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La relazione della Commissione tra screening degli investimenti stranieri e cooperazione europea, quali prospettive?

A cura di Tommaso Di Prospero

14/02/2022

Lo scorso 23 novembre 2021, nel rispetto del principio di trasparenza, la Commissione europea ha rilasciato la prima Relazione Annuale a norma dell’art. 5, para. 3 del Regolamento UE 452/2019 (d’ora innanzi, la “Relazione” e il “Regolamento”). Il Regolamento introduceva un quadro per screening degli investimenti diretti esteri, cercando di attuare un non agile bilanciamento tra gli interessi di apertura ai mercati esteri per l’ottenimento di vantaggi economici e la salvaguardia della sicurezza e ordine pubblico degli Stati membri esplicata mediante il controllo nazionale sulle imprese operanti in settori strategici. Per il perseguimento di tali obiettivi, il Regolamento delineava una base normativa comune per la definizione dei principi minimi dei meccanismi di controllo degli investimenti stranieri, ferma restando la competenza esclusiva di ciascuno Stato membro in materia. Oltre a tale operazione d’inquadramento e armonizzazione “leggera”, il Regolamento introduceva un meccanismo di cooperazione che mirava ad innalzare il livello condiviso di attenzione verso le operazioni ostili di acquisizione o comunque stabilimento nell’UE/AELS. La Relazione si occupa di rendere conto dell’efficacia del Regolamento nel perseguimento degli obiettivi prestabiliti. Analizzeremo le conclusioni della Commissione sugli effetti generali del Regolamento sul flusso di investimenti stranieri in entrata, per poi focalizzarci sulla riuscita o meno del meccanismo di cooperazione tra Stati membri.

Andando a vedere inizialmente gli effetti strettamente economici del Regolamento sul flusso degli investimenti stranieri, iniziamo col dire che un’analisi d’insieme è quasi impossibile dato il sopraggiungersi di una causa straordinaria e imprevedibile, ossia la pandemia da Covid-19. L’impatto di tale pandemia sui flussi di investimenti ha infatti alterato pesantemente sia gli indicatori settoriali che i valori aggregati. L’analisi della Commissione, comunque, interessa il periodo che si estende dall’anno 2019 al primo quadrimestre del 2021. Ne emerge, non sorprendentemente, come il flusso degli investimenti diretti esteri in entrata sia diminuito del 71% nell’UE, con grandi divari tra i settori dell’equipaggiamento medico, farmaceutico, e dell’e-commerce (che hanno visto aumenti vertiginosi), e dei settori del turismo, dell’aviazione e dei trasporti marittimi (in grave discesa).

Questa crisi sanitaria ha però avuto degli effetti di testing per la buona tenuta dei meccanismi di screening europei e per il Regolamento, in quanto è proprio nei momenti di crisi che si verificano le operazioni di acquisizione ostile. A nostro avviso, il processo d’adozione nazionale del Regolamento, soprattutto della sua estensione oggettiva di rilevanza ai settori di cui all’art. 4, ha subito una forte accelerazione proprio a seguito dell’impatto della crisi sanitaria e pandemica. Questo è evidente se si guarda ai provvedimenti d’urgenza di risposta alla crisi in Italia, in particolare il Decreto legge n. 23/2020, convertito con legge n. 40/2020 (il “Decreto Liquidità”), ma anche l’adozione negli altri maggiori Stati membri ha seguito lo stesso percorso. Sia Francia, che Germania e Spagna, per esempio, hanno similarmente adottato provvedimenti d’urgenza in risposta all’emergenza pandemica per estendere il controllo sugli investimenti diretti esteri sulla base delle disposizioni del Regolamento.

Se da un lato l’ambito di oggettivo di applicazione dei meccanismi nazionali si sia espanso in molto Stati membri, andando a creare quadro normativo sicuramente più complesso per gli investitori, sul fronte dell’adozione dei provvedimenti restrittivi la Relazione evidenzia come la tendenza di espansione oggettiva dello scrutinio non abbia coinciso con un aumento significativo dei provvedimenti restrittivi adottati. La Relazione riporta come sul totale delle operazioni  scrutinate dagli Stati membri a partire dall’approvazione del Regolamento, solo il 4.2% circa abbia dato seguito a provvedimenti di restrizione (qualunque fosse la loro forma). Su un totale di 1793 investimenti stranieri riportati dagli Stati membri, ben il 20% è stato sottoposto a scrutinio, mentre l’altro 80% era incompatibile con i requisiti di minaccia (potenziale o attuale) alla sicurezza e l’ordine pubblico. Del 20% degli investimenti scrutinati, il 79% non hanno dato seguito a nessun provvedimento.

