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La bioeconomia dei rifiuti in Europa e in Italia: a che punto siamo?

 

di NICCOLÒ ANTONGIULIO ROMANO

 

12/05/2017

 

 

  1. Bioeconomia: la definizione europea

 

Con il termine “bioeconomia” si definisce, a livello comunitario, un’economia che si fonda sulla valorizzazione delle risorse biologiche provenienti dalla terra e dal mare, nonché dai rifiuti, che fungono da combustibili per la produzione industriale ed energetica. I rifiuti organici, in particolare, costituiscono un potenziale energetico notevole se convertiti in bioenergie, arrivando a coprire sino al 2% dell’obiettivo[1] stabilito dall’Unione europea per le energie rinnovabili.

La definizione di bioeconomia è, d’altronde, inevitabilmente legata ad un altro concetto che negli ultimi tempi ha avuto un notevole risalto mediatico e non: quello di “economia circolare”. Nel dicembre 2015 la Commissione europea ha infatti adottato il cosiddetto “Pacchetto sull’economia circolare”[2], con il quale si definiscono obiettivi e tempistiche atti a ridurre lo sfruttamento irresponsabile delle risorse naturali e incentivare il mercato delle materie prime secondarie. In tale contesto vengono quindi incoraggiati una serie di meccanismi per ridurre la futura produzione di rifiuti, nell’ambito appunto di una filosofia bioeconomica circolare.

A conferma della bontà del metasettore, giova sottolineare come la bioeconomia europea registrasse già nel 2012 un fatturato di circa 2000 miliardi di euro e oltre 22 milioni di persone occupate nei vari comparti[3]. Oggi si prevede una crescita di ulteriori 40 miliardi di euro e 90.000 nuovi posti di lavoro nel 2020[4]; è stato addirittura calcolato che per ogni euro investito nella bioeconomia, si potranno generare, entro il 2025, ricavi per dieci euro. La “Strategia europea”, attualmente in revisione, avrà quindi nei prossimi anni l’obiettivo di rendere disponibile il potenziale delle risorse biologiche presenti nei diversi settori della bioeconomia, al fine di conseguire gli obiettivi di sostenibilità ambientale, occupazione e crescita economica previsti dall’Unione.

 

 

  1. La Bioeconomia dei rifiuti in Italia e l’industria “biobased”

 

Il 20 aprile scorso è stata lanciata, alla presenza di sei ministeri e dei principali stakeholder nazionali ed europei, la “Strategia italiana per la Bioeconomia” (BIT). Tale strategia mira ad accrescere la produzione sostenibile di risorse biologiche rinnovabili e a convertirle, insieme a sottoprodotti e rifiuti organici, in una serie di prodotti a valore aggiunto. Con ciò, si prefigura un’occasione importante per il nostro Paese di irrobustire la propria competitività e posizione economico-commerciale nel bacino del Mediterraneo, al fine di favorire la crescita sostenibile in Europa.

È stato stimato nel 2015 che la bioeconomia italiana abbia raggiunto un valore della produzione pari a 251 miliardi di euro (l’8,1% del totale della produzione nazionale), e abbia altresì occupati 1,65 milioni di lavoratori, con un livello di diversificazione settoriale superiore a quello degli altri paesi europei[5], ponendosi come ambizioso obiettivo per il 2030 di conseguire un incremento del 20% delle attività economiche e dei posti di lavoro. La bioeconomia in Italia ricomprende numerosi settori: dall’agricoltura alla pesca, da quello alimentare e delle bevande alle foreste, dall’industria della cellulosa e della carta a quella del tabacco, nonché il tessile e le fibre naturali, il settore farmaceutico e della bio-energia.

