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La relazione al Parlamento sull’esercizio dei poteri speciali: lo Stato doganiere alza la guardia

08/11/2021

A cura di Tommaso di Prospero

L’esercizio dei poteri speciali per il controllo degli investimenti diretti esteri (c.d. golden power), disciplinato dal Decreto legge 15 marzo 2012, n. 21 ha visto notevoli estensioni e trasformazioni nello scorso anno 2020. I motivi di questo cambiamento nel quadro normativo sono da tracciarsi specialmente in due eventi che hanno avuto la maggiore risonanza. In primis, l’esercizio dei poteri speciali è stato pesantemente influenzato dall’impatto dirompente della pandemia da Sars-Cov-2 (“Covid-19”), che ha colpito in maniera particolare il nostro Paese. Ciò aveva portato all’estensione del perimetro golden powercon il Decreto legge 8 aprile 2020, n. 23, (d’ora innanzi “D.l. Liquidità”), poi sostituito con i Decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri n. 179 del 18 dicembre 2020 e n. 180 del 23 dicembre 2020. In tal senso, vista la situazione pandemica, già la comunicazione della Commissione del 26 marzo 2020 aveva invitato gli Stati membri ad «avvalersi appieno, sin da ora, dei meccanismi di controllo degli Investimenti Esteri Diretti per tenere conto di tutti i rischi per le infrastrutture sanitarie critiche, per l’approvvigionamento di fattori produttivi critici e per altri settori critici, come previsto nel quadro giuridico dell’UE». Ciò che ha influenzato le operazioni di screening degli investimenti diretti esteri è stato anche l’approvazione del Regolamento UE n. 452 del 2019 (il “Regolamento”), entrato pienamente in vigore in Italia dall’11 ottobre 2020, e che ha introdotto un quadro per la cooperazione e il controllo europeo in materia, spingendo (con notevole forza acceleratoria data dalla situazione di emergenza sanitaria) gli Stati membri a estendere il perimetro dei settori considerati «strategici» (lo stesso D.l. Liquidità operava un generico rimando all’art. 4 del Regolamento, poi ridefinito dai D.P.C.M. 179 e 180 del 2020). 

L’impatto di questi cambiamenti normativi e fattuali viene rilevato anche in apertura della Relazione al Parlamento in materia di esercizio dei poteri speciali del 2020, presentata alle Camere il dal Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri e comunicata alla Presidenza il 20 giugno 2021 (la “Relazione”). Tale Relazione si occupa, con cadenza ormai annuale, di riportare il quadro completo sull’esercizio dei poteri speciali (capitolo 3), nonché sulle modifiche normative che hanno inciso la materia (capitolo 1 e 2).

In riferimento all’attività svolta, numerose sono le considerazioni che possono essere fatte in questa sede. Come riporta la Relazione, le notifiche sulle operazioni sono in fortissima crescita dall’anno precedente: nel 2020 si contano 342 notifiche, comparate alle 83 riferibili al 2019, e alle 46 del 2017. Il trend di crescita del 2020 ha conosciuto un brusco aumento soprattutto a partire dal mese di aprile e maggio, in concomitanza con l’entrata in vigore del D.l. liquidità, che come anticipato poc’anzi aveva operato un rinvio all’art. 4 del Regolamento nell’estensione dei settori interessati dall’obbligo di notifica, rendendo transitoriamente applicabile la disciplina golden power alle operazioni anche da parte di investitori che risiedono nell’Unione europea. Tra i settori d’intervento più interessati, solo nel 2020, sono state 37 le notifiche riferibili alla difesa e la sicurezza nazionale (di cui all’art. 1 Decreto legge 15 marzo 2012, n. 21) e 19 quelle riferibili alla tecnologia 5g (art. 1-bis), mentre la grossa maggioranza, 286, sono riferibili al settore dell’energia, dei trasporti, delle comunicazioni e gli altri settori ricompresi nel Regolamento (art. 2). A nostro parere, questo rimando era già lesivo del principio di proporzionalità e soprattutto di trasparenza, essendo le disposizioni dell’art. 4 del Regolamento non configurabili senza precisazioni nel nostro assetto giuridico, tanto che il Governo ne ha individuato i limiti più precisamente in un secondo momento con i D.P.C.M. 179 e 180 del 2020, con un’estensione anche del settore finanziario a quello assicurativo e creditizio. Tale violazione dei principi dell’azione amministrativa potrebbe essere in qualche modo temperata dalla situazione di evidente emergenza pandemica, ma avrebbe forse richiesto un’attenzione più meticolosa ab initio, potendo tale estensione causare una eccessiva ingerenza dello Stato nel controllo degli investimenti esteri. 

