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DDL CAPITALI: nuove prospettive di governance per le società quotate

5/12/2023

A cura di Marta Nigrelli

Il 24 ottobre 2023 il Senato ha approvato il Disegno di legge n. 674, noto come “DDL Capitali”, concernente interventi a sostegno della competitività dei capitali e delega al Governo per la riforma organica delle disposizioni in materia di mercati dei capitali.

Il testo si compone di 27 articoli, alcuni dei quali intervengono direttamente sui sistemi di governance delle società quotate.

Al riguardo, il 16 novembre 2023, la Consob ha pubblicato una memoria tecnica, soffermandosi su alcuni articoli del DDL Capitali relativi alla corporate governance delle società quotate, in materia di lista del board, voto maggiorato e delega per la riforma del TUF, evidenziando l’importanza di mantenere coerenza con gli obiettivi di riforma e di adottare regole in linea con il diritto europeo e le migliori pratiche internazionali per garantire la semplificazione e la stabilità normativa nel settore.

Il nuovo articolo 12 del DDL consente alle società quotate di includere nel loro statuto la facoltà per il Cda uscente di presentare una lista di candidati per l’elezione dell’organo amministrativo. Questo articolo stabilisce un meccanismo specifico per tale presentazione. La pratica di presentare liste da parte del CdA nel sistema italiano di voto di lista ha generato preoccupazioni di trasparenza, portando l’Istituto a richiamare l’attenzione sul processo di formazione delle liste del CdA (Richiamo di attenzione n. 1/2022).

In linea con quanto evidenziato nel Richiamo di attenzione n. 1/2022, il termine anticipato di deposito e pubblicazione della lista del CdA uscente (individuato nel quarantesimo giorno precedente la data dell’assemblea) risulta idoneo a consentire ai soci la valutazione delle proposte del consiglio con congruo anticipo prima della presentazione di eventuali proprie liste.

Il DDL introduce, inoltre, un meccanismo di votazione individuale dei candidati al Cda, che si applica se la lista presentata dal consiglio uscente risulta prima.

Questo meccanismo, che è in linea con la prassi di altri Paesi europei, garantisce che i consiglieri siano eletti sulla base dell’espressione della volontà dei soci sui singoli candidati.

La previsione che richiede che la lista del consiglio abbia un numero di candidati più ampio rispetto a quello dei componenti dell’organo da eleggere, sebbene rappresenti un fattore di complessità, è funzionale alla possibilità per l’assemblea di scegliere i candidati più graditi.

Inoltre, la presenza di candidati ulteriori nella lista di maggioranza facilita il rispetto del criterio di riparto tra generi e degli ulteriori requisiti di composizione del consiglio (art. 147-ter, comma 1-ter TUF).

Tuttavia, la previsione del voto individuale sui candidati potrebbe rivelarsi problematica nella pratica, in particolare nelle società che dovessero optare per lo svolgimento delle assemblee esclusivamente per il tramite del rappresentante designato (art. 135-undecies TUF).

In queste società, infatti, potrebbe risultare più complesso garantire ai soci, nel rispetto delle formalità previste, il diritto ad esprimere il proprio voto in un momento antecedente all’assemblea.

Infine, è previsto che l’eventuale comitato avente competenze in tema di controlli e rischi sia presieduto da un amministratore indipendente nominato dalle liste di minoranza dei soci.

Questa previsione limita la capacità del consiglio di amministrazione, una volta eletto, di assegnare la presidenza del comitato all’amministratore con le competenze più adatte, a prescindere dalla lista di provenienza.

Infatti, è importante che la scelta del presidente del comitato tenga conto di tutte le professionalità presenti nel consiglio, assicurando così che il ruolo sia ricoperto dalla figura più adatta, anche in considerazione della complessità del settore in cui opera la società.

Pertanto, laddove il legislatore intendesse comunque mantenere una disposizione in merito alla composizione del comitato controllo e rischi, sarebbe preferibile una riformulazione della norma che si limitasse a richiedere la presenza all’interno del comitato di (almeno) un amministratore indipendente nominato dalle liste di minoranza dei soci, ove presente.

Per quanto riguarda i poteri di intervento della Consob, è prevista una delega per l’emanazione di disposizioni attuative della norma in materia di elezione dei componenti del consiglio di amministrazione.

Tuttavia, la delega alla Consob presenta alcuni problemi: il termine previsto di soli 30 giorni è troppo breve per consentire alla Consob di svolgere una consultazione pubblica con il mercato e di valutare gli esiti; inoltre, non è chiaro quali aspetti dovrebbero essere disciplinati dalla Consob, considerato l’elevato livello di dettaglio della disposizione proposta a livello primario.

In assenza di più specifiche indicazioni del legislatore, si ritiene opportuno valutare di prevedere una facoltà e non un obbligo per la Consob di intervenire a livello regolamentare.

