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Il contratto di rete: quando l’unione fa la forza

di Vittoria Vetano

09/12/16

E’ ormai dato ineluttabile quello che palesa come una frammentazione delle gestioni sia ostacolo alla industrializzazione dei settori di pubblica utilità. Assetti proprietari frastagliati difficilmente riescono a far fronte agli investimenti infrastrutturali che in questi settori sono richiesti. Questi infatti esigono ingenti capitali cui solo attraverso grandi dimensioni d’impresa è possibile far fronte. Sulla base di tali considerazioni, il legislatore si era già iniziato a muovere per il tramite della legge di Stabilità 2015, la quale all’art. 1, comma 609 modificava  l’assetto organizzativo dei ss.pp.ll. promuovendo processi di aggregazione e rafforzamento della gestione industriale dei servizi pubblici locali a rete di rilevanza economica. Il dettato normativo affronta tale tema prevedendo incentivi a beneficio degli Enti locali che dismettono le partecipazioni proprio in virtù di una riorganizzazione del settore che punta a raggiungere le dimensioni necessarie a sfruttare le economie di scala e di scopo, per offrire un servizio di qualità a costi più contenuti. In altre parole, valutando positivamente la spinta alla riduzione della frammentazione gestionale, il legislatore ha provato ad adottare gli strumenti sufficienti a raggiungere lo scopo.                                                                                                                  Con un focus sui vari ss.pp.ll. e quindi anche sul servizio idrico integrato,  il decreto cd. “Sblocca Italia” ha completato un disegno di riforma che puntava ad un processo di aggregazione tanto istituzionale quanto dei soggetti  gestori, processo ritenuto necessario per il raggiungimento di migliori standard qualitativi.

Un’innovativa modalità di formalizzazione di questo processo aggregativo era forse in nuce rinvenibile in un istituto  entrato a far parte del nostro ordinamento già dal 2009, il contratto di rete. Un istituto questo accolto con molto interesse nel nostro ordinamento, ma forse ancora poco diffuso e che ha trovato con il decreto “Sblocca Italia” un’interessante possibilità di diffusione. Il contratto di rete realizza una collaborazione tra imprese, le quali si accordano al fine di collaborare per esercitare in comune alcune attività economiche. Tramite questa aggregazione si realizza dunque una condivisione di know-how, necessaria per incrementare la capacità innovativa delle imprese, per avviare strategie di sviluppo e di condivisione di risorse professionali, per realizzare dunque progetti ed obiettivi condivisi che difficilmente un’impresa di modeste dimensioni riuscirebbe a conseguire.  Con il contratto di rete le aziende si obbligano ad esercitare in comune una o più attività economiche che rientrano nei rispettivi oggetti sociali, pur mantenendo però, la propria autonomia e soggettività giuridica. La ratio dell’istituto vuole la rete come una delle possibili vie per superare alcune debolezze connaturate alla dimensione delle imprese in quanto un rapporto stabile di dimensioni maggiori può certamente valorizzare le singole conoscenze e far sviluppare vantaggi competitivi. Non siamo poi tanto lontani dal proverbiale detto “l’unione fa la forza”.

Come espresso dal nomen dell’istituto possono far parte del contratto solo le imprese, restando esclusi i soggetti cui non si può attribuire la qualifica di imprenditore ex art. 2082 c.c. Il concetto di rete intuitivamente postula una pluralità di soggetti aderenti , ma l’interpretazione letterale individua in due imprenditori il numero minimo di aderenti. Se su tale aspetto il tenore letterale della norma risulta essere ben dettagliato, il legislatore di converso ha tracciato l’oggetto del contratto in modo assai sfocato conferendogli grande flessibilità. Le parti infatti dovranno presentare il c.d. Programma di rete cui dare attuazione, ma potranno inserire in questo programma le attività che più ritengano opportune: dal semplice scambio di informazioni (reti c.d. leggere), alla collaborazione in ambiti attinenti l’esercizio delle attività d’impresa, allo scambio di prestazioni (reti ad aggregazione intermedia), fino al più integrato esercizio di una o più attività in modo congiunto, al servizio delle imprese della rete o di alcune di esse (reti c.d. pesanti). La collaborazione assume quindi un significato molto ampio per così  dire  trecentosessanta gradi che va da un semplice contatto informativo ad un esercizio in comune di attività; unica è la causa che la norma sottintende: ”accrescere la reciproca capacità innovativa e competitività sul mercato.” La struttura aperta dei contratti di rete permette l’ingresso di nuovi soggetti nella rete e il principio di conservazione e salvaguardia della stabilità del contratto ne garantisce la continuità anche quando una delle parti del contratto venga meno (recesso), mantenendolo valido ed efficace per le restanti parti.

