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La difficile introduzione del foia in italia

di Elenasofia Liberatori

 

11/04/2017

 

Il 25 maggio 2016 è entrato in vigore il decreto legislativo n. 97 nell’ambito della più ampia riforma in tema di trasparenza e semplificazione dell’azione amministrativa avviata nel 2015. Tra gli obiettivi della disciplina legislativa, si evidenzia «il riordino» della materia riguardante l’accesso civico, come previsto dal precedente decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33 (art. 1, d. lgs. 97/2016).

L’accesso civico nasce dall’intento del legislatore di ampliare il diritto di accesso ai documenti amministrativi riconosciuto al privato, al fine di attuare «forme diffuse di controllo» (art. 1, co. 1, d. lgs. 33/2013). Sebbene la legge generale sul procedimento amministrativo, infatti, riconosca, già da tempo, agli interessati il diritto di prendere visione di atti e documenti detenuti dalla p.a., l’istituto dell’accesso civico, delineato di recente, rappresenta un importante innovazione nel diritto amministrativo. La legge n. 241/90 prevede la possibilità di richiedere la consultazione dei documenti solo per coloro che abbiano un interesse diretto, concreto e attuale, pretendendo una stretta connessione tra la situazione giuridica dell’interessato e l’atto al quale egli intende accedere. L’accesso civico mira invece ad attuare un’azione amministrativa improntata alla pubblicità e alla trasparenza, imponendo obblighi di divulgazione dei documenti e degli atti relativi alle decisioni pubbliche. Il d. lgs. 97/2016 conferisce a chiunque la possibilità di esercitare il diritto di accesso a qualsiasi tipo di informazione in possesso della p.a., senza obbligo di motivazione. L’amministrazione dunque è, da un lato, sottoposta all’obbligo di pubblicare determinati documenti sui siti internet istituzionali, al fine di attuare la consultazione pubblica promossa dal d. lgs. 33/2013; dall’altro, laddove il dato sia «ulteriore» rispetto a quello sottoposto a pubblicazione obbligatoria, è comunque tenuta a permetterne la consultazione al privato richiedente, sulla base di quanto disposto dall’art. 5 del d. lgs. n. 97/2016. L’istituto così riformato ha apportato molteplici cambiamenti nell’ordinamento, aumentando la trasparenza dell’azione amministrativa e ampliando i diritti partecipativi riconosciuti ai privati, nell’affermazione di un vero e proprio freedom of information (cfr. parere sul decreto trasparenza, Cons. St., sez. consultiva atti normativi, 24 febbraio 2016, n. 515).

L’art 5-bis del d. lgs. n. 97/2016 introduce una serie di limitazioni al diritto di accesso. La pubblica amministrazione può sottrarsi alla disclosure, qualora la richiesta di accesso sia pregiudizievole per i seguenti interessi pubblici: la sicurezza pubblica e l’ordine pubblico; la sicurezza nazionale; la difesa e le questioni militari; le relazioni internazionali; la politica e la stabilità finanziaria ed economica dello Stato; la conduzione di indagini sui reati e il loro perseguimento; il regolare svolgimento di attività ispettive (co. 1, lett.re a) – g)). La disposizione limita l’accesso civico anche in relazione a determinati interessi privati, nei confronti dei quali è però richiesto un «pregiudizio concreto», richiamando: la protezione dei dati personali, la libertà e la segretezza della corrispondenza e gli interessi economici e commerciali di una persona fisica o giuridica (co. 2, lett.re a) – c)). Il terzo comma dell’art. 5-bis, infine, esclude il diritto di accesso «nei casi di segreto di Stato e negli altri casi di divieti di accesso o divulgazione previsti dalla legge». La vaghezza e l’ampiezza delle eccezioni all’accesso civico hanno suscitato perplessità in dottrina. La p.a. potrebbe infatti facilmente negare il diritto di accesso al richiedente, appellandosi alle molteplici esclusioni legislativamente previste. L’art. 5-bis sembra dunque costituire un ostacolo all’effettiva partecipazione dei cittadini alle decisioni pubbliche e alla trasparenza dell’azione amministrativa. Opporsi alla richiesta di accesso ai documenti dovrebbe costituire un‘eccezione per la p.a. ma le previsioni contenute nel d.lgs. n. 97/2016 sembrano suggerire quasi il contrario: attingendo all’ampio catalogo di esclusioni, l’Amministrazione può facilmente evitare la disclosure dei documenti in proprio possesso.

