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La tutela del dipendente che segnala illeciti. Il whistleblowing dal 2012 ad oggi

di Andrea Renzi

06/06/16

 

  1. Premesse

Da tempo in Italia la prevenzione e repressione della corruzione hanno impegnato grandemente l’attività legislativa ed amministrativa. La particolare insidiosità della fattispecie è data dalla sua natura necessariamente plurisoggettiva[1] in forma di contratto sinallagmatico; la mancanza di un soggetto passivo persona fisica rende particolarmente complessa l’emersione del fenomeno, non essendoci una parte interessata alla denuncia e alla richiesta di intervento statale.

Nel tentativo di risolvere tali criticità numerosi ordinamenti hanno adottato legislazioni volte a favorire la denuncia e la segnalazione di tali fenomeni corruttivi; proprio in questa direzione si pongono le discipline rivolte alla tutela del cd. whisteblower, letteralmente “colui che soffia nel fischietto”, in riferimento alla tutela dell’individuo che provvede a segnalare la presenza della fattispecie illecita; tale terminologia, originaria chiaramente dei paesi anglosassoni, sta venendo sempre più utilizzata anche in Italia a causa della sua totale mancanza di significato negativo, rispetto a termini italiani  come “delatore” “spia” o “talpa”. Tale istituto prende piede per la prima volta nel nostro paese a seguito della L. 190\2012[2], la quale ponendosi l’obiettivo di organizzare l’intero ambito anticorruzione, rendeva impossibile la pretermissione di tale istituto.

  1. Precedente giuridici in area anglosassone e in ambito internazionale

L’analisi di questo istituto non può prescindere da un’osservazione riguardo alla sua applicazione in altri contesti giuridici. Come dicevamo questo nasce principalmente in paesi di common law, sin dal 1998 nel Regno Unito con il Public interest disclosure act abbiamo una prima legittimazione delle segnalazioni, sia in ambito pubblico sia in ambito privato riguardo alle informazioni che possono essere segnalate non solo su delitti ma in generale su comportamenti illeciti anche di stampo privatistico o amministrativo. Volontà è quello di impedire comportamenti di ritorsione nei confronti di coloro che denuncino tali fattispecie[3].

Negli Stati Uniti invece il Sarbanes Oxley Act (SOX) è in vigore dal 2002 ed estende tutele similari a quante appena viste anche con riferimento a frodi in ambito finanziario e contabile a tutte le società aventi sede anche all’estero. Le attività in violazione di questo atto possono essere sanzionate anche con provvedimenti penali[4].

In ambito internazionale è impossibile non segnalare in primo luogo la Convenzione civile sulla corruzione, firmata a Strasburgo il 4 novembre 1999, ratificata nel nostro paese solo con la legge 8 giugno 2012, n.112. Proprio all’art 9 si prevede come “ciascuna parte prevede nel suo diritto interno un’adeguata tutela contro qualsiasi sanzione ingiustificata nei confronti di dipendenti i quali, in buona fede e sulla base di ragionevoli sospetti, denuncino fatti di corruzione alle persone o alle autorità responsabili”. La ratifica della convenzione è intervenuta senza prevedere alcuna norma di adeguamento, similmente alla Convenzione del 31 ottobre 2003, ratificata in Italia con la legge 3 agosto 2009, n.116, quest’ultima adottata in ambito delle Nazioni Unite prevedendo soltanto una facoltà sull’adozione di misure adeguate (“Esamina la possibilità”[5]).

A queste si sommano le numerose raccomandazioni sia del Working Group on Bribery, OCSE, sia del G20 Anticorruprtion working Group di cui facciamo parte[6].

  1. Tutela precedente alla L. 190\2012

Fatte queste premesse occorre rilevare il contesto giuridico precedente all’ingresso della normativa anticorruzione in Italia. Sappiamo infatti come, seppur mancasse una disciplina organica dell’istituto, norme prettamente di stampo penalistico da molto tempo pongono degli obblighi in capo a determinati soggetti. Nello specifico vediamo come il codice penale, agli articoli 361 e 362, pone in capo, rispettivamente, al pubblico ufficiale e all’incaricato di pubblico servizio l’obbligo di denunciare senza ritardo i reati di cui essi hanno avuto notizia nell’esercizio o a causa delle loro funzioni. A queste previsioni si aggiunge l’art 365 dello stesso codice, il quale pone in capo all’esercente attività sanitaria lo stesso obbligo, limitato però solamente ai delitti e qualora la denuncia non coinvolga come soggetto attivo il paziente.

Le previsioni analizzate si rivolgono strettamente all’ambito penalistico, questo anche a causa della tradizione giuridica italiana che storicamente delega a questa area dell’ordinamento l’attività in ambiti di illeciti, non prevedendo alcuna norma premiale per colui che adempia a tali obblighi.  L’area è quella strettamente pubblicistica, non prevedendo alcun riferimento ai privati. Inoltre la dottrina maggioritaria ritiene come siano oggetto dell’obbligo di denuncia solo i fatti di cui si è venuti a conoscenza strettamente nell’esercizio o a causa delle proprie funzioni, eliminando dal novero i fatti di conoscenza meramente occasionale[7].

