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IL RIAMMODERNAMENTO DEGLI STADI E I VINCOLI DELLE SOPRINTENDENZE: I CASI SAN SIRO E ARTEMIO FRANCHI.

ANTONIO TRIGLIA

6 luglio 2020

La volontà di Enti locali e società calcistiche di costruire nuovi stadi o riammodernare quelli già esistenti si scontra spesso con l’interesse alla conservazione degli impianti più antichi. Infatti è previsto che alcuni di questi impianti, in quanto beni immobili la cui esecuzione risalga a più di settanta anni o che comunque presentino interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico, vadano in tutto o in parte salvaguardati. Molti di questi beni possono quindi essere sono sottoposti alle disposizioni del D.Lgs. del 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio) e pertanto ogni opera di demolizione o rimozione deve essere subordinata ad autorizzazione del Ministero, mentre ogni lavoro di riammodernamento e il riutilizzo del complesso di cui sono parte necessita di un’autorizzazione del soprintendente (art.21).

Negli ultimi anni in questo “scontro” investitori e società sportive hanno spinto per delle corpose ricostruzioni dei vecchi stadi, mentre a tutela degli impianti “storici” spesso si schierano gli amministratori locali. E ciò accade di frequente, anche perché è lo stesso co.305, art.1 della L. 147 del 2013 ad imporre per il c.d. Project Financing per impianti sportivi che i relativi interventi, laddove possibile, vadano “realizzati prioritariamente mediante recupero di impianti esistenti o relativamente a impianti localizzati in aree già edificate”.

Uno dei casi più importanti è senza dubbio quello dello Stadio Giuseppe Meazza di San Siro, bene di proprietà del comune di Milano. Le due principali società Meneghine da qualche anno non intendono più disputare le partite casalinghe alla “Scala del Calcio” e vogliono costruire un nuovo stadio nella zona circostante. I progetti dei club prevedevano la demolizione dello stadio e che l’area precedentemente occupata dal Meazza sarebbe stata messa a disposizione della città, creando una zona ricca di verde pubblico, una torre di uffici e altri servizi (non residenziali) ritenuti fondamentali per rientrare sull’investimento. Invece il Sindaco e molti dei consiglieri comunali avrebbero preferito una ristrutturazione del Meazza. 

In questo contesto era intervenuta la Soprintendenza di Milano inviando il proprio parere sul complesso immobiliare di San Siro a Palazzo Marino. Esso suggeriva di valutare ipotesi alternative alla demolizione, come l’adeguamento e la trasformazione dell’impianto. La Soprintendente Antonella Ranaldi, pur ritenendo che “le trasformazioni sono state talmente tante che la connotazione dello stadio è diventata quella degli anni ‘90”, aggiungeva che la struttura realizzata negli anni ’50 era da lei considerata “significativa dal punto di vista architettonico”. Ed è proprio il valore del secondo anello degli anni ’50 e delle celebri rampe elicoidali che potrebbero rappresentare un ostacolo per la demolizione, ancora più delle parti originarie del 1926. Queste parti secondo la Soprintendente avrebbero “Un significato e un sentimento calcistico, che porta a far percepire lo stadio come un’icona dello sport”. 

Il parere aveva colto di sorpresa il sindaco Sala, il quale riteneva che, per la sua strana formulazione, esso contenesse una richiesta che “andava un po’ interpretata”.

In effetti il vincolo sull’immobile appare particolare. Potrebbe trattarsi anche di un vincolo storico-relazionale, che in alcuni casi viene posto per proteggere beni che, oltre al significato culturale, portano con sé un legame con l’identità e la memoria di una comunità. Infatti il Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio comprende come Beni di interesse culturale, oltre ai beni che sono tali per il loro valore artistico, anche quegli immobili che “a causa del loro riferimento con la storia politica, militare, della letteratura, dell’arte e della cultura in genere, ovvero quali testimonianze dell’identità e della storia delle istituzioni pubbliche, collettive o religiose” (art.10, comma 3, lettera d). Per cui il bene oggetto della tutela si distingue non per le sue qualità intrinseche, ma prevalentemente per il suo valore storico testimoniale, che deriva da una emblematica destinazione d’uso avuta dal bene per molto tempo (es. la storica sede di un ente) e nel presente caso quelle parti della struttura avrebbero una forte “correlazione con il sentimento popolare della passione per il gioco del calcio”.

Proprio in considerazione di questo parere entrambi i successivi progetti presentati dalle società hanno previsto la salvaguardia tramite rifunzionalizzazione delle parti della struttura ritenute più importanti, con l’idea di farvi sorgere un parco o un centro sportivo comunale aperto al pubblico.

Tuttavia, proprio quando questa nuova prospettiva sembrava aver messo d’accordo amministratori e società sportive, è giunto il parere della Commissione Beni Culturali della Lombardia, che ha recentemente risposto alla richiesta del novembre 2019 da parte del Comune di Milano di verificare se sullo stadio cittadino esiste un interesse culturale. La Commissione Regionale, (organo creato con il Dpcm n.171 del 2014, il quale ha parzialmente ridisegnato l’organizzazione del Ministero), coordina e armonizza l’attività di tutela e di valorizzazione nel territorio regionale, è presieduta dal Segretario Regionale del MiBACT ed è composta dai Soprintendenti di settore e dal direttore del polo Museale operanti nel territorio regionale.

