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La Corte di Giustizia si esprime sui rapporti tra Consiglio di Stato e Corte di Cassazione

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A cura di Francesca Saveria Pellegrino

14/02/2022

Con la sentenza del 21 dicembre 2021 la Corte di Giustizia si è pronunciata nella causa C-497/20 sulla questione pregiudiziale che le Sezioni Unite avevano sollevato con l’ordinanza 19598 del 2020. Nell’ordinanza di rimessione, il giudice del rinvio chiedeva se fosse compatibile con le disposizioni europee in tema di diritto a un ricorso effettivo, l’interpretazione fornita dalla Corte Costituzionale nella nota sentenza 6/2018, dell’ultimo comma art.111 Cost. Secondo tale interpretazione, le violazioni del diritto europeo non rientrano tra i motivi di giurisdizione, unico caso in cui è consentito impugnare le sentenze del Consiglio di Stato davanti alle Sezioni Unite. L’ordinanza è nota non solo per aver riaperto l’annosa questione circa i limiti e l’ampiezza del sindacato delle Sezioni Unite su sentenze del Consiglio di Stato, ma anche per aver evidenziato la forte distonia tra gli orientamenti della Corte Costituzionale e della Corte di Cassazione.

In primo luogo nella sua pronuncia la Corte di Giustizia, ritiene di dover riformulare il primo quesito. Pertanto ha eliminato, in quanto non pertinenti, i riferimenti all’art.2 TFUE paragrafi 1 e 2 e all’art.267 TFUE, i quali disciplinano la ripartizione tra l’Unione e gli Stati Membri della competenza a legiferare ed il controllo giurisdizionale del diritto dell’unione, inoltre ha introdotto, in quanto rilevante per la risoluzione della questione, il riferimento all’art.1 paragrafi 1 e 3 della direttiva 89/665 sugli appalti pubblici, che sancisce l’obbligo per gli stati membri di prevedere ricorsi efficaci, letto alla luce dell’art. 47 della Carta, il quale sancisce il diritto ad un ricorso effettivo e ad un giudice imparziale.

Ribadito l’obbligo per gli stati membri di prevedere nei settori disciplinati dal diritto dell’unione dei rimedi giurisdizionali idonei a garantire una tutela effettiva, il giudice europeo pone la sua attenzione sulla compatibilità della limitazione al ricorso per cassazione prevista dalla nostra costituzione, come interpretata dalla Consulta, con tale prescrizione.

Come già evidenziato nelle sue conclusioni dall’Avvocato Generale, ciò che viene subito in rilievo è il principio di autonomia di cui gli stati godono nello stabilire i rimedi processuali. Gli unici limiti a detta autonomia sono costituiti dal principio di equivalenza, per cui i rimedi offerti per tutelare le situazioni disciplinate dal diritto europeo non possono essere meno efficaci rispetto a quelli previsti per situazioni analoghe di diritto interno, e dal principio di effettività, per cui l’accesso a tali rimedi non può essere impossibile o eccessivamente difficile.

Per quanto attiene al principio di equivalenza, gli stessi limiti circa la ricorribilità per cassazione delle sentenze del Consiglio di Stato riguardano tanto le materie disciplinate dal diritto dell’unione quanto quelle disciplinate dal diritto interno. Di conseguenza, l’ultimo comma dell’art.111 Cost., così come interpretato dalla sentenza 6/2018, non viola detto principio.

In merito al principio di effettività le modalità di ricorso previste dal nostro ordinamento per le questioni di diritto amministrativo disciplinate dal diritto europeo, nello specifico il ricorso in primo grado al TAR e in appello al Consiglio di Stato, non rendono impossibile o eccessivamente difficoltoso l’accesso alla tutela.

Pertanto, nel rispetto di questi due principi, conclude la Corte, non è in contrasto con il diritto europeo una previsione legislativa nazionale per cui spetta al Consiglio di Stato pronunciarsi in ultima istanza nelle materie di sua giurisdizione tra cui quella dei contratti pubblici di rilievo per l’Unione e quindi limita la possibilità di censurare le relative decisioni davanti alla Corte Suprema.

Ad avviso della Corte di Giustizia, quindi, il nostro ordinamento garantisce un controllo giurisdizionale effettivo nei settori disciplinati dal diritto dell’Unione, assicurando un ricorso efficace e rapido davanti ad un giudice indipendente e imparziale perfettamente compatibile con il diritto europeo.

Pertanto, sulla compatibilità dell’art.111 ultimo comma Cost. (così come interpretato dalla Corte Costituzionale) con il diritto europeo e con il principio di effettività la sentenza non lascia spazio per ulteriori dubbi. Non sussiste un vincolo per il legislatore nazionale, una volta previsti mezzi efficaci di ricorso, e rispettato il principio di equivalenza, a consentire un ricorso per Cassazione laddove il giudice di secondo grado violi le norme di diritto comunitario o nel merito o in tema di legittimazione. Infatti, in tali ipotesi sussistono rimedi di tipo diverso (risarcitori e sanzionatori a carico dello Stato) previsti dall’ordinamento europeo.