Posta la rilevanza delle risorse biologiche, intese come materie prime per lo sviluppo della bioeconomia nel nostro Paese, è necessario, in particolare, concentrare l’attenzione sulle biomasse. La definizione è fornita dall’art. 2 lettera e) della Direttiva 2009/28/CE “sulla promozione dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili”, recepita in Italia con D.Lgs. 28/2011. La biomassa viene descritta come “la frazione biodegradabile dei prodotti, rifiuti e residui di origine biologica provenienti dall’agricoltura (comprendente sostanze vegetali e animali), dalla selvicoltura e dalle industrie connesse, comprese la pesca e l’acquacoltura, gli sfalci e le potature provenienti dal verde pubblico e privato, nonché la parte biodegradabile dei rifiuti industriali e urbani.” Per quanto concerne l’ultimo punto in definizione, “la parte biodegradabile dei rifiuti industriali e urbani”, preme osservare come il crescente uso di bio-rifiuti per produrre energia sia alla base di una bioeconomia sostenibile che riduca la pressione sulle fonti rinnovabili primarie e diminuisca il livello di dipendenza dai combustibili fossili[6].

Tra le principali tipologie di biomassa prodotta in Italia si possono citare, a titolo esemplificativo, i residui forestali, la legna da ardere, gli sfalci di potature e gli altri prodotti ligneocellulosici puri (circa 10 milioni di tonnellate all’anno), i residui agricoli e agroindustriali (paglia, gusci di frutta secca, stocchi di mais, lolla di riso, sottoprodotti dell’industria conserviera ecc.), i materiali di risulta derivanti da cicli produttivi di fibre tessili, cibo, mobili ecc., ed infine i prodotti organici derivanti dall’attività biologica degli animali e dell’uomo, inclusi gas, reflui e frazioni organiche dei rifiuti (circa 130 milioni di tonnellate all’anno)[7].

La frazione organica dei rifiuti urbani raccolti nel nostro Paese è superiore ai 5,7 milioni di tonnellate annue, pari a circa il 43% del volume complessivo di rifiuti organici urbani prodotti. Al momento tali flussi di rifiuti sono poco valorizzati e per lo più eliminati nelle discariche, con ingenti costi esterni ed impatti ambientali negativi. Molti di essi invece, in particolare i rifiuti e gli effluenti dell’industria agro-alimentare, potrebbero costituire una fonte consistente e a buon mercato di combustibili a base biologica[8].

Oggigiorno sono disponibili tecnologie affidabili e sperimentate in grado di consentire il corretto impiego del potenziale energetico delle biomasse. L’Italia gioca un ruolo chiave in questo settore della bio-industria (o industria bio-based), intesa come quella componente della bioeconomia che utilizza risorse biologiche rinnovabili nei processi industriali innovativi per produrre beni, prodotti e servizi. Basti pensare al recentissimo progetto della Regione Trentino, in collaborazione con la società BioEnergia Trentino, che prevede la produzione di biogas a partire dalla lavorazione del rifiuto umido per alimentare i mezzi del trasporto pubblico locale. Il biogas fermentato sarà infatti purificato e utilizzato dalla Trentino Trasporti per alimentare gli autobus a metano che funzioneranno con metano rinnovabile, sostituendo quindi quello fossile attualmente in uso. Un progetto innovativo e straordinario che sarà completato entro il 2018[9].

I prodotti energetici derivanti dalle “biomasse combustibili” possono trovare impiego in una vasta gamma di applicazioni come biocombustibili solidi (trasformazione meccanica della legna vergine in legna da ardere in ciocchi, pellet e cippato), liquidi (pressatura delle biomasse oleaginose per ottenere biodiesel) e gassosi (digestione anaerobica di liquami zootecnici per produrre biogas). I biocombustibili devono possedere specifiche caratteristiche merceologiche e rispondere a precise normative tecniche e certificazioni nazionali ed internazionali (Uni – Ente nazionale italiani di unificazione; Cen – Comitato europeo di normazione, ecc.)[10]. L’impiego di prodotti certificati permette, infatti, una maggiore efficienza energetica dei componenti di conversione, un minore rischio di guasti e cattivo funzionamento e maggiori garanzie di costo e di qualità per i diversi usi[11].