Essa ha chiarito che le persistenze dello stadio originario del 1925-26 risultano del tutto residuali rispetto ai successivi interventi realizzati nella seconda metà del Novecento e che questi non sarebbero sottoposti alle disposizioni del Codice dei Beni Culturali, in quanto non risalenti ad oltre settanta anni. Infatti il secondo anello venne realizzato nel 1955, ovvero 65 anni fa. In definitiva «Le stratificazioni e gli ampliamenti fanno dello stadio – come oggi percepibile nel suo insieme – un’opera connotata dagli interventi degli anni 1953-55, oltre a quelli del biennio 1989-90, ovvero un’architettura soggetta a una continua trasformazione in base alle esigenze di pubblica fruizione e sicurezza e ai diversi adeguamenti normativi propri della destinazione ad arena calcistica e di pubblico spettacolo».

Il parere della Commissione sulla possibilità di sacrificare l’anima più vecchia (ma meno evidente) dello Stadio Meazza potrebbe quindi non esclude una futura demolizione totale. Tuttavia un’eventuale intesa fra il Comune e le due società sulla salvaguardia dell’immagine dell’attuale impianto (riqualificandolo e destinandolo ad altre attività nell’interesse dei milanesi), rappresenta una scelta di ampio orizzonte, che va oltre quanto imposto dai vincoli legislativi e dimostra grande attenzione nel valorizzare un’architettura che è stata simbolo di Milano e del calcio italiano.

L’associazione “Gruppo Verde San Siro” in ogni caso ha impugnato la decisione della Commissione Regionale, proponendo ricorso gerarchico al Ministero dei Beni culturali, ai sensi dell’art.16 del D.Lgs. n. 42 del 2004. 

Il riconoscimento dell’interesse culturale degli immobili di proprietà pubblica risalenti a più di settant’anni può avvenire a seguito della procedura di “verifica” di cui all’art. 12 co.2 del Codice dei Beni culturali, all’esito della quale l’accertamento dell’interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico, costituisce anche “dichiarazione dell’interesse culturale” ai sensi dell’art.13. In pratica viene svolta dalla Soprintendenza una valutazione storico-architettonica sulla struttura e viene redatta una relazione che evidenzia le più rilevanti caratteristiche del bene, meritevoli di conservazione. Non si tratta tuttavia di una procedura che si avvia automaticamente, anche perché una volta trascorsi i settanta anni i beni vengono comunque tutelati, in quanto sottoposti alle disposizioni della Seconda Parte del Codice. Ciò fino a quando non sia stata effettuata la verifica ex art.12. Se a seguito della predetta verifica non è stato riscontrato l’interesse culturale, “le cose medesime sono escluse dall’applicazione delle disposizioni” del Codice. Per cui in genere un immobile pubblico risalente a più di settanta anni viene a trovarsi in una condizione di “non verificato”, uno status di incertezza temporanea, ma che potrebbe protrarsi per diversi anni e in ogni caso fino quando non interverrà il parere della Soprintendenza. 

È stato così inizialmente per lo stadio Meazza, ma anche per l’Artemio Franchi di Firenze. Alcune proposte di demolizione o di riammodernamento possono, infatti, “attirare l’attenzione” sul bene così che la Soprintendenza di sua iniziativa (anche d’ufficio, art. 12, co.2) interviene, verificando la sussistenza dell’interesse culturale, anche per valutare la fattibilità di questi interventi.

Tra le società calcistiche italiane che intendono intraprendere dei percorsi per costruire un nuovo stadio vi è anche la Fiorentina. Il principale progetto prevedeva la costruzione del nuovo impianto sul sito dell’attuale Stadio Comunale Artemio Franchi, a seguito di una parziale, ma corposa demolizione dell’impianto. In ragione di ciò la Soprintendenza di Firenze ha dato inizio al procedimento per proporre il vincolo sul Franchi. Nella relazione si leggeva che non è “possibile demolire in maniera estesa le curve, in quanto parte integrante del monumento”. A differenza di quanto accaduto a San Siro, è proprio la parte costruita negli anni ’30, la quale continua a mantenere elementi di pregio, che necessita di essere salvaguardata. Ciò sarebbe di fatto incompatibile con il progetto dell’architetto Casamonti, quello sposato anche dal Comune e dalla Fiorentina.

Il Soprintendente di Firenze ha in realtà spiegato che il sindaco e il neopresidente italoamericano Commisso gli hanno illustrato di persona il progetto Casamonti, il quale prevedeva la demolizione delle curve, ma un’istanza formale di demolizione e di avvio del procedimento amministrativo non è mai giunta. Per cui formalmente la soprintendenza non ha bocciato alcun progetto. Il soprintendente però ha, col parere reso, stabilito che è “l’intervento che deve adeguarsi all’edificio”. Molti interventi di aggiunta sono ammissibili, ma senza stravolgere quella che è “un’opera veramente fondamentale dell’architettura del progetto”.

Per cui la posizione della Soprintendenza sembrerebbe aver fatto cambiare i piani del Comune, che adesso, pur non ritenendo l’ipotesi del restyling del Franchi abbandonata, riconosce la necessità di individuare altre nuove funzioni dello Stadio Comunale, magari di concerto con la cittadinanza. Infatti per il sindaco Nardella il riammodernamento è necessario, anche alla luce dei tanti costi di manutenzione non altrimenti aggirabili, ma dovrà avvenire in parallelo con la costruzione di un nuovo stadio per la Viola, che l’amministrazione comunale vorrebbe veder sorgere sempre all’interno del Comune fiorentino, ma nell’area del Mercafir (Mercato agroalimentare cittadino). Quest’ultima ipotesi sembrerebbe non molto gradita alla società viola, che ha molti dubbi sulla viabilità e sulla presenza di altre attività nell’area. È per questo che appare sempre più probabile lo scenario di uno stadio per la Fiorentina al di fuori del territorio comunale di Firenze e più precisamente nel vicino comune di Campi Bisenzio, a circa 16 km dal Franchi.

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