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Il c.d. whistleblowing: evoluzione normativa e contributo dell’Anac nella definizione della recente disciplina

di GIULIA MARI

27/11/2017

1. Premesse

In data 15 novembre 2017, con la definitiva approvazione da parte della Camera della proposta di legge A.C.3365-B, si è concluso l’iter legislativo sulla regolamentazione del cd. whistleblowing.

Istituto di derivazione anglosassone, il whistleblowing è volto a garantire la tutela dei soggetti che segnalino illeciti o altre forme di irregolarità, dei quali siano venuti a conoscenza nell’ambito del proprio rapporto lavorativo.

Tale strumento rappresenta un metodo di contrasto dei fenomeni di cattiva amministrazione e si inquadra nell’ambito di una politica di prevenzione alla corruzione volta a debellare le condotte latu sensu illecite, incidendo in primo luogo sulla lotta all’omertà, che da sempre rappresenta il naturale riparo all’ombra del quale si sviluppa tale piaga.

L’obiettivo finale consiste quindi nell’incentivazione di comportamenti collaborativi; al fine di ottenere ciò si richiede naturalmente la previsione di concrete misure a garanzia del soggetto segnalante (cd. whistleblower).
La tutela riguarda, nello specifico, la sfera lavorativa e personale del soggetto, volendosi impedire azioni discriminatorie o ritorsive quali licenziamento, demansionamento o mobbing.

2. L. 6 novembre 2012 n.190

Il primo intervento legislativo in materia, relativamente recente, risale alla legge del 6 novembre 2012, n.190. Tale normativa ha recepito diverse sollecitazioni emerse a livello internazionale, specialmente a seguito della ratifica, da parte del nostro Paese, di una serie di convenzioni in ambito ONU ed OCSE e a fronte di raccomandazioni provenienti dall’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa.
La legge in esame ha apportato una specifica modifica all’interno del T.U. del Pubblico Impiego (D.Lgs. 165/2001), introducendovi l’art. 54-bis.
Ai sensi di tale norma, il legislatore aveva previsto il divieto di sanzionare, licenziare o discriminare il dipendente pubblico che denunciasse all’autorità giudiziaria o alla Corte dei conti, ovvero segnalasse internamente al proprio superiore gerarchico, condotte illecite di cui fosse venuto a conoscenza in ragione del proprio rapporto di lavoro. Tuttavia tali garanzie venivano meno nel caso in cui il segnalante avesse commesso un reato di calunnia o di diffamazione, ovvero se si fossero configurati i presupposti di una responsabilità risarcitoria ai sensi dell’art. 2043 c.c.
La norma poneva, inoltre, un divieto di divulgazione dell’identità del segnalante in assenza del suo consenso, ad eccezione dei casi in cui fosse stata assolutamente indispensabile per la difesa del segnalato.

Diverse sono state le critiche mosse a tale previsione, in primis la delimitazione della disciplina al solo settore pubblico e la non completa tutela della riservatezza del whistleblower a causa della residuale possibilità di divulgazione della sua identità, così come la mancata previsione di sanzioni in caso di violazione degli obblighi di tutela.
Tra le criticità è stata inoltre evidenziata l’eccessiva vaghezza della normativa nel punto in cui faceva riferimento al venir meno della tutela nelle ipotesi di reato per calunnia, diffamazione, ovvero nel caso di responsabilità civile extracontrattuale.
Nello specifico, la generica formulazione della norma non permetteva di individuare, con sufficiente chiarezza, il momento a partire dal quale, nelle suddette ipotesi, la tutela del soggetto segnalante sarebbe cessata. Sul punto, come vedremo, è intervenuta l’Autorità nazionale anticorruzione (ANAC), fornendo una propria lettura della disposizione, al fine di colmarne la lacunosità.

 

3. L. 11 agosto 2014 n.114

Successivamente il legislatore è intervenuto, modificando la suddetta L.190/2012, con il D.L. 24 giugno 2014, n.90 (Misure urgenti per la semplificazione e la trasparenza amministrativa e per l’efficienza degli uffici giudiziari), convertito in legge dalla L.114/2014.
Tale intervento ha introdotto anche l’ANAC tra i soggetti destinatari delle segnalazioni; essa infatti “riceve notizie e segnalazioni di illeciti, anche nelle forme di cui all’art. 54-bis del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165”. Si è avuta in questo modo una equiparazione tra l’ANAC, l’autorità giudiziaria e il superiore gerarchico. L’Autorità è quindi chiamata a gestire, non solo le segnalazioni provenienti dai propri dipendenti, ma anche quelle dei dipendenti di altre amministrazioni.
L’intervento legislativo ha anche previsto per l’Autorità l’obbligo di emanare disposizioni procedimentali volte a ricevere e gestire tali segnalazioni.

