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La prevenzione del rischio sismico: un’ardua sfida nel paese dell’ «emergenza ordinaria»

EMMA MUSCO

 

 

10/01/2019

 

 

A distanza di un mese dagli eccezionali eventi metereologici verificatisi su tutto il territorio nazionale – che hanno provocato ingenti danni e perdite, anche in termini di vite umane – è di nuovo emergenza in Italia. Infatti, a seguito dello sciame sismico provocato dal risveglio dell’Etna, un terremoto più decisivo, di magnitudo 4.8, ha interessato la Sicilia orientale il 26 dicembre, colpendo maggiormente le zone del catanese. Numerosi i feriti e gli sfollati e importanti sono stati i danni a strutture pubbliche e abitazioni private. Dopo i primi aiuti e soccorsi alla popolazione, con delibera del Consiglio dei Ministri del 28 dicembre, è stato dichiarato per dodici mesi (salvo probabili proroghe) lo stato di emergenza e sono stati stanziati i primi fondi per gli interventi di somma urgenza disposti con ordinanza dal Dipartimento di Protezione Civile. Il Commissario delegato dovrà redigere un piano per fronteggiare e superare l’evento calamitoso, predisponendo interventi volti a gestire l’emergenza abitativa, la messa in sicurezza degli edifici, il ripristino della funzionalità dei servizi pubblici e delle infrastrutture, la ripresa delle attività economiche e commerciali, la gestione dei rifiuti e delle macerie. Immediati anche gli interventi fiscali a favore dei territori colpiti, tra cui la sospensione dei mutui.

Si attiva così, ancora una volta, quella macchina dell’«amministrazione d’emergenza» che con le sue strutture organizzative, ed i suoi poteri e mezzi straordinari corre, con molta difficoltà, ai ripari.

In un Paese in cui l’emergenza è una situazione ormai «ordinaria», non è più sufficiente intervenire solamente con azioni post-evento, ma è assolutamente necessario mettere in atto strategie di previsione e prevenzione volte a mitigare i numerosi rischi e garantire sicurezza ed incolumità pubblica. Così, l’amministrazione dell’emergenza, si integra e si completa con l’amministrazione della prevenzione e della precauzione. L’ordinamento, quindi, prova a cambiare rotta ed abbracciare anche una logica dell’«ex-ante» ma con molta difficoltà e risultati ancora insufficienti.

Prova concreta di questo mutamento di visione è stata la legge n.225 del 1992 che oltre alle fasi di soccorso, assistenza e superamento dell’emergenza, ha affidato al Servizio nazionale di Protezione Civile anche le attività di previsione e prevenzione al fine di definire le cause degli eventi calamitosi, identificare i rischi presenti sul territorio e mettere in atto tutte le azioni necessarie a evitare o ridurre al minimo la possibilità che le calamità provochino danni.

Nell’ambito del rischio sismico, i progressi maggiori si sono indirizzati verso la prevenzione in quanto, per sua natura, il terremoto non è prevedibile nel senso che non è possibile conoscere in anticipo ed in modo preciso quando, dove e con quale forza si verificherà. L’unica previsione possibile è di tipo statistico, basata sullo studio dei terremoti del passato, che consente di identificare le zone più pericolose del territorio per sismicità, frequenza ed intensità.  Negli ultimi anni la scienza ha fatto notevoli progressi nello studio dei precursori sismici, ma la previsione dei terremoti basata su tali parametri, ha dato finora esiti insufficienti e contraddittori.

Dunque, per prevenire il rischio sismico o quantomeno limitarne i potenziali effetti distruttivi, la strada da percorre è quella della prevenzione.

Vari sono gli strumenti che lo Stato sta predisponendo per attuare strategie di prevenzione ma insufficienti sono ancora i risultati conseguiti.

Tra gli strumenti utili, la classificazione sismica del territorio nazionale e la microzonazione locale, servono per la pianificazione urbanistica e il governo del territorio ai fini di una prevenzione sismica efficace. Lo Stato ha già riconosciuto l’importanza di questi strumenti, soprattutto quello nuovo e settoriale della microzonazione, co-finanziando il suo svolgimento. Ma a tutto ciò non segue poi un interesse concreto e responsabile in quanto si sta procedendo in maniera non uniforme, con ritardi, con soggetti privi delle specifiche competenze, con la difficoltà dei comuni di stanziare risorse per gli studi. A ciò si lega anche la carenza di personale a supporto degli interventi e della pianificazione del territorio.