Riguardo alla tutela sull’anonimato non si assicuravano particolari tutele per il denunciante, anzi in caso di segnalazioni di altrui scorrettezze, il Consiglio di Stato era nel senso di estendere il diritto di accesso anche alla pretesa di conoscere l’identità del soggetto che ha esposto i fatti nei confronti della persona soggetta al procedimento.

  1. Dall’intervento del 2012 alle modifiche del 2014

Come si diceva, il legislatore interviene in materia per la prima volta del 2012, modificando l’art 54-bis del D.lgs 30 marzo 2001, n. 165. La rubrica riporta “Tutela del dipendente pubblico che segnala illeciti” e la sua collocazione all’interno del testo unico sul pubblico impiego delimita già, rispetto alle esperienze straniere e alle richieste internazionali, una applicazione al solo dipendente pubblico. In tale norma il legislatore delegato ha previsto una specifica tutela in capo a colui che segnali alla Corte dei Conti o all’autorità giudiziaria condotte illecite pervenute nella sua conoscenza in ragione della propria attività lavorativa. Specificamente si prevede l’anonimato del “whistleblower”, salvo che questo non sia indispensabile per la difesa dell’incolpato, così come si prevede la non applicabilità degli articoli 22 e seguenti della legge 7 agosto 1990, n. 241, e successive modificazioni, in tema di accesso. Tali tutele potranno essere applicate solo al di fuori dei casi di calunnia o diffamazione.

A colpo d’occhio appaiono chiari i limiti di tale norma, non solo nella sua non estensibilità ai privati, ma anche nella non previsione di strumenti a promozione dell’attività di segnalazione, particolarmente utili in contesti dove l’omertà risulta particolarmente diffusa, così come anche la mancanza di sanzioni specifiche per chi violi tali obblighi denota una, quantomeno, ingenuità nella predisposizione della norma[8].

Riguardo a tali perplessità neppure l’intervento del 2014[9] ha saputo porre rimedio. Tale revisione è intervenuta solo modificando il secondo comma dell’art 54-bis[10], inserendo la possibilità di denuncia anche all’Autorità Nazionale Anticorruzione (ANAC), equiparando quest’ultima all’autorità giudiziaria[11], e al superiore gerarchico.

Nonostante i numerosi limiti sopraenunciati, non si deve però dimenticare come l’ingresso all’interno del nostro ordinamento di questo istituto segna, comunque, una volontà di perseguire il fenomeno corruttivo, non solo nelle sue forme di reato ma anche come attività illecite generiche maggiormente vicine all’opera amministrativa. Così come anche si attesta come punto di rottura con una certa visione di tutela delle dinamiche interne alla PA.

  1. Whistleblowing oggi e domani, prospettive di regolazione e legislazione

La legittimazione dell’ANAC in ambito di tutela del dipendente che segnala illeciti ha acquisito una rilevanza fondamentale non solo in ambito di ricezione delle denunce, ma soprattutto in ambito di regolazione. Con la determina del 6 aprile del 2015 sono state infatti emesse le “Linee guida per la tutela del dipendente pubblico che segnala illeciti (cd. Whistleblower)”, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale serie generale n. 110 del 14 maggio 2015[12]. Qui dopo un’ampia ricognizione della normativa in materia e del riconoscimento  fondamento del potere regolamentare dell’Autorità nell’ambito, si procede ad analizzare sia l’ambito soggettivo di applicazione[13] sia la distinzione tra segnalazione anonima e tutela dell’anonimato del denunciate[14]. Di notevole rilievo risultano la previsione dell’oggetto della segnalazione, allargando l’ambito non solo ai reati contro la PA ma “anche le situazioni in cui, nel corso dell’attività amministrativa, si riscontri l’abuso da parte di un soggetto del potere a lui affidato al fine di ottenere vantaggi privati, nonché i fatti in cui – a prescindere dalla rilevanza penale – venga in evidenza un mal funzionamento dell’amministrazione a causa dell’uso a fini privati delle funzioni attribuite, ivi compreso l’inquinamento dell’azione amministrativa ab externo[15] ricomprendendo in tale novero un numero molto ampio di fattispecie; si apre inoltre specificamente ai fatti di cui si è a conoscenza per mera occasione del proprio lavoro. Inoltre l’Autorità prevede specifiche necessità tecniche al fine di tutelare l’anonimato del lavoratore. Nonostante ciò anche in tale documento si sollecita l’intervento del legislatore nei punti di ampia lacuna presenti nella norma di riferimento.