In caso di obbligo di intervento, viene segnalata la necessità di prolungare il termine per l’emanazione delle disposizioni attuative e di specificare gli aspetti da disciplinare.

È fondamentale definire l’ambito di intervento della Consob, proprio perché essa svolge un ruolo di vigilanza sui mercati finanziari, in termini di vigilanza regolamentare, cioè sulle regole che l’autorità stessa ha elaborato (avendo essa un’ampia competenza normativa, che richiede un alto tecnicismo) e di vigilanza informativa (potendo chiedere e fornire informazioni).

Infine, la Consob è dotata di poteri di vigilanza ispettiva, per svolgere eventualmente la sua funzione di vigilanza sanzionatoria: l’attività di sorveglianza che svolge la Consob è funzionale, infatti, a garantire la corretta e trasparenza delle operazioni sui mercati finanziari, proprio allo scopo di prevenire condotte illecite.

Le previsioni del DDL, così come le osservazioni formulate dalla Consob, si inseriscono in un settore (quello dei mercati finanziari) in cui operano diversi soggetti, pubblici e privati, e in cui parallelamente sono impiegate risorse pubbliche e private.

Il nuovo quadro normativo, dunque, risulta in coerenza anche con l’obiettivo del Testo Unico in materia di società a partecipazione pubblica, che all’art. 1, comma 2, prevede l’applicazione delle relative disposizioni avendo riguardo all’“efficiente gestione delle partecipazioni pubbliche, alla tutela e promozione della concorrenza e del mercato, nonché alla razionalizzazione e riduzione della spesa pubblica”.

Come noto, l’art. 1, comma 5, del TUSP prevede che le disposizioni del decreto si applichino alle società quotate solo se espressamente previsto: l’esclusione delle società quotate dai TUSP è giustificata dalla necessità di evitare distorsioni del mercato e di penalizzare le società a partecipazione pubblica che si confrontano con società concorrenti. Inoltre, l’applicazione parziale della disciplina del TUSP tiene in considerazione che tali società sono già sottoposte a una disciplina di settore che, attraverso stringenti regole di trasparenza e regole speciali di governance, favorisce l’attuazione delle finalità comunque previste dal TUSP.

Il bilanciamento tra profilo pubblico e privato rende necessario porre l’attenzione sui possibili impatti del nuovo DDL sulle società in cui interesse pubblico e privato vengono riuniti in un soggetto giuridico ad hoc: le società miste, riconducibili al modello del partenariato pubblico-privato.

Tali società risultano comunque sottoposte ad una disciplina volta a garantire, da un lato, la tutela della concorrenza, evitando che la peculiarità di tali società (la partecipazione pubblica) possa tradursi in indebiti vantaggi anticoncorrenziali, dall’altro, l’estensione dei vincoli tipicamente pubblicistici per evitare meccanismi di elusione a causa della forma di diritto privato di tali società.

Stante la particolarità di tale forma societaria, l’art. 17 del TUSP consente alle società miste di ricorrere ad una governance societaria speciale rispetto alla disciplina codicistica.

La selezione dell’operatore privato mediante procedura di evidenza pubblica avente il duplice oggetto di scelta del partner privato e affidamento ad esso della missione (nel rispetto dei principi di parità di trattamento, non discriminazione e trasparenza) influisce necessariamente sulla compagine sociale: è prevista, infatti, in capo al socio privato, la soglia minima del trenta per cento per titolarità di una quota di partecipazione (artt. 7, comma 5, 17 TUSP).

Le finalità e la connotazione “pubblica” dell’oggetto sociale non incidono comunque sulla natura giuridica dell’ente, che rimane di diritto privato, sebbene suscettibile di applicazione della disciplina pubblicistica: in tal senso, l’atto costitutivo rappresenta il momento contrattuale di riferimento, sia per la definizione specifica del modello societario sia per la determinazione delle quote di partecipazione.

Con riferimento ai rapporti endosocietari, l’individuazione del corretto equilibrio tra parte pubblica e privata è affidata alla logica dell’ingegneria statutaria, potendo infatti ricorrere all’assetto di governance che meglio risponde alle esigenze dei soci e alle disposizioni del codice civile, dirette a rafforzare sia l’influenza del socio privato sulla gestione operativa della società (artt. 2468, comma 3, 2479 c.c.) sia le competenze del socio pubblico in caso di partecipazione minoritaria (artt. 2473-bis, 2479-bis c.c.).

In questa prospettiva, il DDL Capitali, intervenendo su profili che richiedono elevati requisiti di trasparenza e correttezza, potrebbe contribuire a rafforzare l’articolata disciplina che, attraverso diverse fonti, si propone di regolare i rapporti sempre più intersecati tra attori pubblici e privati, nei diversi contesti in cui essi si instaurano. Lo scopo, infatti, è quello di migliorare il contesto normativo e regolatorio, per modernizzare e rendere più efficienti mercati di capitali italiani.

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