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La Commissione per l’accesso: un caso di successo… e un modello per il futuro?

di Filippo Longhi

05/07/16

Sommario: 1. Introduzione. La rivoluzione determinata dalla legge 241/1990; 2. Istituzione e normativa della Commissione per l’accesso; 3. Analisi della Relazione 2014; 4. Conclusione. Un modello da replicare?

1. Introduzione. La rivoluzione determinata dalla legge 241/1990
Verrebbe da dire che la legge 241 del 1990 ha rappresentato una svolta epocale nel panorama del diritto amministrativo italiano… ma sarebbe riduttivo: sembrerebbe riferito a questioni teoriche o puramente accademiche, e invece le conseguenze sulla vita quotidiana dei cittadini sono molte. La svolta, dunque, ha riguardato la quotidianità di tutti, che così spesso ci troviamo in rapporto con le amministrazioni pubbliche. Quel testo ha introdotto, infatti, un nuovo paradigma: la p.a. non è più il cattivo da temere, l’autorità cui resistere, ma l’alleato del cittadino, al suo servizio.
In quest’ottica, si è provveduto a informare la pubblica amministrazione di principi assolutamente inediti, che rappresentano una sorta di presa della Bastiglia rispetto alla concezione secolare, modello ancien regime, in indiscusso vigore fino a quel tempo (e un po’ anche oggi, nella pratica).
Si è dato un nuovo valore alla funzionalizzazione dell’azione amministrativa, che trova la sua ragione d’essere nella efficiente soddisfazione delle esigenze del cittadino-utente con cui si relaziona. Dall’amministrazione si pretende un servizio con determinati standard di qualità, e retto da una gestione efficiente. La stessa tendenza alla privatizzazione degli ultimi decenni mostra come il servizio pubblico sia l’eccezione, non la regola, e che debba concorrere con l’attività privata nel fornire un prodotto di qualità; nel giustificare – addirittura – la sua esistenza.
Come dicevamo, questa legge introduce nuovi principi, quali i seguenti: “L’attività amministrativa persegue i fini determinati dalla legge ed é retta da criteri di economicità, di efficacia, di pubblicità e di trasparenza”, “ La pubblica amministrazione, nell’adozione di atti di natura non autoritativa, agisce secondo le norme di diritto privato salvo che la legge disponga diversamente” (art.1 commi 1 e 1-bis l.241/1990). Un nuovo volto, una nuova modalità di azione informata da nuovi principi. Tra questi, spicca, per le sue conseguenze pratiche e per il suo peso nella struttura del testo della legge, il principio della trasparenza. Esso determina una nuova disciplina dell’accesso, visto come diritto esercitabile nei confronti della p.a e di conseguenza quale strumento per monitorare l’azione pubblica e per tutelare i propri diritti ed interessi soggettivi.
La tutela di questo diritto di accesso ha visto addirittura due sbocchi, con un’inedita integrazione di strumenti giurisdizionali e strumenti giustiziali: da una parte, il rito speciale previsto nel codice del processo amministrativo (art. 116 d.lgs. 104/2010) e, dall’altra, il ricorso alla Commissione per l’accesso ai documenti amministrativi (art. 25 co. 4 l. 241/1990).
E’ proprio questo secondo rimedio che riveste una valenza innovativa di grande interesse, avendo dato corpo ad un organo apposito, interno alla pa, deputato – tra le altre cose, come vedremo – alla decisione di ricorsi dei privati contro il diniego o il differimento dell’accesso opposto dal soggetto pubblico.
2. Istituzione e normativa della Commissione per l’accesso
È la legge 241, dunque, che si incarica di istituire questo organo, con una missione ben determinata nell’ambito della promozione del principio della trasparenza all’interno dell’apparato amministrativo.
L’articolo 27 ne prevede l’inquadramento all’interno della Presidenza del Consiglio dei Ministri: una posizione non del tutto felice, e criticata dalla dottrina, in quanto stridente con la neutralità richiesta dal ruolo che la Commissione è chiamata a svolgere all’interno della pubblica amministrazione. Una funzione giustiziale propriamente detta, infatti, richiederebbe una netta separazione, in termini di organizzazione e di nomina, tra amministrazione attiva e amministrazione deputata a risolvere le controversie sorte dall’azione pubblica.
La composizione della Commissione è mutata nel tempo; in maniera lodevole, tra l’altro: salva l’idoneità a rispecchiare i più diversi ambiti del nostro ordinamento (legislativo, esecutivo, giudiziario e accademico), essa si è ridotta da 17 a 11 membri, malgrado il costante aumento dei ricorsi, e quindi del carico di lavoro. Essi sono: un presidente (nella persona del sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio) e dieci membri, di cui quattro di nomina parlamentare (due deputati e due senatori, nominati dai rispettivi presidenti), uno governativa (posto a capo del Dipartimento per il coordinamento amministrativo, supporto organizzativo del lavoro della Commissione), tre giudiziaria (Cassazione, Consiglio di Stato e Corte dei Conti), uno dell’Avvocatura di Stato e infine un professore universitario, quale esponente del mondo accademico.
