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LA PRONUNCIA DEL CONSIGLIO DI STATO SUL CASO SYNGENTA-VERISEM: UN ULTERIORE RAFFORZAMENTO DELLE PREROGATIVE STATALI?

08/05/2023

A cura di Matteo Farnese

Nel bilanciamento tra prerogative governative e garanzie delle imprese, derivante dall’applicazione della normativa golden power, un ruolo di primaria importanza è svolto dalla giurisprudenza. Negli ultimi anni, il giudice amministrativo italiano si è più volte espresso sul tema, dimostrando un’attenzione maggiore alle istanze di protezione del Governo rispetto a quelle di garanzia avanzate delle imprese nazionali ed estere. Uno degli esempi più significativi riguarda il caso Syngenta-Verisem, su cui si è recentemente pronunciato il Consiglio di Stato, attraverso la sentenza del 9 gennaio 2023, n. 289. Nella citata pronuncia, il massimo organo della giurisdizione amministrativa offre indicazioni più precise sulle caratteristiche proprie del procedimento di controllo degli investimenti esteri diretti e sull’ampiezza della valutazione compiuta dall’amministrazione nella fase decisoria.

Al fine di comprendere meglio il più recente orientamento della giurisprudenza nella difficile ricerca di un punto di equilibrio tra prerogative pubbliche e garanzie private, occorre ripercorrere le principali tappe dell’operazione in esame.

Il caso prende avvio dall’acquisizione da parte di Syngenta, società controllata indirettamente dal governo cinese, del gruppo Verisem, attivo nel settore delle sementi. Il Governo, con il d.p.c.m. del 21 ottobre 2021, n. 3693, ha deciso di opporsi all’operazione, nonostante le risultanze dell’istruttoria non facessero intendere un pericolo tale da giustificare la misura adottata. Entrambe le società, con ricorsi separati, hanno impugnato la decisone di fronte al TAR, lamentando, tra gli altri, l’insussistenza dei presupposti di attivazione della normativa golden power e l’assenza di una motivazione rafforzata della decisione, in quanto contrastante con le risultanze dell’istruttoria.

Il Tribunale, con le sentenze del 14 aprile 2022 n. 4486 e 4488, ha respinto entrambi ricorsi, affermando, con specifico riguardo ai richiamati motivi di impugnazione, che la decisione dello Stato di esercitare o meno i poteri speciali si connota di «amplissima discrezionalità», in ragione della natura degli interessi tutelati. Inoltre, il TAR ha analizzato il compito del Gruppo di coordinamento, che raccoglie elementi di valutazione tecnica da sottoporre al Consiglio dei ministri, statuendo che quest’ultimo adotta il provvedimento libero da vincoli o, in particolare, da un obbligo di motivazione rafforzata qualora intenda decidere in modo diverso dalla proposta del Gruppo. La società Verisem ha impugnato, quindi, la decisione del TAR.

 Il Consiglio di Stato, attraverso la sentenza n. 289/2023, si è pronunciato sul caso in esame. La citata sentenza presenta molti punti di interesse, ma in questa sede si intende concentrare l’attenzione sul rapporto tra la fase istruttoria e decisoria del procedimento golden power e sulla discrezionalità riservata al Consiglio dei Ministri nell’esercizio dei poteri speciali.

Con riguardo al procedimento di controllo, questo viene considerato bifasico. La prima fase, di carattere puramente istruttorio, è affidata al Gruppo di coordinamento e al Ministero responsabile dell’istruttoria ed è finalizzata all’acquisizione degli elementi fattuali propedeutici all’esercizio dei poteri speciali. La seconda fase, decisoria, è affidata esclusivamente al Consiglio dei Ministri. Quest’ultimo è vincolato solamente dalle risultanze fattuali dell’istruttoria e non anche dalla proposta del Gruppo di coordinamento.

Questa ricostruzione, che completa e specifica quella proposta dal TAR, appare discutibile. Fermo restando che il Consiglio dei Ministri sia libero di adottare la misura più opportuna in relazione all’operazione notificata attraverso le proprie valutazioni, ciò non esclude che nel farlo non debba dar conto della proposta avanzata dal Gruppo di coordinamento, che rappresenta una valutazione preliminare della strategicità dell’operazione.

