapporti quotidiani con le amministrazioni, un po’ per timore, un po’ per insipienza, rendendo vani gli sforzi di modernizzazione sostenuti dalle amministrazioni[14].

Chiariti i motivi per i quali il progresso tecnico-scientifico imporrà un riordino dei pubblici uffici e verificati i presupposti ineliminabili affinché tale riordino sia efficace, è opportuno ora domandarsi a quali criteri debba essere improntata la riorganizzazione degli apparati pubblici. Quest’ultima è certamente la più classica delle riforme amministrative. È stato già abbondantemente evidenziato, infatti, come il tema della ridefinizione delle competenze e delle strutture abbia caratterizzato da sempre la storia del settore pubblico, rimanendo invece estraneo al settore privato[15]: le imprese si adattano costantemente ai mutamenti del mercato; le amministrazioni, al contrario, cambiano pelle con più difficoltà, essendo disciplinate da leggi e regolamenti. Qualunque riorganizzazione amministrativa, dunque, deve passare attraverso una serie di modifiche di varie fonti del diritto, che poi hanno bisogno di essere attuate. Il processo di riforma dei pubblici uffici, allora, può durare anche diversi mesi, se non addirittura anni. 

Di fronte ai cambiamenti prodotti dalla digitalizzazione e dalle applicazioni dell’intelligenza artificiale, il metodo tradizionale della riorganizzazione delle pubbliche strutture si espone al pericolo di divenire del tutto inadeguato, dato che, una volta che la riforma sia stata portata a compimento, essa rischia di essere già obsoleta, richiedendo subito ulteriori aggiustamenti e integrazioni. La riorganizzazione che si basi sulla riscrittura di atti legislativi e sulla conseguente approvazione di decreti attuativi potrebbe non essere funzionale all’obiettivo di consentire alle amministrazioni di essere al passo con i tempi[16].

In questa prospettiva, allora, potrebbe essere utile abbandonare il consolidato paradigma delle riforme amministrative, secondo il quale sarebbe necessario sottoporre a riordini periodici i pubblici uffici. Al contrario, il mutamento organizzativo dovrebbe essere considerato come consustanziale all’attività amministrativa e non come un necessario adempimento da compiere ciclicamente[17]. Le pubbliche amministrazioni, quindi, devono trovarsi nelle condizioni di essere immediatamente reattive agli sviluppi della società digitale, senza essere costrette ad attendere gli interventi del legislatore[18].

Di conseguenza, se lo scopo è quello di rendere le amministrazioni tanto duttili da potersi adeguare entro breve termine alle innovazioni digitali, allora non vi è dubbio che la riorganizzazione dei pubblici uffici debba essere condotta da un soggetto pubblico che si faccia promotore delle trasformazioni amministrative. In questa prospettiva, non sarebbe arduo immaginare un ruolo propulsivo in capo all’Agenzia per l’Italia digitale. Già oggi tale Agenzia è preposta alla programmazione e al coordinamento delle attività delle amministrazioni per l’uso delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione, essendo tenuta a rilasciare pareri in materia digitale e ad adottare linee guida contenenti regole, standard e guide tecniche. Il Codice dell’amministrazione digitale, inoltre, attribuisce opportunamente all’Agenzia il compito di adottare linee guida facilmente aggiornabili e consultabili da tutte le pubbliche amministrazioni[19].

Per consentire all’Agenzia di operare con risultati apprezzabili, occorrerebbe intervenire, ad ogni modo, su altri tre aspetti. In primo luogo, è necessaria una maggiore chiarezza sulla governance della gestione dei cambiamenti digitali. Attualmente, infatti, i poteri di indirizzo in ambito digitale si disperdono tra l’Agenzia, il Commissario straordinario per l’attuazione dell’agenda digitale, la Consip S.p.A., che si occupa dei modelli di e-procurement e la Società generale di informatica – Sogei S.p.A., che è incaricata di fornire servizi di consulenza informatica per le amministrazioni. Sarebbe utile, forse, sfoltire e semplificare il panorama degli attori della governance

In secondo luogo, sarebbe opportuno individuare un responsabile politico al quale sia assegnato il potere di verificare lo stato della riorganizzazione digitale delle amministrazioni. L’evoluzione tecnologica degli uffici pubblici, infatti, non può che essere promossa anche da soggetti politici: in questo senso, si potrebbe pensare a un Ministero per l’innovazione con competenze orizzontali. 