In base al comma 5 dell’art. 27, la Commissione decide sui ricorsi e si esprime sulle richieste di pareri ex art.25, vigila sull’attuazione del principio di piena conoscibilità dell’attività della p.a., redige una relazione annuale sulla trasparenza dell’attività della p.a., comunicata alle Camere e alla Presidenza del Consiglio, propone al Governo le modifiche dei testi legislativi e regolamentari.
La procedura è molto semplice, in linea con l’evoluzione di quel settore del diritto che prende il nome di rimedi alternativi delle controversie, o a.d.r., comprendendo al suo interno una grande varietà di strumenti. Informalità, gratuità, rapidità sono caratteri importanti di questo procedimento, disciplinato dall’art. 27 co. 4 della legge.
Si prevede, dunque, per il cittadino la possibilità di chiedere un riesame della determinazione (diniego – espresso o tacito – o differimento) della p.a.; nel caso degli enti locali, la competenza spetta al difensore civico, provinciale o regionale a seconda della sua istituzione; nel caso delle amministrazioni centrali e periferiche dello Stato, alla Commissione. Entrambi questi soggetti si pronunciano entro trenta giorni dalla presentazione dell’istanza. Scaduto infruttuosamente tale termine, il ricorso si intende respinto. Vige dunque un principio di silenzio-rigetto, anche questo non coerente con la funzione svolta dalla Commissione, di trasparenza e di tutela del cittadino. A questo proposito, le relazioni annuali della stessa sottolineano come, nei fatti, l’organo si faccia carico di esaminare e decidere su ogni ricorso, impedendo quindi la formazione del silenzio-rigetto.
Se il difensore civico o la Commissione per l’accesso ritengono illegittimo il diniego o il differimento, ne informano il richiedente e lo comunicano all’autorità disponente. Se questa non emana il provvedimento confermativo motivato entro trenta giorni dal ricevimento della comunicazione del difensore civico o della Commissione, l’accesso è consentito.
Una procedura molto rapida, e con il minimo formalismo. Tra l’altro, in base al DPR 184/2006, il ricorso può essere presentato tramite accomandata con avviso di ricevimento, fax o posta elettronica certificata, il che facilita enormemente l’avvio della procedura. A questo proposito, giova sottolineare come l’80 per cento dei ricorsi dell’anno 2014 siano pervenuti appunto tramite quest’ultimo strumento. A questo dato, bisogna poi aggiungere l’effetto positivo determinato dalla completa digitalizzazione dell’attività della Commissione, che permette un risparmio di risorse e una velocizzazione dei tempi nella decisione dei ricorsi e dei pareri.
L’articolo 27.5, infine, prevede la possibilità del ricorso al TAR contro le determinazioni amministrative in materia di accesso.
La Commissione per l’accesso, oltre alle funzioni giustiziali di cui si diceva, nell’espletamento delle proprie funzioni di vigilanza sull’attuazione del principio di piena conoscibilità dell’azione amministrativa esprime pareri per finalità di coordinamento dell’attività organizzativa delle amministrazioni in materia di accesso e per garantire l‟uniforme applicazione dei principi. I pareri espressi dalla Commissione per l‟accesso non sono né obbligatori né vincolanti. La richiesta di parere alla Commissione per l’accesso non sospende il termine di trenta giorni previsto per provvedere sulle richieste d’accesso agli atti. I quesiti possono essere posti anche dai privati cittadini.
3. Analisi della Relazione 2014
L’ultima relazione presentata, mostra un tendenziale aumento complessivo dei ricorsi decisi nel merito, cioè di quelli respinti, di quelli accolti o comunque favorevolmente risolti in quanto parzialmente accolti o dichiarati improcedibile, per cessata materia del contendere (a seguito della concessione dell’accesso da parte dell’amministrazione resistente, nelle more della decisione del ricorso) che nel complesso sono più della metà.
Essa sottolinea come l’aumento del numero di pronunce di improcedibilità denoti la crescente propensione delle amministrazioni resistenti a concedere l’accesso agli atti in pendenza del ricorso alla Commissione per l‟accesso: questo è indice del crescente livello di moral suasion esercitata dalla Commissione. Le amministrazioni tendono sempre più a consentire l’accesso prima ancora che giunga la decisione della Commissione, con evidente vantaggio per la tutela sostanziale del diritto del privato.
Il 2014 ha visto ridursi la percentuale dei ricorsi accolti (il 24,4%, contro il 29% del 2013 e il 26,7% del 2012), cui però bisogna aggiungere l’aumento dei ricorsi accolti parzialmente (il 6,1% nel 2014 contro il 5,3% del 2013) e di quelli dichiarati improcedibili per cessata materia del contendere (il 12,4% nel 2014 contro il 10,9% del 2013). Il totale è di 42,9%, quale percentuale di esiti favorevoli al ricorrente nell’anno 2014.
