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Indennità di esproprio: la “spensierata leggerezza” dell’Italia al capolinea

Anche questo mese la mia attenzione si è concentrata sulla ricerca. Pensavo di avere, non dico terminato ma, quanto meno, raccolto quasi tutto il possibile, invece ho capito che il materiale è infinito.
Ho così continuato a ricercare, a paragonare, a raffrontare tutto ciò che mi si presentava davanti, in tema di indennizzo, espropriazione e giurisprudenza in merito. Ho finalmente redatto il mio primo capitolo. E non è stato semplice.
Non è stato facile capire che impostazione dare al mio lavoro. Le idee iniziali erano lineari, l’impronta che avevo scelto l’avevo ben chiara in mente. Ma mettere nero su bianco ha messo a dura prova la mia capacità di organizzazione e pianificazione.
Alla fine, credo, di aver raggiunto il mio scopo. Ho cominciato così a redigere un capitolo sulla giurisprudenza, cronologicamente ordinato. Riga dopo riga e paragrafo dopo paragrafo, sono stata ammaliata e colpita da quello che mi si presentava davanti via via che il mio capitolo prendeva forma. Che contraddizione la giurisprudenza italiana!
Ho scritto della Legge sulla casa e della Legge Bucalossi, di come quest’ultima disponesse lo scorporo dello Ius aedificandi, di come la sentenza n. 5/1980 dichiari entrambe le disposizioni illegittime e riaffermi la preminenza della facoltà di edificare nell’ambito del contenuto essenziale del diritto di proprietà. Ho parlato della emanazione della legge n. 385/1980 che prende il nome di Legge-tampone proprio per sottolineare come questa dovesse trovare applicazione per un periodo decisamente limitato, in attesa della promulgazione di una legge “definitiva”, e di come in realtà la stessa sia stata ripetutamente prorogata, fino a che la Corte Costituzionale con la sentenza n. 223/1983 ha dichiarato incostituzionale la reiterazione di una norma che era nata sotto il segno della provvisorietà.
Quello che però mi ha colpito di più, di cui ho scritto con passione e di cui scriverò ancora nel capitolo secondo del mio lavoro di tesi, è l’art. 5 bis della legge 359/1992 che è stato soggetto ad aspre critiche per i criteri che disponeva in tema di indennizzo.
E mi ha colpito la prima decisione della Corte con la sentenza n. 283/1993, che respinge tutti i dubbi (che prima facie potrebbero portarci “erroneamente” a ritenere tale art. 5 bis una mostruosa creazione legislativa), dichiarando fermamente che tale criterio consentiva un equo bilanciamento tra l’interesse generale e quello particolare del privato, posta la non necessaria (?) equivalenza tra indennizzo e valore venale del bene.
Ritornando sui suoi passi, a più di un decennio di distanza, la Corte afferma con convinzione, quella convinzione di chi si è reso conto di aver avuto un comportamento altalenante, mutevole ed alquanto precario, l’illegittimità costituzionale del celebre art. 5 bis. Tale dichiarazione consegue alla questione sollevata dalla Suprema Corte in merito al presunto contrasto con l’art. 1 del primo protocollo della CEDU.
Ed è qui che entra in gioco il parere, divenuto finalmente (mi si perdoni il termine) vincolante, della Corte di Strasburgo, che, a seguito di una focalizzazione interpretativa, ha attribuito alla disposizione (della CEDU) un contenuto ritenuto dalla stessa incompatibile con la disciplina italiana della indennità da espropriazione.
Ma ancor di più mi ha intrigato la “spensierata leggerezza” dell’Italia, il suo essere completamente sganciata da qualsiasi logica legislativa ed egualitaria, in ambito di calcolo dell’indennizzo.
Un ulteriore ammonimento è arrivato dalla Corte di Strasburgo, circa il noto caso Scordino, dove all’Italia sono stati indicati specificamente i motivi di contrasto con le norme convenzionali.
Dove si è dichiarato che l’istituto dell’occupazione acquisitiva (che è oggetto di uno dei ricorsi presentati nel caso Scordino) è la base sulla quale si nota maggiormente il netto contrasto tra i due modelli regolatori dettati dalla Costituzione e dalla Convenzione europea in tema di proprietà.
Sembrerebbe, però, che la redenzione, per l’Italia sia vicina.
Possiamo auspicare che, addirittura, si arrivi ad una disciplina unica ed uniforme in tema di indennizzo, una disciplina rispettosa di tutti i parametri, costituzionali ed europei, una disciplina che tenga conto del rispetto dei diritti individuali, che perfettamente si amalgamano nel e col diritto di proprietà in tutte le sue sfaccettature.

Cristiana Mangano

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