Infine, non basta che vi sia una buona guida digitale al vertice, con l’Agenzia e un Ministero a fare da traino e ad elaborare strategie di innovazione, ma occorre che anche nei più piccoli uffici pubblici si acquisisca ancora di più la consapevolezza dell’importanza delle trasformazioni digitali. In questa logica, si potrebbe potenziare la figura del responsabile per la transizione digitale, già prevista dal Codice dell’amministrazione digitale all’interno di ogni pubblica amministrazione. Questa, infatti, non dovrebbe limitarsi a recepire le innovazioni concepite altrove e calate dall’alto, ma potrebbe di per sé suggerire modifiche organizzative all’autorità di appartenenza e, magari, fornire input alla trasformazione destinati al vertice. Si creerebbe, per tale via, un proficuo e costante dialogo tra il centro dell’amministrazione e i suoi livelli più bassi e periferici, permettendo la condivisione più ampia possibile su come procedere a una efficace transizione digitale per le pubbliche amministrazioni.


[1] La semplificazione amministrativa per effetto della transizione digitale è descritta da C.R. Sunstein, Semplice. L’arte del governo nel terzo millennio, Milano, Feltrinelli, 2014, p. 163 ss.

[2] In questa prospettiva, si può sostenere che la digitalizzazione migliori tanto le relazioni delle amministrazioni con il pubblico (c.d. front office), quanto le attività interne alle amministrazioni medesime (c.d. back office). Sul punto si veda F. Costantino, L’uso della telematica nella pubblica amministrazione, in A. Romano (a cura di) L’azione amministrativa. Saggi sul procedimento amministrativo, Torino, Giappichelli, 2016, p. 246 ss.

[3] Sul ruolo strategico rivestito dalle istituzioni nell’innescare il circuito virtuoso tra nuove tecnologie e sviluppo economico si veda M. Clarich, Istituzioni, nuove tecnologie, sviluppo economico, in Dir. pubbl., 2017, n. 1, p. 75 ss. 

[4] In tema si legga C.M. Arpaia, P. Ferro, W. Giuzio, G. Ivaldi, D. Monacelli, L’E-Government in Italia: situazione attuale, problemi e prospettive, in Banca d’Italia, Questioni di Economia e Finanza, 2015.

[5] L’argomento è esaminato, tra gli altri, da M.L. Maddalena, La digitalizzazione della vita dell’amministrazione e del processo, relazione tenuta al 62° Convegno di Studi amministrativi su L’Italia che cambia: dalla riforma dei contratti pubblici alla riforma della Pubblica Amministrazione, Varenna, 22, 23 e 24 settembre 2016.  

[6] In tema si veda F. Pizzetti (a cura di), Intelligenza artificiale, protezione dei dati personali e innovazione, Torino, Giappichelli, 2018.

[7] Sulle applicazioni attuali e future dell’intelligenza artificiale si rinvia ad AgID, Libro bianco sull’intelligenza artificiale al servizio dei cittadini, marzo 2018, disponibile online all’indirizzo web: https://www.agid.gov.it/it/argomenti/intelligenza-artificiale.

[8] Per la difficoltà definitoria del concetto di intelligenza artificiale si legga, su tutti, J. Kaplan, Intelligenza artificiale. Guida al futuro prossimo, Roma, Luiss University Press, 2017.

[9] Più in generale, sull’impatto della digitalizzazione sui procedimenti amministrativi, anche a seguito delle recenti riforme normative, si rinvia a B. Carotti, La digitalizzazione, in B.G. Mattarella – E. D’Alterio (a cura di), La riforma della pubblica amministrazione. Commento alla Legge 124/2015 (Madia) e ai decreti attuativi, Milano, Edizioni del Sole 24 Ore, 2017, p. 73 ss.