Una volta pervenuta la richiesta dell’interessato, il procedimento di accesso ai documenti ha una durata di trenta giorni, al termine dei quali la p.a. è tenuta a comunicare al richiedente un «provvedimento espresso e motivato» (art. 5, co. 6, d. lgs. n. 97/2016). In caso di diniego totale o parziale da parte dell’amministrazione, la recente normativa sull’accesso civico riconosce all’istante due rimedi: in primis, può chiedere il riesame dinnanzi al Responsabile della prevenzione, della corruzione e della trasparenza; in secundis, il privato può proporre ricorso al T.A.R., sia avverso il provvedimento all’esito del riesame, sia direttamente nei confronti dell’atto di diniego all’accesso (art. 5, cc. 7-8).

Il d. lgs. 97/2016 è stato criticato per non aver previsto in capo al soggetto richiedente alcun pagamento per usufruire dell’accesso ai documenti. La spesa sostenuta dalla p.a. per la divulgazione dei dati e dei documenti amministrativi avrebbe giustificato il pagamento di una cifra che, per quanto irrisoria, sarebbe risultata utile per il miglioramento dei servizi pubblici offerti. Il pagamento del servizio è già previsto in altri ordinamenti: nel Regno Unito o negli Stati Uniti, infatti, è data la possibilità alle amministrazioni di recuperare i costi sostenuti per adempiere alla richiesta, imponendo all’interessato il pagamento di una tassa (ciò che ad esempio prevede il sito istituzionale dell’Information Commissioner Office inglese per la copertura dei costi sostenuti per comunicazioni, notifiche o fotocopie nell’adempimento della richiesta di accesso alle informazioni).

Il d. lgs. 97/2016 ha iniziato ad esplicare i propri effetti il 23 dicembre 2016 ed il “nuovo” diritto di accesso è così divenuto operativo. Dall’entrata in vigore della normativa, dunque, alle pubbliche amministrazioni sono stati concessi sei mesi per poter adeguare strutture ed organizzazione alla nuova disciplina. Il 28 dicembre 2016, inoltre, l’ANAC ha emanato le linee guida relative al diritto di accesso, semplificando ulteriormente la normativa: è possibile consultare i documenti amministrativi, infatti, inviando la propria richiesta per e-mail all’indirizzo di posta elettronica fornito dall’Amministrazione detentrice. La p.a. non può inoltre opporre rifiuti generici, ma deve indicare nella motivazione gli interessi pubblici o privati che verrebbero lesi dalla divulgazione del documento a cui il privato intende accedere. L’ANAC ha inoltre suggerito agli enti pubblici di adottare dei registri in cui inserire le richieste di accesso effettuate, non solo a fini organizzativi ma anche per il futuro monitoraggio che l’Autorità anti-corruzione dovrà svolgere, trascorso un anno di attività del FOIA.

In molto Stati europei ed internazionali, il diritto all’informazione è riconosciuto e disciplinato da diversi anni; negli Stati Uniti, ad esempio, è previsto il Freedom of Information Act dal 1966. L’ordinamento italiano, dunque, necessitava di una legislazione innovativa come quella contenuta nel d. lgs. n. 97/2016, che ha di fatto apportato molteplici benefici. Alcuni problemi tuttavia restano: oltre alle numerose (forse troppe) eccezioni previste dalla legge, la violazione al diritto di accesso da parte di una p.a. non comporta, come su detto, alcun tipo di sanzione. Il ministero per la Semplificazione e la Pubblica amministrazione ha, inoltre, effettuato un bilancio di attività del FOIA relativo al periodo compreso tra il 23 dicembre 2016 e il 23 marzo 2017. I dati emersi non sono del tutto soddisfacenti: delle 205 istanze di accesso presentate, sebbene 113 siano state accolte, ben 32 sono state rigettate e 6 solo parzialmente accolte. La p.a. ha motivato tali dinieghi soprattutto facendo appello alle eccezioni relative agli interessi economici di una persona fisica, alla sicurezza nazionale e alla segretezza della corrispondenza. Tenendo poi in considerazione dati meno ufficiali ma di pubblica consultazione, le critiche sulla normativa in esame sono più evidenti: si parla di un numero di richieste inviate alle p.a. molto più elevato e di risultati estremamente negativi (cfr. www.dirittodisapere.it e cfr. www.agendadigitale.eu).

Il d. lgs. 97/2016 è divenuto operativo da pochi mesi e pertanto è prematuro parlare di bilanci in termini negativi o positivi. L’introduzione di un Freedom of Information Act è un segno di maggiore trasparenza e apertura dell’operato della pubblica amministrazione. Nell’attesa di pronunce giurisprudenziali da parte del Consiglio di Stato e della relazione sul monitoraggio che sarà compiuta dall’ANAC, la speranza è di un miglioramento dei sistemi organizzativi e divulgativi degli enti pubblici, anche sulla base delle critiche avanzate.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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