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L’ ACCESSO CIVICO NON SI APPLICA ALLE SOCIETÀ PUBBLICHE QUOTATE: IL CASO RAI

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07/11/2022

A cura di Elena Valenti

La pronuncia del Consiglio di Stato, sezione sesta, 21 settembre 2022, sent. n. 7896, trae origine dal ricorso al Tar di una giornalista dipendente della Rai, per l’annullamento del diniego dell’istanza ostensiva da quest’ultima promossa su atti relativi a nomine ed avanzamenti di carriera che hanno interessato taluni giornalisti Rai.

L’istanza veniva formulata invocando, nel medesimo gravame, sia l’accesso documentale di cui alla legge n. 241/1990, che quello civico, con riferimento, sia alla comunicazione formale, obbligatoria e preventiva, fatta dal direttore del telegiornale al competente comitato di redazione, sia ai documenti contenenti le ragioni e i riferimenti, normativi e contrattuali, circa la scelta delle risorse interne da destinare alle promozioni, nonché con riferimento alle schede di valutazione di tutti i giornalisti sottoposti a scrutinio.

La Rai opera sul mercato in veste privatistica di società per azioni. Pur agendo mediante atti di diritto privato, conserva elementi di natura pubblicistica, che sono ravvisabili sia nella prevista nomina di numerosi componenti del consiglio di amministrazione, non già da parte del socio pubblico, ma da un organo ad essa esterno quale la Commissione parlamentare di vigilanza, sia nell’indisponibilità dello scopo da perseguire prefissato a livello normativo.

È inoltre una società a partecipazione pubblica ed è la concessionaria in esclusiva del servizio pubblico radiotelevisivo, sicché è da considerarsi certa la sua riconducibilità di pieno diritto all’ambito di applicazione della normativa sul diritto di accesso, ai sensi dell’ art. 23 della legge n. 241 del 1990 che, non a caso, menziona tra i soggetti passivi del diritto di accesso, accanto alle pubbliche amministrazioni e agli enti pubblici, anche i «gestori di pubblici servizi», nel cui novero va certamente collocata la RAI.

Il Tar, con sent. n. 11977/2020, accoglie il ricorso, ravvisando la sussistenza di un interesse all’accesso qualificato, connotato dai requisiti della personalità, concretezza ed attualità, riscontrando la fondatezza della pretesa ostensiva, in quanto la discrezionalità delle scelte direttoriali non avrebbe potuto impedire agli interessati di verificare la corretta applicazione nei propri confronti delle regole che disciplinano, a monte, la formazione delle graduatorie.

Il diritto di accesso viene tuttavia riconosciuto, ai sensi dell’art. 22, l. n. 241/1990, unicamente con riferimento agli atti effettivamente formati e detenuti dalla RAI, essendo ontologicamente impossibile che esso sia effettuato rispetto ad atti non documentati.

Secondo la scienza giuridica e la giurisprudenza, l’amministrazione può e deve consentire l’accesso unicamente a documenti già esistenti e che siano in suo possesso, in quanto, alla luce del principio ad impossibilia nemo tenetur,  l’istanza di accesso ai documenti amministrativi deve riferirsi a ben specifici documenti e non può comportare la necessità di un’attività di elaborazione di dati da parte del soggetto destinatario della richiesta: l’ostensione degli atti non costituisce uno strumento di controllo generalizzato sull’operato della pubblica amministrazione nei cui confronti l’accesso viene esercitato, con la conseguenza che l’onere della prova anche dell’esistenza dei documenti, rispetto ai quali si intende esercitare il diritto di accesso, incombe sulla parte che agisce in giudizio, mentre spetta all’amministrazione destinataria dell’accesso indicare, sotto la propria responsabilità, quali sono gli atti inesistenti che non è in grado di esibire.