Un altro aspetto fondamentale del Regolamento è che nonostante ribadisca la libera scelta, in quanto competenza esclusiva degli Stati membri, di adottare o non adottare un quadro normativo di screening degli investimenti esteri, la presenza di tale meccanismo viene comunque incoraggiata. Un forte invito ad adottare tali meccanismi era arrivato proprio durante la prima ondata della pandemia, quando la Commissione in una comunicazione del 26 marzo 2020 aveva invitato gli Stati membri ad «avvalersi appieno, sin da ora, dei meccanismi di controllo degli Investimenti Esteri Diretti per tenere conto di tutti i rischi per le infrastrutture sanitarie critiche, per l’approvvigionamento di fattori produttivi critici e per altri settori critici, come previsto nel quadro giuridico dell’UE». In tal senso, si può dire che la Relazione annuale evidenzi una certa efficacia persuasiva del Regolamento, ma anche qui è difficile separare l’atto normativo dalle circostanze fattuali che hanno portato a questi cambiamenti. Nella pratica, dal 2017 il numero degli Stati membri con una normativa di riferimento in materia era passato da 11 a 18. Dopo il Regolamento, questo numero è passato a 19, ma in oltre 5 Stati è in corso un procedimento a livello legislativo per l’adozione di tali meccanismi. Solo 3 Stati membri, dunque (Bulgaria, Croazia e Cipro) non hanno un progetto di legge in prossima adozione, ma la Commissione evidenzia nella Relazione come le aspettative affinché tutti i 27 Stati membri si muovano in tal senso entro il prossimo anno siano alte. Occorre ricordare in ogni caso che l’intenzione della Commissione non è quella di ottenere dei meccanismi che rendano il Mercato Unico di più difficile accesso, ma solo aver cura del fatto che ingerenze economiche avverse (in primis, la Cina) possano trovare degli ordinamenti pronti a far fronte a ogni minaccia. In tal senso, parte del Regolamento definisce i presupposti d’esercizio che la Commissione richiede che siano rispettati dagli Stati per evitare una normativa che sia sproporzionata o ingiusta nel perseguire l’interesse della salvaguardia della sicurezza e dell’ordine pubblico a scapito del principio di libera circolazione dei capitali.

Prima dell’analisi degli effetti del Regolamento sulla cooperazione tra Stati membri, occorre introdurne in via brutalmente sintetica il suo funzionamento. A norma dell’art. 6 e 7 del Regolamento, in presenza di un investimento straniero compatibile con il quadro istituito dallo stesso, lo Stato membro interessato dovrà notificare gli altri Stati membri e la Commissione dell’operazione appena possibile. Qualora un altro Stato membro ritenga che un investimento straniero possa incidere sulla propria sicurezza o sul proprio ordine pubblico, potrà formulare osservazioni allo Stato membro che effettua il controllo, inviandole contestualmente alla Commissione. Lo stesso meccanismo sarà applicato potenzialmente anche dalla Commissione, che potrà formulare pareri da tenere in «debita considerazione» dallo Stato procedente.

Questo meccanismo naturalmente implica numerosi aggravi del procedimento amministrativo per gli Stati procedenti, e la stessa Relazione riconosce tale effetto collaterale. Nonostante ciò, a detta della Commissione il meccanismo sta sortendo gli effetti sperati, considerato che delle 265 notifiche ricevute dalla Commissione e gli altri Stati membri, la maggioranza fossero state chiuse senza ulteriori richieste di chiarimenti o pareri, mentre il 14% sono passate alla “Fase 2”, ovvero alla richiesta di ulteriori informazioni o pareri della Commissione. Un lato positivo è che non si sono verificate fughe di notizie tra Stati membri così garantendo che il livello di fiducia tra gli stessi si sia mantenuto sufficientemente alto. D’altro lato, gli Stati membri lamentano il fatto che i termini procedurali per la notifica e la possibilità di rendere opinioni o richiedere ulteriori informazioni siano troppo stretti, o poco armonizzati tra le singole procedure amministrative nazionali. Un altro aspetto negativo è che la gestione di informazioni aggiuntive da parte degli Stati membri è stata ritenuta «non gestibile», nonostante le precazioni legislative prese.

 Per cercare di risolvere queste (e altre) problematiche di coordinazione tra la normativa eurounitaria (principalmente di soft-law) e le normative nazionali, che rimangono sostanzialmente prevalenti, la Commissione ha annunciato nella Relazione di essere in via di elaborazione di alcune linee guida almeno per ridurre il numero di notifiche in alcuni settori abbracciati originariamente dal Regolamento. È possibile che una modifica al testo stesso del Regolamento sia già stata presa in considerazione dalla Commissione. Ad oggi, non possiamo non rilevare come il Regolamento, non sorprendentemente, ha aggiunto un livello di complicazione sia per gli Stati membri, che per gli investitori, essendo comunque questi responsabili per la compilazione dei moduli per la notifica agli Stati membri. Quello che potrebbe essere forse vantaggioso sarebbe la riduzione dell’obbligo di notifica alla Commissione e agli Stati membri dei soli investimenti stranieri che tocchino i settori più critici per la salvaguardia degli interessi coinvolti. Un allungamento dei termini per la procedura di notifica avrebbe effetti favorevoli per gli Stati membri e per la Commissione, ma peggiorerebbe a nostro avviso la situazione d’incertezza degli investitori stranieri.

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