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I COMPENSI NELLE SOCIETÀ A CONTROLLO PUBBLICO: IN CANTIERE IL NUOVO E ATTESO DECRETO-FASCE

Vittoria Melchionna

11/12/2019

A luglio 2019 il Ministro dell’economia e finanze ha reso nota la bozza di Regolamento relativo ai compensi delle società non quotate a controllo pubblico, la cui adozione è prevista dall’art. 11, comma 6, del decreto legislativo 19 agosto 2016, n. 175 (di seguito TUSPP). 

Per l’adozione definitiva del decreto ministeriale sono ora necessari il previo parere delle Commissioni parlamentari competenti e la previa intesa in Conferenza Unificata per le società controllate dalle regioni o dagli enti locali. Ad oggi, l’esame del testo del decreto è ancora iscritto all’ordine del giorno della Conferenza Unificata, per quanto sia stato più volte rinviato.

Negli ultimi anni la materia dei compensi delle società pubbliche e, in particolare, degli organi di amministrazione delle stesse, è stata oggetto di numerosi interventi legislativi a partire dalla legge finanziaria del 2006. Si è trattato di interventi che, non coincidendo sempre quanto ad ambito di applicazione, soggettivo ed oggettivo, si sono stratificati e intersecati, determinando un assetto normativo piuttosto complesso e articolato.  

Il TUSPP, coerentemente con la sua finalità di riorganizzazione razionale e uniforme della disciplina delle società a partecipazione pubblica, ha abrogato buona parte delle disposizioni previgenti, rendendo per il resto necessario un coordinamento con le altre disposizioni non espressamente abrogate. 

La ragione prevalente che ha spinto il legislatore a disciplinare la materia in commento, peraltro derogando alla disciplina di diritto comune, è stata l’esigenza di ridurre e contenere la spesa pubblica. I compensi in questione, infatti, specialmente al verificarsi di abusi e veri e propri sprechi di denaro pubblico, sono stati percepiti come un costo a carico della collettività da sottoporre a limiti.

La norma di cui all’art. 11, comma 6, del TUSPP riprende sostanzialmente quanto previsto all’art. 1 del decreto legge 6 dicembre 2013, n. 201, come sostituito dall’art. 1, comma 672, della legge 28 dicembre 2015, n. 208. Entrambe le disposizioni rimettono al decreto attuativo del Ministero dell’economia e finanze la più puntuale definizione della disciplina sui compensi delle società a controllo pubblico, della quale definiscono i principi generali. Invero, già sulla base del citato art. 1, comma 1, del decreto legge 6 dicembre 2013, n. 201 il Ministro dell’economia e finanze aveva adottato il decreto di attuazione 24 dicembre 2013, n. 166, rimasto applicabile in via transitoria nelle more dell’adozione del nuovo decreto ministeriale. 

La bozza del nuovo regolamento mantiene la stessa struttura del precedente regolamento del 2013, ma non manca anche di divergere e innovarlo in più punti.

Prima di analizzare le disposizioni centrali in tema di compensi e dei loro limiti, contenute nello schema del nuovo decreto, è bene soffermarsi sull’ambito di applicazione soggettivo della disciplina. Secondo l’art. 1 della bozza le disposizioni del nuovo decreto si applicano alle sole società a controllo pubblico “come definite dal Testo Unico” e non si applicano alle società quotate e alle loro controllate, così come previsto dal Testo Unico. In tal modo la disciplina è resa uniforme per tutte e sole le società come sopra definite; diversamente l’impostazione passata aveva spesso fatto riferimento a singole e altre categorie di società a partecipazione pubblica (totale, prevalente, mista, statale, locale), determinando così un quadro variegato e diversificato.

Come già disposto dall’art. 1 del decreto legge 6 dicembre 2013, n. 201, il testo unico conferma la scelta di fondo di limitare l’ammontare massimo dei compensi e rimette allo stesso modo la più puntuale definizione della disciplina al decreto del Ministro dell’economia e finanze. Sia la disciplina disposta in via transitoria dallo stesso TUSPP nelle more dell’adozione del regolamento di cui si discute, sia la stessa bozza di regolamento in via di adozione, in particolare, individuano non un unico limite da applicare indistintamente a tutte le società soggette alla disciplina, ma fissano diverse soglie massime dei compensi, proporzionali alle dimensioni di ciascuna società. Spetta, pertanto, al decreto ministeriale, in primo luogo, la classificazione delle società in cinque fasce sulla base di alcuni indicatori dimensionali quantitativi, volti a valutare la complessità organizzativa e gestionale e le dimensioni economiche delle società e, quindi, l’indicazione del valore massimo dei compensi per ciascuna fascia (da cui il nome del decreto c.d. “fasce”).