Oltre a tale attività di regolamentazione, l’ANAC è intervenuta nella stipula di protocolli con ONG da sempre impegnate nella lotta alla corruzione. In particolare ha stipulato un protocollo d’intesa con TRANSPARENCY INTERNATIONAL ITALIA (TI-It), la quale è una organizzazione specializzata nell’ambito e che ha lanciato una piattaforma di segnalazione degli illeciti, denominata “ Allerta Anticorruzione – ALAC ”. Questa piattaforma permette la segnalazione online, assicurando standard di riservatezza molto alti, che verrà poi vagliata dagli operatori della associazione ed eventualmente inviata all’autorità giudiziaria. Con il protocollo in analisi le due parti si impegnano reciprocamente, per una durata di tre anni, a collaborare sia nella diffusione della cultura della legalità, tramite eventi e progetti, sia alla condivisione delle segnalazioni ricevute su TI-It. La novità principale di tale accordo si porrebbe come l’apertura anche a enti “privati” nella lotta alla corruzione.

Nonostante i numerosi passi avanti effettuati fin dall’ingresso di tale istituto nel nostro ordinamento, numerose ancora risultano essere le lacune che impediscono una effettiva efficienza al sistema di segnalazione. Lacune che si prospetta vengano  parzialmente colmate da un disegno di legge approvato in prima lettura alla Camera nei primi mesi del 2016 e passato ora al Senato[16]. Tale proposta prevede anzitutto l’ampliamento delle novero dei tutelati, aprendo anche a privati che operino in settore pubblico[17] ed aumenta i poteri dell’ANAC in materia, prevedendo l’obbligo in capo a questa di istituire “più forme per la trasmissione delle segnalazioni ad essa dirette[18]. Di maggior rilievo sono le previsioni in ambito di tutela della riservatezza e dalle ritorsioni, infatti è abrogata la previsione riguardo alla conoscibilità “qualora fosse indispensabile” e si prevede in caso di successivo processo penale il limite alla riservatezza alle indagini preliminari. Per quanto riguarda invece le eventuali ritorsioni sono previste delle specifiche sanzioni amministrative pecuniarie erogabili dall’ANAC una volta accertato il comportamento discriminatorio, le quali varieranno tra i 5.000 a 30.000 euro[19]. E’ inoltre invertito l’onere della prova, cioè sarà colui al quale verrà contestato il comportamento discriminatorio che dovrà dimostrare la diversa ragione per cui quella determinata attività è stata compiuta[20].  Contemporaneamente tutte le tutele decadono in caso di condanna di primo grado per calunnia, diffamazione o altro reato realizzabile a mezzo di denuncia[21]. Nel caso si accerti la non sussistenza della segnalazione e la colpa grave del segnalante è allora previsto l’avvio del procedimento disciplinare, il quale può portare anche al licenziamento in tronco.

Le recenti prospettive in materia sembrerebbero positive ma ora possiamo solo aspettare l’attività del Senato, essendo il disegno assegnato ma non ancora in discussione[22].

[1] Così Cass. pen., Sez. VI,  29 settembre 1996, n. 9213

[2] Legge 9 novembre 2012 n. 190, art 1, comma 51

[3] Così R. CANTONE in La legge anticorruzione di MATTARELLA – PELISSERO, cit p. 246

[4]R. CANTONE in La legge anticorruzione op cit.

[5] Convenzione del 31 ottobre 2003, siglata a Merida, art 33 cit

[6] Per ulteriori specificazioni sul’ambito, R. CANTONE in La legge anticorruzione di MATTARELLA – PELISSERO, cit p. 248-249

[7] Così M.CATENACCI, Reati contro la PA e contro l’amministrazione della giustizia

[8] G.FRASCHINI in “Non chiamatelo whistleblowing” – www.whistleblowing.it

[9] D.L. 24 giugno 2014, n.90 convertito dalla L. 11 agosto 2014 n.114

[10] D.lgs 30 marzo 2001, n. 165

[11]M.GIUSTINIANI in “La riforma Renzi della pubblica amministrazione”, 2014 p.160

[12] In www.anticorruzione.it

[13]Linee guida per la tutela del dipendente pubblico che segnala illeciti (cd. Whistleblower)” Parte II, punto 1, disponibile in www.anticorruzione.it

[14]Linee guida per la tutela del dipendente pubblico che segnala illeciti (cd. Whistleblower)” Parte II, punto 2

[15]Linee guida per la tutela del dipendente pubblico che segnala illeciti (cd. Whistleblower)” Parte II, punto 3 A

[16] A.C. 3365 alla Camera, ora numerato come S.2208

[17]Art 1 punto 2, S.2208

[18] Art 1 punto 5, S.2208

[19] [19] Art 1 punto 6, S.2208

[20]  Art 2 punto 2 – quater , S.2208

[21] Art 1 punto 7, S.2208

[22] www.Senato.it

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