Lab-IP

Doppio dislivello – Atto secondo: i seguiti delle vicende Volkswagen e Facebook

 

 

Il caso delle emissioni della casa automobilistica tedesca e quello sulla privacy relativo al ricorso Schrems, già trattato in modo parallelo su Lab-IP (v. qui), fanno registrare evoluzioni non chiare.

 

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Nel caso delle emissioni, secondo quanto riporta “The Economist”, sarebbe a rischio una risposta decisa volta a sanzionare, o comunque ad eliminare gli effetti, della condotta della casa automobilistica tedesca.

Le sanzioni potrebbero variare da un massimo di 60 milioni di euro, ma le sorti della vicenda, in cui è in gioco una impresa che gode di estrema considerazione da parte dello Stato, potrebbero condurre a una sanzione molto minore, fino a un milione di euro (come nel caso General Motors e Toyota). Secondo il settimanale inglese, infatti: “America’s Department of Justice could in theory levy a fine of €60 billion but it is unlikely to go that far. Some analysts reckon that the cost of settling with the authorities and private litigants, worldwide, and fixing the affected cars or compensating their owners, might come to a grand total of as much as €30 billion—roughly the amount by which VW’s stockmarket value has fallen since the scandal broke. Others think it could be far less: both GM and Toyota escaped with fines of around €1 billion”.

Se così fosse, si sarebbe ceduto il passo a una risposta evanescente, che, contrariamente a quanto si potrebbe immaginare, porrebbe la risposta delle autorità di controllo molto indietro rispetto ai livelli di tutela ambientale necessari a una spinta positiva che elimini le esternalità e combatta le frodi.

Gli eventi dello scorso anno stanno mettendo a dura prova la ristrutturazione interna dell’azienda.

L’azienda sta lavorando molto per ristrutturare i processi e la propria “cultura interna” e sostituire le posizioni interne che hanno avuto un ruolo chiave nello scandalo delle emissioni. ”Mr Müller is making a start by attempting to revamp the culture of a company in which hitherto a strict hierarchy sent decisions, big and small, to the German engineers that ran VW from its headquarters in Wolfsburg”.

Tuttavia, i cambiamenti interni non sembrano portare a una riscrittura complessiva di questa negativa vicenda settoriale. “Speaking to The Economist in Geneva, Mr Müller [il nuovo presidente del Gruppo], promised “monumental change”. But whatever VW does to make amends, the more far-reaching overhaul that it needs seems unlikely to happen”.

Dunque, “[i]f paying for its perfidy proves painful but not life-threatening, the impetus to overhaul VW will lose some of its force”.

 

Ciò che emerge è la difficoltà a operare un cambio di rotta a tutto tondo. Nelle righe, la rilevanza dell’azienda nell’economia nazionale potrebbe aver generato una ingerenza tale da metterla al riparo dalle più fresche intenzioni di rinnovamento.

 

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Il caso della riservatezza si sta giocando su un piano bilaterale. Il  nuovo accordo tra USA e UE è denominato Privacy shield e definisce obblighi specifici per le imprese che raccolgono dati personali dall’Unione, trasparenza e controllo sull’accesso a tali dati da parte delle amministrazioni statunitensi, tutela rafforzata dei singoli anche attraverso la possibilità di reclamo.

Voci critiche evidenziano la carenza di rimedi efficaci. L’accordo, infatti, poggerebbe su una base flebile, ancora volontaria, in cui le imprese sottoscrivono impegni ma non si definiscono con chiarezza quali possano essere i casi e i limiti di cessione dei dati alle autorità.

Queste ultime, a loro volta, dovrebbero impegnarsi a dichiarare le situazioni di sorveglianza in essere, offrendo una loro interpretazione circa la tutela dei diritti – che, come tale, non mette al riparo i singoli da eventuali ingerenze nella propria vita privata.

Questi aspetti dell’accordo non sembrano risolvere i problemi sollevati nella sentenza dello scorso anno. Serve, infatti, un regime netto, che limiti fortemente l’utilizzo dei dati e ne aumenti il livello.

La Corte di giustizia è stata chiara in proposito: la Commissione non può instaurare un regime in cui i dati di cittadini europei siano ceduti e per questo – si noti – ricevano un trattamento deteriore rispetto a quello garantito dall’Unione. Tanto chiede una lettura sostanzialista della Carta dei diritti fondamentali – e della tutela della riservatezza e della vita privata in essa contenute.

È vero che nel nuovo accordo l’amministrazione nordamericana si impegna a rispettare un generale principio di proporzionalità delle misure e una applicazione adeguata nel trattamento dai dati dei cittadini europei (anche in ragione di alcuni passi indietro sul tema della sorveglianza di massa da parte dell’amministrazione uscente di Obama), ma vi sono ancora forti dubbi sulla tenuta di disposizioni rimesse alla volontà o alla interpretazione delle parti rispetto a un – auspicabile – rafforzamento della disciplina inerente la circolazione e l’uso dei dati immessi.

Se non possono bloccarsi le relazioni tra le due sponde dell’Atlantico, è altrettanto vero che la vicenda dovrebbe consentire una raise to the top e non il contrario. Anche nell’interesse dei cittadini nordamericani, e non solo di quelli del vecchio continente.

 

 

Bruno Carotti

 

 

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Sul caso Volkswagen

Emission impossible. The German carmaker will escape its emissions scandal largely unscathed. That is bad news for a firm in need of an overhaul

 

Sul caso Schrems

EU Commission and United States agree on new framework for transatlantic data flows: EU-US Privacy Shield

 

 


 

 

 

 

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