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Essere o non essere pubblica amministrazione. La definizione di Public Officer nella convenzione Ocse contro la corruzione internazionale.

di Alessandro Mura

07/07/16

Uno dei dilemmi tipici del diritto amministrativo consiste nella esatta, generale e onnicomprensiva definizione di cosa sia la Pubblica Amministrazione. Un dilemma irrisolto e irrisolvibile in termini assoluti, stante la varietà di forme di azione e modelli organizzativi, tutti in qualche modo unici e particolari [Napolitano 2006, 4749]. Ma se non è possibile una definizione di P.A., sicuramente ammissibili (e indispensabili) sono invece tutte quelle descrizioni del fenomeno amministrativo che sono rivolte all’applicazione di un corpus normativo: queste qualifiche “a scopo vincolato ed efficacia limitata” sono diffuse in vari settori degli ordinamenti giuridici nazionali e internazionali e, seppur con portata circoscritta, offrono una visuale sempre diversa sul panorama della Pubblica Amministrazione; proprio per questo appaiono più affascinanti, come uno scorcio in un vicolo, seppur limitato, è più interessante della planimetria cittadina.

Una delle definizioni di P.A. più applicate nel mondo non è contenuta in un atto legislativo di diritto amministrativo; si trova, invece, nell’art. 1, § 4 della Convenzione sulla lotta alla corruzione dei pubblici ufficiali stranieri nelle operazioni economiche internazionali, promossa dall’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (Ocse) per stabilire dei livelli minimi di tutela penale vincolanti per i Paesi firmatari. Lo scopo della Convenzione, di cui si è già avuto modo di parlare in un contributo pubblicato in questo sito, è la criminalizzazione delle condotte corruttive dal solo lato attivo e, quindi, della compravendita di funzioni sovrane da parte di investitori stranieri. La Convenzione non riguarda, invece, la condotta del soggetto corrotto, la cui disciplina è lasciata alla libertà degli Stati. Tuttavia, dato che tale illecito è un reato di tipo contrattuale (a concorso necessario) e che la Convenzione si disinteressa dei fenomeni corruttivi tra privati, è importante poter definire con precisione chi siano i public officers: solo la dazione o promessa di denaro nei loro confronti risulterà, infatti, nella sfera applicativa della Convenzione.

L’alternativa che si è posta al legislatore internazionale era, a questo punto, tra l’affidarsi alle definizioni interne ai singoli Stati o il coniare una nuova qualifica soggettiva di Pubblica Amministrazione. La scelta per questo secondo modello è dettata dalla necessità di emancipazione dalle frammentarie definizioni date nei contesti nazionali, una varietà sconfinata di criteri e parametri – a volte soggettivi, che valorizzano il legame formale tra il soggetto e la P.A.; a volte funzionali, che si basano sulla natura dell’attività svolta; a volte misti – che avrebbero vanificato col loro particolarismo il ruolo di un atto a vocazione transnazionale. Chiaramente, dei due momenti in cui si articola il processo di identificazione del public official (individuazione della funzione svolta prima, attribuzione a tale mansione della qualifica) la legge del singolo Stato è l’unica che può operare nella prima fase; individuato il ruolo del soggetto nell’ambito dell’ordinamento nazionale, tuttavia, l’attribuzione della qualifica al soggetto scaturisce automaticamente dall’applicazione dell’art. 1, co. 4 della Convenzione, a prescindere dall’adozione nell’ordinamento interno di una disposizione che disciplini la materia (Nicholls QC- Daniel- BacareseHatchard 2011, 456).

È necessario tralasciare i pure interessantissimi rilievi sulla definizione di pubblica funzione legislativa e giudiziaria e soffermarci sulla qualifica descritta dall’art. 1, co. 4, lett. a), seconda parte, in cui si stabilisce che è pubblico ufficiale straniero «any person exercising a public function for a foreign country, including for a public agency or public enterprise». Nell’ottica generale della Convenzione il pubblico ufficiale straniero è, quindi, un soggetto che gode di superiorità sul piano giuridico rispetto alla controparte; supremazia che discende dallo Stato in modo immediato o mediato. I due pilastri sui quali questa relazione di potere poggia possono essere individuati in un “criterio oggettivo”, consistente nello svolgimento di una pubblica funzione («exercising a public function»); in un “criterio soggettivo”, che riguarda il soggetto per il quale l’attività deve essere svolta, ovvero «a foreign country, including for a public agency or public enterprise» (indifferentemente a livello nazionale o locale). Solo chi integri entrambi questi parametri potrà essere considerato Pubblica Amministrazione e generare responsabilità penale in capo a chi abbia comprato uno o più atti del suo ufficio.