La Commissione si fa carico, al fine di evitare un vuoto di tutela in sede amministrativa, anche dei ricorsi contro i dinieghi di accesso degli enti locali, dove il difensore civico (astrattamente competente per previsione legislativa) è assente sia a livello provinciale che regionale. Nel totale dei ricorsi presentati, quelli contro gli enti locali e le regioni riguardano il 14,4% dei casi.
L’attività consultiva ha prodotto 119 pareri, di cui 39,5% richiesti da privati, 21,8% dalle amministrazioni statali, 38,7% dagli enti locali. I pareri sono raccolti in maniera tale da offrire una certa giurisprudenza sul tema dell’accesso, utile e disponibile sul sito della Commissione.
Anche in questa relazione, come in quelle precedenti, la Commissione torna a chiedere un intervento del legislatore per poter essere dotata dei necessari poteri coercitivi, sostitutivi o sanzionatori, utili ad ottenere dalle amministrazioni inadempienti l’accesso alla documentazione richiesta, in caso di accoglimento dei ricorsi. Questo avrebbe conseguenze molto positive sulla tutela effettiva prestata da questo procedimento ai privati; inoltre, si sottolinea, inciderebbe ulteriormente sulla deflazione del contenzioso amministrativo in materia di accesso. Di fatti, al momento, dinanzi all’inerzia dell’amministrazione rispetto alla decisione della Commissione, il cittadino può soltanto ricorrere al potere del giudice per ottenere l’osservanza da parte della pubblica amministrazione.
Una novità potrebbe derivare dalla legge n. 124 del 2015, riguardante le deleghe al governo in materia di riorganizzazione della p.a., che all’articolo 7 prevede l’introduzione di sanzioni per la violazione degli obblighi di trasparenza, contemplando alla lettera g) l’individuazione dei soggetti competenti ad irrogarle.
La relazione della Commissione parla di una crescente deflazione del contenzioso in materia di accesso, manifestazione dell’efficacia del lavoro svolto dalla Commissione. È significativo il dato offerto circa il rapporto medio tra le decisioni dell’a Commissione e i ricorsi al TAR nel periodo 2006-2014: esso è pari all’1,91% (nel 2014, addirittura all’1,27%): su un totale di seimila e più ricorsi decisi, solo 115 sono stati riesaminati su ricorsi dai TAR.
4. Conclusione. Un modello da replicare?
La Commissione per l’accesso agli atti, come riconosciuto dalla dottrina e confermato dalla giurisprudenza, rappresenta a tutti gli effetti un caso di ricorso amministrativo; in particolare, un ricorso gerarchico improprio, in quanto rivolto ad un soggetto sì interno alla p.a. ma non originariamente competente né gerarchicamente sovraordinato rispetto a quello competente. Uno strumento in grado di fornire una tutela rapida, economica ed efficace che sia alternativa a quella giurisdizionale.
Il notevole risparmio costituito dalla sua attività (come cifra esemplificativa, si prenda i 1181 ricorsi proposto quest’anno alla Commissione, dei quali solo 15 sono finiti dinanzi al giudice amministrativo) pare anche rispondere in maniera molto pragmatica al timore e quindi all’obiezione di quanti criticano l’ipotesi di una riforma del sistema della giustizia amministrativa italiana attraverso l’introduzione di apparati che svolgano l’attività giustiziale.
Con i dovuti aggiustamenti, quali l’attribuzione di poteri coercitivi e sanzionatori e un ripensamento del suo inquadramento all’interno dell’organizzazione amministrativa, la Commissione sembra proprio rappresentare un modello di successo che si presta ad essere riprodotto in altri ambiti del diritto amministrativo, andando a costituire una sorta di administrative tribunal sul modello inglese.
Il ricorso amministrativo alla Commissione costituisce ormai un forma di tutela agevolmente azionata da una pluralità sempre crescente di cittadini, e potrebbe essere di incoraggiamento per questo disegno di riforma che mira a ridurre il carico e i costi del contenzioso giudiziario, integrando – e quindi ampliando – la tutela del cittadino con nuovi rimedi. Quale ultima considerazione, non si può omettere di sottolineare la circostanza per cui una riforma di questo tipo fornirebbe una tutela non solo più rapida, economica, etc., ma anche più “appropriata” (si parla di appropriate dispute resolution), in quanto la decisione verrebbe presa non da un soggetto a competenza generica, per tutto il diritto amministrativo, ma specifica (per l’accesso, in questo caso, così come per altre materie, in altri).

Bibliografia:
– Commissione nazionale per l’accesso ai documenti amministrativi, Relazione 2014;
– I.F. Caramazza, intervento al Forum P.A. dell’11 maggio 2009, “Pubblica Amministrazione aperta? Diritto di accesso e trasparenza dal 1990 ad oggi”, disponibile su http://www.commissioneaccesso.it/i-lavori-della-commissione/relazioni-al-parlamento.aspx;
– F. Longhi, La seconda chance: una rivisitazione dei ricorsi amministrativi per una reale alternativa al processo, disponibile su http://www.lab-ip.net/la-seconda-chance-una-rivisitazione-dei-ricorsi-amministrativi-per-una-reale-alternativa-al-processo/;
– M. Ramajoli, Strumenti alternativi di risoluzione delle controversie pubblicistiche, in Diritto amministrativo, 2014 (1-2), par. 5.

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