La Relazione si occupa poi di analizzare gli esiti di tali segnalazioni. Delle 342 notifiche: 2 sono state interessate dall’esercizio del potere di veto; 40 sono state oggetto di decreti del Presidente del Consiglio con l’imposizione di specifiche condizioni e prescrizioni; per 92 è stata predisposta la delibera di non esercizio dei poteri speciali (di cui 11 con raccomandazioni); altre 43 notifiche sono state concluse con la procedura semplificata ex art. 1, comma 1-bis del Decreto legge n. 21 del 2012, essendo operazioni infragruppo senza rilevata minaccia di grave pregiudizio per gli interessi nazionali. Per altre 154 notifiche non è stato esercitato nessun potere speciale essendo non rientranti nella disciplina. Delle due operazioni sottoposte a veto, si può rilevare come, dall’introduzione della disciplina nel 2012, l’esercizio di tale potere sia avvenuto solamente in tre occasioni, dunque rendendo il 2020 l’anno maggiormente interessato anche sotto tale profilo.

Successivamente la Relazione, per la prima volta dall’entrata in vigore del Regolamento, si dedica alla cooperazione europea sotto il profilo degli investimenti esteri diretti. Secondo il Regolamento, che lascia liberi gli Stati membri sui singoli provvedimenti di screening da adottare nelle proprie prerogative nazionali, istituisce dei meccanismi di cooperazione europea (artt. 6 e 7) e di controllo dei singoli provvedimenti (art. 3), nel bilanciamento della dicotomia tra la protezione dei diritti degli investitori garantita dall’art. 63 TFUE e la sempre più sentita esigenza di salvaguardare gli asset strategici. La cooperazione prevede l’obbligo di notifica alla Commissione e gli altri Stati membri degli investimenti che siano già oggetto di controllo nazionale, nonché la possibilità di ricevere raccomandazioni e pareri dalla stessa Commissione, anche su sollecitazione di altri Stati membri interessati dall’investimento. Tali pareri, se emanati dalla Commissione, dovranno essere presi in debita considerazione per la decisione finale e, qualora lo Stato membro se ne discosti, dovrà essere fornita adeguata motivazione, pena una possibile procedura d’infrazione. Dal punto di vista organizzativo, la Relazione rileva come sia stata istituito il c.d. «punto di contatto» presso il Dipartimento per il coordinamento amministrativo della Presidenza del Consiglio dei Ministri, competente per la coordinazione delle operazioni con le disposizioni del Regolamento. Dalla data della Relazione, l’Italia è uno dei cinque Stati membri ad aver attivato il meccanismo di cooperazione, notificando 20 operazioni, di cui 7 interessate dalle manifestazioni ai sensi dell’art. 6, para. 6 del Regolamento, con richiesta di informazioni supplementari da parte della Commissione in 6 di questi casi. Inoltre, l’Italia ha ricevuto la notizia di 34 operazioni di investimento, alcune delle quali (la Relazione non specifica in quale misura) già notificate dal Governo italiano.

In ultima analisi, occorrono alcune chiose conclusive in merito ai numeri che ci troviamo davanti, che potrebbero essere considerati lettera morta senza un ragionamento sistematico anche alla luce della normativa e di una lettura critica. Non si può non evidenziare come il numero di notifiche sia cresciuto a dismisura a seguito dell’introduzione del D.l. liquidità e dei decreti attuativi successivi. Ciononostante, poco meno di metà delle notifiche non ha avuto seguito, essendo irrilevanti per il quadro normativo secondo la valutazione degli organi competenti. Sembra evidente che gli investitori abbiano preferito segnalare le operazioni anche potenzialmente irrilevanti per evitare di incorrere in sanzioni o allungarne i tempi. Questo non può che derivare da un quadro normativo vago e incerto, dove l’esigenza di tutelare le infrastrutture e gli asset strategici in maniera maggioritaria rispetto agli anni scorsi risulta prevalente, mentre la tutela degli investitori e dell’apertura dei mercati è inevitabilmente recessivo. La disciplina dei poteri speciali non fa che rafforzare il suo grado di controllo con un ampliamento del perimetro che, alla luce dei dati risultanti dalla Relazione, potrebbe considerarsi lesivo del principio eurounitario di proporzionalità. Lo Stato non può che raffrontarsi con un mercato globalizzato e sempre più competitivo, dove la necessità di attrarre investimenti esteri diretti è imprescindibile, e richiede un intervento graduato nel quadro regolatorio alle strette necessità di sicurezza e di interesse nazionale, in un difficile ma fondamentale bilanciamento tra quest’ultime e il legittimo affidamento degli investitori. 

In una prima analisi invece, il Regolamento sembra non aver avuto un impatto incisivo sul sistema di notifiche a livello europeo, anche considerato il numero estremamente esiguo di Stati membri che hanno partecipato all’attività di cooperazione. Vista la lunghezza delle procedure amministrative di attuazione che tale meccanismo potrebbe avere sugli altri Stati membri, ci si chiede se ciò sia dovuto solo a una fase ancora iniziale delle stesse. Il percorso di integrazione europea in materia di investimenti diretti esteri, partito dall’attribuzione della competenza esclusiva dell’Unione del Trattato di Lisbona del 2007, richiederà sicuramente nel tempo un accentramento dei poteri di scrutinio più pervasivo, che potrebbe favorire l’uniformità delle scelte di screening e il rispetto dei principi dell’Unione in materia di concorrenza e libera circolazione dei capitali, con riguardo a un interesse pubblico non più meramente nazionale, ma eurounitario.

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