[10] Si tratta di Tar Lazio, Sez. III-bis, 14 febbraio 2017, n. 3769. Il caso era derivato dal fatto che le graduatorie dei docenti erano state stilate elettronicamente mediante l’applicazione di un algoritmo. Il Miur aveva inizialmente negato l’esistenza di un diritto di accesso al programma per gli interessati, sostenendo che l’algoritmo non fosse un atto amministrativo. Il giudice amministrativo, al contrario, ha riconosciuto tale diritto, qualificando il software come atto amministrativo informatico.

[11] In generale, sulle patologie del comportamento burocratico e sulle deviazioni dal mandato dell’amministrazione si rinvia a G. Napolitano, La logica del diritto amministrativo, Bologna, il Mulino, 2017, 2° ed., p. 46 ss. 

[12] Sulle trasformazioni dovute alla rivoluzione digitale e all’innovazione nel mondo del lavoro, dell’industria e dei servizi si legga E. Moretti,  The New Geography of Jobs, New York, Houghton Mifflin Harcourt, 2012 (trad. it., La nuova geografia del lavoro, Milano, Mondadori, 2013).

[13] Occorre un vero e proprio cambio di paradigma culturale dell’amministrazione, affinché questa sia allineata ai progressi della digitalizzazione. Su questo si rinvia ad A. Casu, Fare meglio con meno. Nudge per l’amministrazione digitale, Milano, Franco Angeli, 2015.

[14] Questo problema è esaminato nella relazione conclusiva dei lavori della Commissione parlamentare di inchiesta sul livello di digitalizzazione e innovazione delle pubbliche amministrazioni e sugli investimenti complessivi riguardanti il settore delle tecnologie e della comunicazione. Istituita presso la Camera dei Deputati, la Commissione ha terminato la propria attività nell’ottobre del 2017. Nella relazione è scritto che «se la popolazione sembra essere attratta dal mondo digitale e dalle modalità di interazione a distanza, allo stesso tempo l’utilizzo dei servizi digitali nella vita di tutti i giorni è relativamente scarso. Nel nostro Paese si riscontra un’altissima diffusione di dispositivi mobili, tant’è che sono attivi poco meno di 1,3 abbonamenti per abitante. Gli italiani sembrano quindi essere particolarmente attenti alla tecnologia e al suo utilizzo per rimanere in contatto con il mondo esterno, grazie all’utilizzo dei social network. Quando, però, si passa a considerare l’uso del digitale per svolgere funzioni diverse dalla pura comunicazione lo scenario cambia drasticamente. (…) Insoddisfacente soprattutto la modalità di interazione a distanza che i residenti in Italia hanno con la pubblica amministrazione: solo il 24 per cento ha usato i servizi di e-gov. Tra gli altri grandi Paesi europei la Francia si attesta al 66 per cento, Germania e Regno Unito al 55 per cento e la Spagna al 50 per cento. La media dell’intera area euro è invece pari al 52 per cento, in aumento di due punti percentuali rispetto al 2016. Il nostro Paese continua, quindi, ad essere l’anomalia nel contesto europeo, poiché nel 2016 ha continuato a perdere terreno nei confronti degli altri Paesi» (pp. 5-6).

[15] Così riflette S. Cassese, L’età delle riforme amministrative, in Riv. trim. dir. pubbl., 2001, n. 1, p. 79 ss.

[16] Sui vari tentativi di riforme amministrative che si sono susseguiti agli inizi del nuovo millennio si rinvia a G. Napolitano, Le riforme amministrative in Europa all’inizio del ventunesimo secolo, in Riv. trim. dir pubbl., 2015, n. 2, p. 611 ss.

[17] È quanto sottolineato anche da B.G. Mattarella, Burocrazia e riforme. L’innovazione nella pubblica amministrazione, Bologna, il Mulino, 2017.

[18] Sull’abuso nel ricorso alle leggi, laddove esse non solo siano non necessarie, ma anche controproducenti, si legga B.G. Mattarella, La trappola delle leggi. Molte, oscure, complicate, Bologna, il Mulino, 2011.

[19] In tema si faccia riferimento a B. Carotti, L’amministrazione digitale: le sfide culturali e politiche del nuovo Codice, in Giorn. dir. amm., 2017, n. 1, p. 7 ss.

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