 

4. Linee guida ANAC in materia

Con la Determinazione n.6 del 28 aprile 2015, l’ANAC, nell’ambito del suo generale potere di regolazione che, come specificato dall’Autorità stessa, si inquadra nel potere di indirizzo sulle misure di prevenzione della corruzione, ha adottato linee guida in materia di tutela del dipendente pubblico che segnala illeciti.
Come la stessa Autorità ha sottolineato, tali linee guida si prefiggono l’obiettivo, da un lato, di fornire indicazioni alle pubbliche amministrazioni circa le misure da approntare per tutelare la riservatezza dell’identità dei soggetti segnalanti e, dall’altro, di proporre modelli procedurali per la gestione delle segnalazioni, che tengano conto dell’esigenza di tutela della riservatezza di detti soggetti. Tali attività devono essere svolte conservando la finalità principale di “incoraggiare i dipendenti pubblici a denunciare gli illeciti di cui vengano a conoscenza nell’ambito del rapporto di lavoro e, al contempo, a garantirne un’efficace tutela”.

 

5. La nuova normativa e il recepimento delle linee guida ANAC

La determinazione ANAC del 2015 ha messo in luce criticità e lacune della previgente normativa, fornendo indicazioni interpretative e attuative volte ad integrare la disciplina in materia.
Tali raccomandazioni sono state poi recepite nell’ A.C. 3365-B, approvato dalla Camera dei deputati lo scorso 15 novembre, il quale fornisce un quadro più completo ed articolato della materia, rispetto alla previgente normativa.

Tra le indicazioni dell’ANAC recepite nella nuova disciplina, una posizione di rilevo è occupata dalla figura del Responsabile della prevenzione della corruzione.
La precedente disciplina indicava, tra i destinatari della segnalazione, oltre alla magistratura, ordinaria e contabile, e all’ANAC stessa, il superiore gerarchico del dipendente segnalante.
A tal riguardo l’ANAC aveva indicato che la figura centrale del sistema di prevenzione della corruzione, così come disciplinato nella Legge Severino (Legge n.190/2012), è il Responsabile della prevenzione della corruzione e pertanto sarebbe stato questo il soggetto da considerare funzionalmente competente a conoscere di eventuali fatti illeciti. Soggetto nei confronti del quale, peraltro, potevano essere attivate specifiche forme di responsabilità.

Sulla base di tali premesse, l’Autorità riteneva altamente auspicabile che le segnalazioni venissero inviate direttamente al Responsabile della prevenzione della corruzione dell’amministrazione o dell’ente di riferimento.

Il testo approvato dalla Camera, in accoglimento alle raccomandazioni avanzate dall’Autorità, modifica l’art 54-bis del D.Lgs.165/2001, facendo riferimento, all’art. 1, co. 1, alla figura del “Responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza” (di cui all’articolo 1, comma 7 della Legge 6 novembre 2012, n.190), quale destinatario, assieme all’ANAC e all’Autorità giudiziaria, delle segnalazioni provenienti dal pubblico dipendente.

Inoltre lo stesso articolo 1 estende le tutele del dipendente pubblico che segnala illeciti, prevedendo un ampliamento del catalogo delle condotte ritorsive censurate, poste a tutela del soggetto segnalante. Sono previste, tra le misure vietate, anche il demansionamento, il trasferimento ed altre misure organizzative ritorsive.

Una maggiore tutela del whistleblower è prevista anche in riferimento alla rivelazione dell’identità del segnalante.
La nuova disposizione prevede che questa sia coperta da segreto – nell’ambito del procedimento penale – fino alla chiusura delle indagini preliminari ai sensi dell’art. 329 c.p.p. e – nell’ambito del procedimento dinanzi alla Corte dei conti – fino alla chiusura della fase istruttoria.