Un’ ulteriore classificazione possibile è quella tra reti orizzontali e reti verticali. Nelle prime le imprese partecipanti hanno “pari dignità”, operano nello stesso ambito e condividono un disegno unitario; sfruttano l’aggregazione per darsi maggiore visibilità e/o maggiore potere negoziale. Nelle seconde, dette anche “gerarchiche” i partecipanti sono posizionati su  livelli diversi relativamente alle fasi di attuazione del “programma di rete”, ma per consolidarsi mettono  la loro “expertise” in comune all’interno della stessa filiera produttiva. Uno dei punti deboli di questo istituto è che il  contratto di rete, come tale, non prevede l’acquisizione della soggettività giuridica autonoma anche se a determinate condizioni potrebbe sempre acquistarla in un secondo momento. L’ipotesi tipica è dunque quella di “reti contratto”. La rete, quindi, come tale, non ha una autonoma personalità giuridica, per cui gli atti posti in essere in esecuzione del programma di rete producono i loro effetti direttamente nelle sfere giuridico-soggettive dei partecipanti alla rete; infatti il sottostante rapporto obbligatorio darebbe applicazione ad un principio solidaristico   tale per cui, se condiviso e non proporzionale è l’ottenimento di agevolazioni e di vantaggi, allo stesso modo è configurabile una assunzione per intero del rischio legato a casi di inadempimento e insolvenza anche solo di uno dei partecipanti. Le lacune normative si infittiscono relativamente alla previsione di un fondo patrimoniale comune, destinato all’esecuzione del programma di rete; infatti se è chiaro che in mancanza di tale fondo, per le obbligazioni assunte nell’esecuzione del contratto di rete si corre il rischio sopra esplicato, nel caso in cui questo sia istituito, in virtù del tenore letterale della norme di riferimento, non  è assodato che i terzi possano far valere i propri diritti esclusivamente sul fondo comune di solidarietà, né in che modo ci si possa rivalere sulle singole imprese partecipanti. Discorso diverso si fa per le reti-soggetto, diffusesi forse proprio in quanto correzione dei rischi causati dalle altre. Le reti-soggetto, che si costituiscono quando è istituito un fondo patrimoniale e la rete è iscritta nel registro delle imprese, sono dotate invece di  una personalità giuridica soggettiva e di conseguenza forniscono una “protezione” maggiore alle imprese aderenti. In questo caso non assistiamo più ad una mera aggregazione di più imprenditori, ma una struttura autonoma a sé stante, adatta per le imprese che desiderano realizzare una forma di integrazione delle attività, creando una collaborazione più duratura e complessa.

Un’esperienza concreta, esempio virtuoso nella gestione del servizio idrico arriva  dal Veneto; la holding Viveracqua è la più importante per numero di società “gemellate”, in quanto vede aggregate 14 aziende della regione, e per ampiezza del territorio servito. A Verona infatti esiste  una sola Aato e 2 gestori (Acque Veronesi gestisce il servizio in 77 comuni, Ags in 19 comuni della zona del lago di Garda) ma tra i suddetti una partnership (Acque Veronesi mette infatti a disposizione di Ags il proprio laboratorio analisi) ha permesso di programmare lavori per il riammodernamento di reti acquedottistiche e fognarie e la realizzazione di nuove infrastrutture in tutta la provincia. In un settore qual è quello del servizio idrico integrato il contratto di rete è risultato utile su vari fronti; ha permesso di trovare  spazi di comune azione a livello di bacino e distretto al riguardo delle iniziative per la lotta al dissesto idrogeologico; ha permesso che una condivisone di risorse e di know how aprisse le porte all’innovazione tecnologica per migliorare la qualità del servizio e la qualità della vita dei cittadini; ha valorizzato la risorsa tramite strumenti di ricognizione del fabbisogno.

In settori che faticano a crescere, in cui l’impresa spesso fatica a stare a galla, è stata data in  questo modo  una valida risposta alla logica ostruzionistica della concorrenza, tramite percorsi aggregativi a costo zero che permettono risultati maggiori e condivisi.

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