L’esercizio di una pubblica funzione costituisce la prerogativa indispensabile perché sia individuato un foreign public officer, e privo di rilevanza è qualsiasi legame solo formale con lo Stato di appartenenza. In questa prospettiva la definizione utilizzata si inserisce in quel filone c.d. funzionale comune a quasi tutte le discipline statali, che si concentra «su ciò che si fa, non su ciò che si è». La public function è definita nel Commentario ufficiale alla Convenzione, paragrafo 12 come contraddistinta da due elementi: un atto di delega, anche informale, da parte dello Stato per il compimento della stessa, del quale si specifica che non si estende ad attività che esulano dal contenuto del provvedimento; un legame col perseguimento di obiettivi di interesse collettivo, che viene tuttavia considerato implicito nel dominio da parte dello Stato sull’attività propria del delegato. Il conferimento distingue l’officer dal cittadino comune e gli permette di compiere un’attività che, in quanto riservata allo Stato, è ipso iure di interesse pubblico, senza che sia necessario un giudizio circa l’importanza per la comunità di tale mansione. In quest’accezione è ancora da sottolineare l’emancipazione operata dalla Convenzione rispetto agli Stati; e non solo per quanto riguarda le particolari definizioni di Pubblica Amministrazione in essi vigenti quanto sul più importante piano delle diverse politiche economiche che i Paesi membri Ocse perseguono. È stato detto della Convenzione che «[f]or the anti-bribery Convention, what counts is neither a (neo-)liberal nor a welfare state policy orientation. What counts is the nature of the power exercised pursuing the activity in question: if the dominant source of this power is the state […] the activity will be deemed to be public in nature, regardless of ideology or politics» [Zerbes 2007, 65].

Per quanto concerne invece il criterio soggettivo, e tralasciando la nozione di Stato, che non sembra destare insormontabili questioni interpretative, la controparte del pactum sceleris va considerata pubblico ufficiale straniero quando svolge la sua funzione per una public agency o per una public enterprise. Vanno considerate tra le prime, seguendo il § 13 del Commentario ufficiale, tutti corpi costituiti come persone di diritto pubblico e incaricate di svolgere compiti specifici nell’interesse collettivo: sono, queste, le Pubbliche Amministrazioni intese nel senso più tradizionale; bisogna però ricordare che nell’ambito delle loro operazioni, secondo il criterio funzionale, anche le persone di diritto pubblico sono considerate come public officer solo quando viene compravenduta la specifica funzione loro delegata e non eventuali atti estranei a questa.

Per quanto riguarda invece le public enterprises, queste entità sono caratterizzate da una natura giuridica formale di diritto privato (applicandosi, in caso contrario, il concetto di «public agency») ma il dominio dello Stato nelle dinamiche operative consente di riqualificare le stesse come Pubbliche Amministrazioni perché, in sostanza, «if its employees are bribed, this amounts in fact ‘to purchase’ of state decision-making» [Zerbes 2007, 62] Tale riqualificazione deve, tuttavia, derivare dall’applicazione di criteri consistenti, stabiliti nell’Official Commentary, paragrafi 14 e 15.

Perché i soggetti privati operanti in seno a una società di diritto privato possano essere qualificati come pubblici ufficiali è innanzitutto necessario che il Governo possa esercitare sulla stessa un’influenza dominante (§ 14). Il requisito della dominant influence, che serve a squarciare il velo della personalità giuridica di diritto comune, può realizzarsi in molteplici forme: controllo azionario, che riguardo le azioni con diritto di voto può essere totalitario, maggioritario o comunque in grado di consentire la riserva di potere deliberativo; potere di nomina dei vertici societari; esistenza di una disciplina legislativa o di rango inferiore in grado di predeterminare l’agire dell’impresa; «unofficial influence», priva di fondamenti legali ma basata su rapporti di parentela o commistioni tra l’esecutivo e l’impresa e in grado comunque di condizionarne la sfera operativa.