In altri termini, come era stato diffusamente previsto, la Corte in virtù del principio di autonomia procedurale, si è astenuta dal pronunciarsi sui meccanismi che regolano i rapporti tra le corti del nostro ordinamento, e quindi su una questione che, anche se portata sul piano internazionale dal rinvio pregiudiziale, rimane prevalentemente di diritto interno, limitandosi a confermare la compatibilità degli strumenti previsti dal nostro ordinamento con il diritto europeo.

            Rispettati i richiamati requisiti, la violazione del diritto europeo da parte del giudice amministrativo di ultima istanza non giustifica la creazione di un ulteriore grado di giudizio davanti alla Corte di Cassazione. Infatti, come aveva efficacemente sottolineato l’Avvocato Generale nelle sue conclusioni, anche le stesse Sezioni Unite potrebbero violare il diritto europeo, con l’effetto che allora si dovrebbero prevedere infiniti gradi di giudizio.

            Resta indubbia la supremazia del diritto dell’Unione su quello interno nelle materie disciplinate a livello europeo, spettando ai singoli giudici disapplicare la normativa interna contrastante. La Corte di Giustizia riconosce l’eventualità che il giudice di ultimo grado violi tale obbligo e, come già accennato, non manca di indicare quali sono i possibili rimedi che l’ordinamento europeo offre in questi casi. Non solo la responsabilità dello Stato Membro può far sorgere un diritto al risarcimento, ma è anche prevista la possibilità per la Commissione europea di sanzionare lo Stato per tali violazioni.

         Peraltro, pur avendo ritenuto insussistente il dubbio di compatibilità con il diritto dell’Unione sollevato dalla Cassazione sui limiti del suo sindacato, la Corte di Giustizia ha voluto ugualmente evidenziare, rispondendo agli altri quesiti, che pure avrebbe potuto ritenere assorbiti, l’errore commesso dal Consiglio di Stato. Nello specifico il giudice amministrativo, nel dichiarare inammissibile il ricorso avverso l’aggiudicazione sol perché la ricorrente era risultata esclusa dalla fase finale della gara, aveva effettivamente violato il diritto europeo e nello specifico la giurisprudenza della Corte formata in materia di rapporti tra ricorso principale e ricorso incidentale, delineata nelle sentenze Fastweb, Puligenica e Lombardi.

        Sul punto è opportuno sottolineare che nella pronuncia qui esaminata la Corte sembra giungere a tale conclusione sulla base di una motivazione parzialmente differente da quella posta a base dei richiamati precedenti giurisprudenziali.

      Ed infatti finora, in particolare dalla sentenza Puligenica, la legittimazione del ricorrente, quandanche escluso, veniva ritenuta dal giudice europeo sulla base della sussistenza comunque di un interesse tutelabile alla legittimità dell’aggiudicazione della gara cui aveva partecipato, anche in prospettiva, se pur solo eventuale, della rinnovazione della procedura. Ora invece la Corte pone l’accento esclusivamente sul carattere non definitivo dell’esclusione che integrerebbe il dovere del giudice di conoscere anche della impugnazione sull’aggiudicazione

      La conclusione cui si giunge è sempre quella per cui il giudice è tenuto a pronunciarsi sull’intero ricorso, ma sembra esserci un elemento di novità nella motivazione e nella causa legittimante individuata dal giudice europeo. Tale elemento di novità è, come già accennato, il valore decisivo che la Corte di Giustizia attribuisce alla circostanza che il provvedimento di esclusione non possa ritenersi definitivo in quanto impugnato con il ricorso e in quanto le decisioni sul punto, che i relativi motivi hanno rigettato, non ancora passate in giudicato.

      Il carattere di novità di questo profilo della motivazione della decisione della Corte di Giustizia appare confermato dal successivo passaggio della decisione del giudice europeo. Infatti, quando, in conclusione, la Corte è chiamata a rispondere all’ulteriore quesito della Cassazione, se alla vicenda si potessero applicare i principi di cui ai richiamati precedenti Fastweb, Puligenica e Lombardi, non dà un riscontro in senso affermativo, ma ritiene il quesito assorbito da quanto dedotto con riguardo al presupposto che impone la pronuncia sull’intero ricorso, come visto, questa volta, ravvisato non nell’interesse alla potenziale ripetizione della procedura o comunque alla rimozione di un’aggiudicazione illegittima a un’impresa concorrente (come nei precedenti citati), bensì, con valenza in sé decisiva, nel carattere non definitivo dell’esclusione .

       In conclusione, nel conflitto tra le Corti nazionali, la Corte di Giustizia legittima solo la posizione della Consulta ritenendo compatibile con il diritto dell’Unione la sua decisione sui limiti del sindacato della Cassazione sulle sentenze di Consiglio di Stato e Corte dei conti per motivi inerenti alla giurisdizione. Al contrario, la Corte di Giustizia mette in evidenza gli errori commessi sia dalla stessa Corte di cassazione riformulando e respingendo il primo quesito, sia dal Consiglio di Stato. In particolare, rispetto a quest’ultimo, sottolinea di dover tornare a censurare la sua decisione di dichiarare irricevibili i motivi diretti a contestare l’aggiudicazione di una gara per il solo fatto che la ricorrente era stata esclusa dalla procedura. Infatti, tale decisione è una chiara violazione dei principi ormai più volte affermati dallo stesso giudice europeo, anche se questa volta, come abbiamo rilevato, in qualche modo diversamente declinati.

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