Importanti novità sul tema sono previste nell’ambito dell’eventuale procedimento disciplinare, che si può aprire a seguito della segnalazione. In caso di contestazione dell’addebito disciplinare, fondata su accertamenti distinti ed ulteriori rispetto alla segnalazione, la nuova disciplina prevede che l’identità del segnalante non possa più essere rivelata. Questa rappresenta una rilevante novità rispetto alla disciplina previgente, la quale ammetteva invece la rivelazione dell’identità del segnalante, seppur previo consenso dell’interessato.

La nuova disciplina introduce, inoltre, un’ulteriore specifica cautela. Nel caso in cui la contestazione dell’addebito disciplinare sia fondata, in tutto o in parte, sulla segnalazione e la conoscenza dell’identità del whistleblower sia indispensabile per la difesa del segnalato, la rivelazione dell’identità è ora ammissibile solo in presenza del consenso del segnalante.
È importante osservare che, in base alla normativa precedente, in tale fattispecie, l’identità poteva essere rivelata prescindendo dal consenso del segnalante, ritenendo sufficiente il requisito della “indispensabilità”.

È evidente dunque, che l’approccio più garantista, auspicato dall’ANAC, è stato adottato dal legislatore.
L’Autorità aveva avanzato perplessità nella consapevolezza del fatto che, l’individuazione dei presupposti in grado di ridurre la riservatezza del segnalante, è un punto cruciale della disciplina, in quanto la garanzia di segretezza è una delle condizioni che incoraggiano il dipendente pubblico ad esporsi segnalando fenomeni di illiceità.

Tra le ulteriori novità introdotte dalla normativa vi è la previsione secondo cui l’ANAC, sentito il Garante per la protezione dei dati personali, adotterà apposite linee guida sulle procedure di presentazione e gestione delle segnalazioni, prevedendo l’utilizzo di modalità anche informatiche e promuovendo il ricorso a strumenti di crittografia, al fine di garantire la riservatezza dell’identità del segnalante.
Anche a tal riguardo l’Autorità, nella determinazione del 2015, aveva rilevato l’opportunità che le amministrazioni si dotassero di un sistema di gestione delle segnalazioni, che ne garantisse la riservatezza.
L’Autorità aveva, inoltre, offerto un modello procedurale a cui le amministrazioni si sarebbero potute ispirare ed aveva anticipato che essa stessa si sarebbe dotata di un modello gestionale informatizzato per le segnalazioni dei dipendenti propri o di altre pubbliche amministrazioni.

Un’altra novità riguarda l’identificazione della categoria dei dipendenti pubblici.
A tal proposito il testo approvato dalla Camera fa riferimento ai dipendenti delle pubbliche amministrazioni come individuati dall’art.1, co.2 e art. 3 D.Lgs. 165/2001, così come aveva già rilevato l’ANAC nella determina del 2015, ed estende la tutela anche ai dipendenti degli enti pubblici economici e degli enti di diritto privato sottoposti a controllo pubblico, nonché ai lavoratori e collaboratori delle imprese fornitrici di beni o servizi che realizzano opere in favore dell’amministrazione pubblica.

Rimanendo nell’ambito della tutela del dipendente pubblico, è da segnalare inoltre la previsione di cui all’art. 1, co. 6 della nuova Legge, che attribuisce all’ANAC la competenza nel comminare sanzioni amministrative pecuniarie fino ad un massimo di 30.000 euro a carico del responsabile della pubblica amministrazione o dell’ente, che abbia adottato misure discriminatorie nei confronti del segnalante. È inoltre prevista l’irrogazione di una sanzione amministrativa pecuniaria fino a 50.000 euro, nei confronti del responsabile, nel caso di mancata verifica delle segnalazioni ricevute.

Un’importante innovazione riguarda l’inefficacia delle misure adottate dall’amministrazione o dall’ente, a carico del soggetto segnalante. Gli atti discriminatori o ritorsivi, posti in essere nei confronti di quest’ultimo, sono considerati nulli ed è previsto il diritto del segnalante licenziato, a causa della propria segnalazione, alla reintegra nel posto di lavoro.