In secondo luogo, la qualifica soggettiva di pubblico ufficiale deriva da un requisito negativo (§ 15): non rientrano infatti in questa sfera i soggetti che agiscono nell’ambito di società controllate ma che operano su un normale piano commerciale nel mercato di riferimento, sostanzialmente equiparabile a quello delle imprese private con cui concorrono e in assenza di fonti preferenziali di finanziamento o di altri privilegi che abbiano i caratteri della sistematicità e non occasionalità. In tali casi, infatti, lo Stato non utilizza la società per il perseguimento di una delle sue funzioni pubbliche, ma per svolgere attività d’impresa e si sottopone alle stesse regole giuridiche ed economiche cui sono sottoposti i suoi concorrenti. Le pratiche corruttive che vedono come protagonista il dirigente o il dipendente di tali organismi sono quindi da classificare come esempi di corruzione privata, una fattispecie rilevante sul piano penale in molti Paesi, ma non per la Convenzione in esame.

La Convenzione è stata recepita in modo diverso negli Stati firmatari. Le diverse legislazioni nazionali possono essere suddivise in due categorie: quella degli approcci allineati con le definizioni dell’art. 1 Convenzione Ocse (tra i quali è compreso l’approccio portoghese e, a seguito dell’emanazione del Bribery Act 2010, del Regno Unito); quella delle definizioni con una struttura marcatamente autonoma (tra cui sono incluse la legislazione italiana, francese e tedesca), che hanno spesso deciso di recepire la Convenzione con una semplice estensione delle definizioni interne di P.A. a soggetti al servizio di Stati stranieri.

In conclusione, il desiderio di emancipazione da differenti concezioni politico-economiche e dalla ritrosia degli ordinamenti nazionali a “concedere campo” nel settore della tutela penale ci ha donato una definizione di Pubblica Amministrazione complessa, moderna e, soprattutto, adattabile: da un lato alle fasi interne al Paese di transizione da un tradizionale welfare State a meccanismi di mercato neo-liberali; dall’altro all’applicazione uniforme in un’area economica, politica e giuridica vasta e multiforme quale può essere quella dell’Unione Europea. La contestuale valutazione di un elemento soggettivo e di uno oggettivo garantisce, se operata secondo criteri certi, chiari e predeterminati, un giusto adattamento alle diverse strategie di azione dello Stato moderno nel mercato e fuori da esso. È questa, in definitiva, una soluzione cui le Corti e il legislatore italiani dovrebbero guardare con attenzione, ciascuno nell’esercizio della sua funzione: le Corti potrebbero rinunciare a cedere a ciechi ontologismi, che portano a riqualificare come Pubblica Amministrazione qualsiasi ente, anche se di diritto commerciale, in forza di una qualche presenza dello Stato nelle dinamiche operative, senza valutare se vi sia un’effettiva dominazione delle strategie sociali e, soprattutto, dimenticando di applicare l’approccio funzionale, presente anche nel nostro ordinamento in forza degli articoli 357 e 358 c.p. Il legislatore potrebbe introdurre una definizione di Pubblica Amministrazione ai fini della legge penale che prenda con chiarezza le distanze da una concezione di azione amministrativa ormai superata, riformulando le nebulose definizioni del codice penale in sintonia con la Convenzione dell’Ocse.

Una soluzione ad annosi problemi, per entrambi questi poteri, è a portata di mano.

BIBLIOGRAFIA

G. Napolitano, voce Pubblica amministrazione, in Dizionario di diritto pubblico, diretto da S. Cassese, Milano, Giuffrè, 2006, 4741 ss.

C. Nicholls QC, T. Daniel, A. Bacarese, J. Hatchard, Corruption and misuse of public office, Oxford, Oxford University Press, ed. 2, 2011.

I. Zerbes, Article 1: The Offence of Bribery of Foreign Public Officials, in M. Pieth– L. A. Low– P. J. Cullen (a cura di), The OECD Convention on Bribery: a commentary, Cambridge, Cambridge University Press, 2007.

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