Con riguardo alla discrezionalità del Consiglio dei Ministri nell’esercizio dei poteri speciali, il Consiglio di Stato sembra riprendere, se non addirittura superare, le osservazioni svolte dal TAR, affermando che la valutazione delle operazioni tiene conto dei fini generali della politica nazionale, con particolare riguardo alla prospettiva economica, sociale ed anche al posizionamento internazionale del Paese (punto 14.1).

Su quest’ultimo aspetto, nel punto 18.5, si afferma che il controllo di un operatore economico nazionale da parte di uno Stato terzo con cui non intercorrono formali e cogenti legami è finalizzato a preservare, in ultima analisi, la sovranità statale, ai sensi dell’art. 1, comma 2, Cost.

Più in generale, il Consiglio di Stato, nel punto 18.4, sembra estendere ulteriormente il criterio della «amplissima discrezionalità» dell’amministrazione, rilevando che «la valutazione di strategicità non costituisce un dato oggettivo, ma la risultante di una ponderazione altamente discrezionale (se non apertamente politica) […]» che dipende «anche (se non soprattutto) dai soggetti coinvolti» oltre che dalla strategicità degli assets della società target.

Le osservazioni del Consiglio di Stato pongono almeno due profili problematici.

Il primo profilo riguarda il richiamato pericolo alla sovranità statale derivante dall’investimento estero diretto. Attraverso tale affermazione, sembrano sovrapporsi i concetti propri del diritto internazionale di imperium, ossia l’ambito entro cui lo Stato esercita la potestà di governo, e dominium, che invece ha una connotazione privatistica. Ebbene, la tutela della sovranità statale, secondo il diritto internazionale, attiene al piano dell’imperium e non del dominium, come invece accade nel caso in esame. Infatti, l’acquisto di proprietà all’interno del territorio nazionale non impedisce allo Stato di esercitare la propria potestà di governo. Appare, quindi, poco chiaro il riferimento alla protezione della sovranità statale (forse sovrapposta al concetto di interesse nazionale) derivante dal controllo degli investimenti esteri diretti.

Il secondo profilo, invece, riguarda la valutazione di strategicità operata dal Consiglio dei Ministri, definita come «apertamente politica» dallo stesso Consiglio di Stato, ponendo problemi sia sulla qualificazione del provvedimento di esercizio dei poteri speciali quale atto di alta amministrazione, sia sull’ampiezza di un’eventuale sindacato giurisdizionale. Lo stesso Consiglio di Stato limita il ruolo del giudice a profili di manifesta illogicità, ossia a «casi macroscopici in cui il Consiglio dei Ministri affermi i fatti smentiti dall’istruttoria o, al contrario, neghi fatti riscontrati nella fase istruttoria». A fronte di quanto detto, affermare che la valutazione di strategicità abbia un contenuto talmente tanto discrezionale da essere considerata come apertamente politica riduce di molto la possibilità per il giudice di rilevare la già complessa ipotesi di manifesta illogicità.

In conclusione, la sentenza del Consiglio di Stato conferma e rafforza l’orientamento giurisprudenziale consolidato negli ultimi anni, più attento alle esigenze di protezione dei governi che alle garanzie richieste dalle imprese. L’ulteriore estensione del concetto di «amplissima discrezionalità» e il riferimento a concetti propri di altri campi del diritto, come la tutela della sovranità statale, rappresentano ulteriori tentativi del giudice amministrativo di avvalorare l’operato dei pubblici poteri a protezione delle attività strategiche nazionali. L’orientamento della giurisprudenza nazionale si pone, però, in contrasto con i principi europei e costituzionali che modellano la materia del controllo degli investimenti esteri diretti, come quelli di legalità, certezza del diritto e non discriminazione. È comunque ragionevole ritenere che il rafforzamento delle prerogative governative operato dal Consiglio di Stato sia giustificato dal perdurare delle tensioni internazionali. È, quindi, possibile che il superamento delle crisi odierne possa indurre il giudice amministrativo o, in prospettiva più ampia, il giudice europeo, a dare maggior rilievo alle istanze di garanzia avanzate dalle imprese rispetto alle prerogative di protezione dei pubblici poteri.

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