Altro strumento fondamentale su cui investire è rappresentato dalla normativa in materia, capace di dettare norme tecniche per le costruzioni e severi divieti di edificazione in zone a rischio.  La ricca produzione di norme in merito non è riuscita però a fermare il fenomeno dell’abusivismo edilizio che con numeri preoccupanti è presente in tutto il territorio nazionale soprattutto nelle zone dove la pericolosità sismica è molto alta e le ricorrenti tragedie continuano a dimostrare che l’abuso alimenta ed amplifica gli effetti distruttivi delle calamità. Ed è proprio questo che le norme vogliono evitare. Ciò che caratterizza il rischio sismico nel nostro Paese è l’alto indice di vulnerabilità. Infatti, mentre la pericolosità sismica è inferiore rispetto ad altri Paesi, come il Giappone o la California, la vulnerabilità è molto elevata e ciò a causa della fragilità del patrimonio edilizio, del sistema infrastrutturale, industriale, produttivo e delle reti dei servizi. Non bisogna però dimenticare la peculiarità del contesto italiano, la sua geografia, il suo patrimonio storico, antico e diffuso ovunque e il fatto che molti edifici sono stati costruiti nel dopoguerra durante una fase di urbanizzazione disordinata e priva ancora di regole stringenti. I benefici derivanti da costruzioni sicure sono evidenti. Si pensi al terremoto del Centro-Italia del 2016: Norcia, rispetto agli altri borghi colpiti, ha subito danni più contenuti perché dopo il sisma del 1979 si è proceduto con interventi antisismici su quasi tutti gli edifici.

La prevenzione può essere favorita anche da interventi fiscali e tributari. Le recenti leggi di stabilità hanno previsto meccanismi di detrazione fiscale finalizzati all’adeguamento antisismico (il cd. «Sisma Bonus») e alla riqualificazione energetica degli edifici. La seconda tipologia di detrazione ha avuto maggiore successo: questo perché un lavoro di efficientamento energetico porta al privato un immediato risparmio sulla bolletta, invece nei lavori di adeguamento sismico, i vantaggi sono solo potenziali in quanto si avrebbero solo nel momento in cui dovesse verificarsi un terremoto. Il sisma bonus è poi una misura che presenta alcuni profili critici che andrebbero dunque risolti al fine di ottenere risultati più efficienti.

Tra le misure fiscali pensate per ridurre la componente di pericolosità, rientra anche le soluzioni assicurative per una riallocazione più efficiente del rischio trasferendo parzialmente le sue conseguenze patrimoniali dallo Stato al privato. Per incentivare la diffusione di questi strumenti è stata introdotta nelle recenti leggi di bilancio, anche la detraibilità Irpef dei premi per assicurazioni aventi ad oggetto eventi calamitosi, stipulate relativamente ad immobili per uso abitativo. Le polizze sono state anche esentate dall’imposta sulle assicurazioni, misura già prevista relativamente ai beni strumentali nell’ambito del reddito di impresa. Con una diffusione su larga scala, il mercato assicurativo privato potrebbe rivestire un ruolo centrale anche come strumento di prevenzione e non solo come meccanismo di risarcimento del danno. Si pensi, per esempio, ad una modulazione dei premi assicurativi che tenga conto delle caratteristiche tecniche delle abitazioni o della loro localizzazione, oppure sul versante delle attività produttive, alla predisposizione di soluzioni tecnologiche che riducano emissioni inquinanti o i comportamenti ad alto rischio ambientale. Nonostante elaborazioni di proposte di legge già da alcuni anni, allo stato attuale, le misure assicurative stentano a trovare spazio. Una soluzione, anche se di complicata realizzazione, potrebbe essere quella di rendere obbligatoria una assicurazione contro i disastri naturali. Nel resto dell’Europa vengono già impiegate assicurazioni di questo tipo.

Purtroppo, in Italia, mancando ancora una diffusa cultura della prevenzione, gli incentivi fiscali funzionano sulla prospettiva di vantaggi e ritorni immediati, non sulla convinzione di fare un investimento nel lungo periodo. Il nostro Paese investe solo dopo la distruzione e la conta dei danni spendendo, per la ricostruzione, cifre esorbitanti senza considerare la perdita di vite umane, l’abbandono delle zone colpite, il disastro economico delle attività produttive, il danneggiamento del patrimonio artistico.

Ciò che deve cambiare è allora la cultura: si potranno elaborare norme tecniche ed agevolazioni sempre più efficienti, ma insoddisfacenti continueranno ad essere i risultati se il cittadino non acquisterà una maggiore consapevolezza dei rischi e delle conseguenze catastrofiche che ne possono derivare. E in tal senso, fondamentali sono le attività di informazione ed educazione della popolazione. Strutture formative sulla prevenzione sono già da tempo presenti in molti paesi, e questo perché essere preparati sui giusti comportamenti da tenere, può ridurre significativamente perdite e danni.

Varie sono state le iniziative che hanno visto la luce negli ultimi anni, tra evoluzioni normative in materia edilizia, nuovi incentivi fiscali, il ruolo sempre più importante delle conoscenze in materia di disastri naturali acquisite e scambiate a livello comunitario e mondiale con lo stanziamento di fondi di solidarietà per aiutare i paesi più a rischio a migliorare le strategie di prevenzione. La sfida più ardua è per l’Italia: essa ha certamente ottenuto dei primi risultati positivi e significativi a seguito dell’attuazione delle strategie di prevenzione, ma ha ancora molta strada da percorre davanti a sé per poter mettere in sicurezza l’intero territorio nazionale.

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