In conclusione, sulla base dei temi affrontati, è possibile affermare che l’Italia è dotata di un potenziale di biomassa vario, diffuso e considerevole. A fronte di ciò, tuttavia, i dati relativi al parco delle installazioni a biomassa rivelano un sottoutilizzo del potenziale disponibile ed una considerevole distanza dagli obiettivi di generazione da fonti rinnovabili e di diffusione di biocarburanti previsti nel breve-medio termine. Sulla scorta di tali considerazioni, si impone dunque con urgenza la fissazione di misure e politiche energetiche al fine di sviluppare l’impiego concreto di tale risorsa, in un’ottica di sostenibilità ambientale ed economica[12].

 

 

  1. Le sfide e le speranze per la Bioeconomia italiana

L’obiettivo che il metasettore della bioeconomia italiana si prefigge è ambizioso, ma non impossibile da realizzare. L’auspicio è che l’attuale fatturato (pari a circa 251 miliardi di euro l’anno) e l’occupazione (circa 1.650.000 occupati) possano aumentare entro il 2030 rispettivamente di 50 miliardi di euro e di 350.000 nuovi posti di lavoro.

Sarà poi necessario, come suggerito dalle conclusioni del 3° Rapporto sulla Bioeconomia, passare “dai settori ai sistemi”, mettendo in comunicazione tra di loro in modo più efficace i principali settori della bioeconomia, dalla produzione di risorse biologiche alla loro trasformazione in beni finali, creando catene più lunghe, sostenibili e integrate sui territori.

Il 3° Rapporto aggiunge, e conclude, che, in una visione circolare, lo sviluppo della bioeconomia dovrà passare anche attraverso una maggiore e migliore capacità di sfruttamento dei rifiuti biodegradabili[13], la quale richiede interventi pubblici e privati al fine di colmare l’attuale gap normativo, gestionale e infrastrutturale con gli altri paesi europei. In una simile prospettiva, la dimensione territoriale assume un’importanza fondamentale: a fronte di uno scenario estremamente variegato, la bioeconomia può divenire strumento di sviluppo per ogni regione italiana, sfruttando le potenzialità caratteristiche e i punti di forza di ciascun territorio, in particolare di quelli del Mezzogiorno[14].

 

 

 

 

[1] L’obiettivo della strategia Europa 2020 è di raggiugere il 20% del fabbisogno di energia ricavato da fonti rinnovabili.

[2] COM/2015/0614 final, “L’anello mancante – Piano d’azione dell’Unione europea per l’economia circolare”.

[3] Strategy for “Innovating for Sustainable Growth: A Bioeconomy for Europe”, EC (2012)

[4] “Growing the European bioeconomy” Third Bioeconomy Stakeholders’ Conference – Torino, EC (2014).

 

[5] Gruppo Intesa San Paolo – Assobiotec (Federchimica), 3° Rapporto sulla Bioeconomia: La bioeconomia in Italia, marzo 2017 (pag. 5).

[6] Presidenza del C.d.M. – Agenzia per la Coesione Territoriale, Strategia Italiana per la Bioeconomia (pag. 2).

[7] Caputo P., Impianti a biomassa: dal riscaldamento alla trigenerazione, Milano, Edizioni Ambiente, 2011 (pag. 15).

[8] Presidenza del Consiglio dei Ministri – Agenzia per la Coesione Territoriale, Strategia Italiana per la Bioeconomia (pag. 15).

[9] Comunicato stampa provincia autonoma di Trento, Dal rifiuto umido al biometano per gli autobus cittadini, un’economia circolare a beneficio dell’ambiente (6 maggio 2017).

[10] Italian Biomass Association, I traguardi della bioenergia in Italia. Elementi chiave per gli obiettivi al 2020 (Rapporto 2008).

[11] Caputo P., Impianti a biomassa: dal riscaldamento alla trigenerazione, Milano, Edizioni Ambiente, 2011 (pagg. 16-17).

[12] Caputo P., Impianti a biomassa: dal riscaldamento alla trigenerazione, Milano, Edizioni Ambiente, 2011 (pagg. 37-38).

[13] Il ciclo dei rifiuti biodegradabili in Italia vale poco meno di 10 miliardi per quarantamila addetti.

[14] Gruppo Intesa San Paolo – Assobiotec (Federchimica), 3° Rapporto sulla Bioeconomia: La bioeconomia in Italia, marzo 2017 (pag. 20).

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