L’art. 2 della bozza di decreto individua le cinque fasce sulla base dei tre seguenti indicatori da desumere dai bilanci approvati, consolidati ove esistenti: 1) “valore della produzione”; 2) “totale dell’attivo patrimoniale e fondi gestiti per conto terzi”; 3) “numero dei dipendenti”. Nella tabella 1 è indicato il valore di ciascuno degli indicatori che le società devono possedere per rientrare nella specifica fascia di appartenenza. Le fasce sono ordinate in modo decrescente: pertanto, la prima è quella relativa alle società di maggiori dimensioni cui corrisponde il limite ai compensi più alto. Inoltre, fino alla quarta fascia è sufficiente raggiungere il valore di due soli tra gli indicatori fissati.

Per ciascuna fascia di classificazione, individuata ai sensi dell’art. 2 del decreto, il successivo art. 3 fissa l’importo massimo complessivo del trattamento economico annuo lordo in due diverse tabelle. È previsto, infatti, un trattamento differenziato dei limiti massimi dei compensi erogabili per gli amministratori unici, gli amministratori delegati, i dirigenti e i dipendenti (tabella 2) rispetto a quelli fissati per il Presidente e i componenti dell’organo di controllo e dell’organo amministrativo (tabella 3).

Dai nuovi valori delle tabelle menzionate sembra potersi desumere che in molti casi ne risulterà per gli amministratori delegati e unici un aumento dei compensi rispetto al passato e, al contrario, una tendenziale riduzione dei compensi per gli altri membri dell’organo di amministrazione e per il presidente e i componenti dell’organo di controllo. Sul punto, tuttavia, affiorano già le posizioni critiche di chi si chiede se tale scelta, pur dettata dall’attesa di una migliore responsabilizzazione ed efficienza della carica di amministratore delegato o unico, sia del tutto giustificata ed effettivamente idonea rispetto al suo intento.

Il comma 7 dell’articolo in esame, inoltre, chiarisce espressamente che i limiti stabiliti si riferiscono al “trattamento economico annuo in qualsiasi forma riconosciuto, compresi eventuali benefici non monetari suscettibili di valutazione economica, nonché le spese di vitto e alloggio diverse da quelle di trasferta, che ai sensi della normativa vigente o della prassi interpretativa concorrono alla formazione del reddito imponibile”. 

È, altresì, detto chiaramente, prevenendo ogni dubbio al riguardo, che anche la parte variabile del compenso deve essere contata ai fini del rispetto del limite massimo del compenso. Tale componente non può essere inferiore al 30 per cento di quella fissa e deve essere commisurata al raggiungimento di obiettivi di performance, che siano predeterminati, misurabili e collegati alla creazione di valore per i soci e al conseguimento di risultati positivi di gestione. Tuttavia, la stessa può essere corrisposta solo in presenza di “un margine operativo lordo positivo”, come si ricava dal comma 3 dell’art. 3 del decreto-fasce. Quest’ultima espressione, che rimanda ad un’unità di misura usata nel calcolo dei flussi di cassa dell’impresa, specifica meglio quanto disposto allo stesso riguardo nell’ultimo periodo dell’art. 11, comma 6, del TUSPP con una formula più ambigua, laddove afferma che la parte variabile non può essere corrisposta in presenza di “risultati negativi attribuibili alla responsabilità dell’amministratore”. 

L’art. 4 della proposta di regolamento, infine, prevede un sistema di monitoraggio e verifica del rispetto dei limiti suddetti che coinvolge sia il consiglio di amministrazione sia la società stessa. Infatti, spetta all’organo di amministrazione, sentito l’organo di controllo, redigere una relazione sulla remunerazione in merito alla politica adottata in materia di trattamento economico annuo onnicomprensivo.

 A titolo esemplificativo, gli amministratori dovranno illustrare: le finalità perseguite con la politica di remunerazione, i princìpi che ne sono alla base e i criteri adottati in riferimento alla componente fissa e variabile. La relazione dovrà, poi, essere sottoposta all’assemblea convocata per l’approvazione del bilancio di esercizio. La società è tenuta, in aggiunta, a fornire informativa ai soci pubblici sulle politiche di remunerazione che riflettono e promuovono una sana, prudente ed efficace gestione tenuto conto dei risultati economici e della situazione patrimoniale e finanziaria della società stessa.

Nell’attesa dei pareri necessari per l’adozione del regolamento, così parzialmente descritto, ci si interroga se tale versione sia in grado di sostenere effettivamente una politica aziendale di remunerazione più efficiente, tesa alla responsabilizzazione e moralizzazione dell’incarico assegnato e attuativa “della miglior prassi comune ai mercati finanziari”, richiamata nel considerato della bozza. Infatti, se è vero che, come detto, i compensi degli amministratori delegati o unici incontrerebbero tetti più alti che in passato, risulta altrettanto vero che all’atto pratico la maggior parte delle società destinatarie della disciplina si trovino, in realtà, all’interno delle fasce inferiori, con la previsione di un sistema complessivo vincolante l’autonomia decisionale in materia di compensi, e quindi riduttivo della competitività tra le società nel “mercato dei manager di società”.

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