Il Consiglio di Stato è chiamato a pronunciarsi sulla vicenda, in seguito al ricorso proposto avverso la sentenza di primo grado del Tar dalla Rai S.p.A., la quale ritiene insussistente l’interesse specifico all’accesso agli atti, che si manifesterebbe come inammissibile forma di controllo generalizzato sull’attività della società stessa, nonché sulle scelte discrezionali di linea editoriale, e asserisce l’inesistenza dei documenti cui si richiede l’accesso.

I giudici di Palazzo Spada accolgono il ricorso proposto dalla Rai.

Secondo questi ultimi, una volta che la parte resistente abbia dichiarato, assumendone la responsabilità, da un lato, quali siano i documenti inesistenti, per i quali vi è, dunque, un’oggettiva e assoluta impossibilità di provvedere alla relativa ostensione,  dall’altro, le ragioni sottese alla loro mancata formazione, nella specie riguardanti l’asserita informalità delle procedure selettive in parola e la supposta assenza di un obbligo di forma scritta, il giudice deve prendere atto dell’inesistenza (allegata e giustificata) dei documenti richiesti, pervenendo al rigetto della pretesa ostensiva per carenza del suo oggetto, «salvo che dagli atti di causa emergano elementi istruttori volti a minare la veridicità di quanto dichiarato dalla resistente, circostanza nella specie da escludere».

Con specifico riferimento all’accesso c.d. difensivo, inoltre, è stato osservato che la parte istante è tenuta all’adempimento di un onere di allegazione e di prova aggravato, dovendo specificare le finalità dell’accesso nell’istanza di ostensione, nonché dimostrare la necessità o la stretta indispensabilità per i dati sensibili e giudiziari, la corrispondenza e il collegamento tra la situazione che si assume protetta ed il documento di cui si invoca la conoscenza.

L’istanza di accesso risultava, dunque, funzionale, anziché ad una verifica esplorativa dei profili di carriera di propri colleghi ad una disamina del modus procedendi osservato dalla RAI nel conferimento dei contestati incarichi, formalmente impugnati con la stessa istanza del 12 giugno 2019.

Per i giudici di Palazzo Spada, restava dunque da esaminare la residuale ammissibilità o meno dell’istituto dell’accesso civico generalizzato nei confronti di Rai S.p.a.

L’ art. 2 – bis del d. lgs n. 33/2013, c.d. «accesso civico», disponendo che la disciplina dell’accesso civico generalizzato si applica, in quanto compatibile, oltre che alle pubbliche amministrazioni, anche agli enti pubblici e società in controllo pubblico, esclude espressamente l’applicabilità alle società pubbliche quotate, tra le quali rientra, con certezza, la società assegnataria del servizio pubblico,

Più precisamente, RAI è quotata sul mercato per il tramite di Rai Way, controllata facente parte del gruppo RAI, che gestisce la diffusione del segnale radiotelevisivo.

Con sent. n. 7896/2022, Il Consiglio di Stato, sezione sesta, ha chiarito che si tratta di una disciplina che, ai sensi dell’art. 2, comma 1, lett. p), d. lgs. n. 175/2016, è inapplicabile alle società a partecipazione pubblica quotate che emettono azioni quotate in mercati regolamentati e che hanno emesso, alla data del 31 dicembre 2015, strumenti finanziari, diversi dalle azioni, quotati in mercati regolamentati, per espressa disposizione normativa.

Il legislatore, nel disporre l’esclusione per le società quotate, opera un bilanciamento tra la salvaguardia degli interessi pubblici, sottesi alla normativa sulla trasparenza (e anticorruzione), e la tutela degli investitori dei mercati finanziari, stante l’operatività, nel settore delle società quotate, di un sistema specifico e autonomo di obblighi, controlli e sanzioni. La disposizione prevista dall’art. 2, comma 1, d. lgs. 175/2016, risponde all’esigenza di scongiurare possibili interferenze nel mercato finanziario rispetto al flusso informativo generato dall’esercizio dell’accesso civico generalizzato.

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