È previsto, inoltre, l’inversione dell’onere della prova, la quale risulta a carico dell’amministrazione pubblica o dell’ente, che deve perciò dimostrare l’estraneità della misura inflitta nei confronti del whistleblower, rispetto alla segnalazione di quest’ultimo. Tale garanzia viene ovviamente meno qualora il segnalante venga condannato in primo grado, per i reati di calunnia o diffamazione o altri reati commessi con la denuncia, o quando sia accertata la sua responsabilità civile per dolo o colpa grave.

A tal proposito l’ANAC, già nelle linee guida del 2015, aveva evidenziato la lacunosità della disciplina previgente per via dell’eccessiva genericità della normativa, la quale non individuava il momento in cui doveva venir meno la tutela del segnalante. Per mitigare tale criticità, l’Autorità aveva fornito una sua indicazione interpretativa, ritenendo necessaria almeno una sentenza di primo grado sfavorevole al segnalante affinché cessassero le condizioni di tutela dello stesso. Anche tale ulteriore accorgimento è stato dunque recepito nell’AC 3365-B.

Sicuramente l’intervento più rilevante, e più atteso, consiste nell’estensione della disciplina del whistleblowing anche al settore privato.
Come sappiamo le precedenti disposizioni in materia avevano un ambito di applicazione ristretto, riferendosi esclusivamente alla tutela del dipendente pubblico, senza prevedere alcuna regolamentazione dell’istituto nel settore privato. È quindi da salutare con favore l’ampliamento della disciplina operato dal legislatore.

In particolare, il provvedimento interviene sui modelli organizzativi e di gestione dell’ente idonei a prevenire reati, predisposti ai sensi del D.Lgs. 231/2001, richiedendo, all’art. 2 che tali modelli debbano prevedere appositi canali di segnalazione, di cui almeno uno con modalità informatiche.
Le segnalazioni circostanziate destinate a tali piattaforme dovranno riguardare condotte illecite rilevanti, fondate su elementi precisi e concordanti, ovvero violazioni del modello di organizzazione e gestione dell’ente. I canali di cui sopra dovranno inoltre garantire la riservatezza sull’identità del segnalante, che, come sappiamo, costituisce un aspetto di fondamentale rilevanza nella disciplina del whistleblowing.
Per restare nel quadro delle tutele assicurate, si evidenzia inoltre che la recente normativa impone ai modelli organizzativi e di gestione, di cui sopra, di prevedere il divieto di atti di ritorsione o discriminatori nei confronti del segnalante, per motivi collegati alla segnalazione, nonché la possibilità di comminare sanzioni a carico di chi violi le misure di tutela del whistleblower, ma anche di chi effettui segnalazioni infondate con dolo o colpa grave.

Anche in ambito privatistico sono state adottate le misure cautelative a favore del dipendente o collaboratore che effettua segnalazioni, già note al settore pubblico, tra cui l’inversione dell’onere della prova, posto a carico del datore di lavoro e la nullità del licenziamento ritorsivo e di ogni altra misura discriminatoria adottata nei confronti del soggetto segnalante.
L’impiego di misure ritorsive può essere, inoltre, denunciata all’Ispettorato nazionale del lavoro, per quanto di competenza, sia dal segnalante che dalle organizzazioni sindacali indicate dal medesimo.

Per ultimare l’analisi della nuova normativa si noti che l’ultimo articolo della stessa introduce, sia per il settore pubblico che per quello privato, una scriminante per la rivelazione del segreto d’ufficio.
È infatti espressamente riconosciuta come giusta causa di rivelazione del segreto professionale, scientifico e industriale, oltre che di violazione dell’obbligo di fedeltà, il perseguimento, ad opera del whistleblower, dell’interesse all’integrità delle amministrazioni pubbliche o private, nonché alla prevenzione e alla repressione delle malversazioni.

L’accoglimento ad opera del legislatore, delle sollecitazioni espresse dall’ANAC, con la determina del 2015 e l’allargamento dell’ambito soggettivo di applicazione dell’istituto, hanno consentito al nostro Paese di colmare il vuoto normativo in materia e di appianarsi ai relativi standard internazionali.
Tale intervento ha certamente rappresentato un importante passo in avanti nella lotta al fenomeno corruttivo: garantire una concreta tutela del dipendente che segnala illeciti, rappresenta – infatti – un elemento efficace al fine di rompere il circuito omertoso che, come premesso, costituisce il principale ostacolo alla rivelazione di condotte illecite in ambito lavorativo.

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