Lab-IP

LABORATORIO PER L’INNOVAZIONE PUBBLICA 1/2023

9/01/2022

INDICE:

1. CORPORATE GOVERNANCE DELLE SOCIETÀ PARTECIPATE: AL VIA LE NOMINE DI STATO di Elena Valenti

2. I CONTROLLI DELLA CORTE DEI CONTI SUL PIANO NAZIONALE DI RIPRESA E RESILIENZA: IL CASO DEL COMUNE DI MANTOVA di Samuele Marcucci

3. LA CONFERENZA DI SERVIZI NELL’A.I.A.: CHI HA TITOLO PER PARTECIPARE? di Giulia Moscaroli

4. GLI SPAZI COMMERCIALI COME LE SPIAGGE: LA PRONUNCIA DEL T.A.R. LAZIO di Andrea Nardone

5. LE CASE DEL QUARTIERE DI TORINO 2.0 di Beatrice Tabacco

6. INCOSTITUZIONALITÀ DELLE NORME REGIONALI CHE OSTACOLANO LO SVILUPPO DELLE FER di Gaspare Mariani

7. IL REGOLAMENTO SULLE SOVVENZIONI ESTERE DISTORSIVE DEL MERCATO UE: QUESTIONI APERTE E NUOVE PROSPETTIVE PER IL GOLDEN POWER di Matteo Farnese

1. CORPORATE GOVERNANCE DELLE SOCIETÀ PARTECIPATE: AL VIA LE NOMINE DI STATO di Elena Valenti

La composizione degli organi sociali, consiglio di amministrazione e collegio sindacale, nelle società partecipate dal Ministero dell’economia e delle finanze, è regolata dal codice civile, dal Testo Unico in materia di società a partecipazione pubblica, nonché dal Testo unico in materia di intermediazione finanziaria per le società partecipate quotate nel mercato regolamentare.

La nomina e la designazione di candidature al ruolo di amministratore unico o membro del consiglio di amministrazione o del collegio sindacale implicano un’attività di carattere politico amministrativo.

Il dossier del servizio per il controllo parlamentare Ricognizione degli assetti organizzativi delle principali società a partecipazione pubblica, n. 47 del 2022, aggiorna i mutamenti negli assetti societari e la loro attuale composizione, fornendo una panoramica dei consigli di amministrazione prossimi al rinnovo.

Banca Monte dei Paschi di Siena, società direttamente partecipata e quotata nel mercato regolamentare dal 1999, è tenuta a rinnovare il consiglio di amministrazione entro il 30 aprile 2023, prorogabile a giugno 2023 nel caso di assemblea di approvazione del bilancio.

A quest’ultima si aggiungono Eni, Enel, Enav e Poste Italiane.

La nomina del consiglio di amministrazione e del collegio sindacale delle società partecipate dal Mef, le cui azioni sono quotate nel mercato regolamentare, avviene mediante il meccanismo del voto di lista, previsto dagli artt. 147 ter e 148 Tuf, e introdotto per la prima volta con la legge sulla privatizzazioni n. 474/1994, per cui il singolo Statuto prevede sia che i componenti del consiglio di amministrazione siano eletti sulla base di liste di canditati, sia la quota minima prevista per la partecipazione, in misura non superiore al quarantesimo o alla diversa misura stabilita dal regolamento Consob.

I candidati devono essere in possesso dei requisiti di indipendenza, e non devono aver intrattenuto con l’emittente relazioni tali da influenzarne l’autonomia.

Dalla lista che ha ottenuto il maggior numero di voti vengono tratti con riferimento ad Eni ed Enel i sette decimi degli amministratori da eleggere, con riferimento al Monte dei Paschi di Siena un numero di amministratori pari a quelli da eleggere diminuito di tre, i restanti componenti sono eletti tra le restanti liste, al fine di garantire la tutela dei soci di minoranza. Le liste, depositate presso l’emittente, sono soggette sia alla normativa in tema di parità di genere sia al regime di pubblicità previsto dalla Consob.

I requisiti di indipendenza sono inoltre rafforzati dalla clausola etica, presente nella maggior parte degli Statuti di società partecipate dal Mef, che prevede l’ineleggibilità e la decadenza dalla carica di amministratore in presenza di provvedimenti di condanna da parte dell’autorità giudiziaria.  

Con direttiva del 14 aprile 2020 il Ministero dell’economia e delle finanze ha disposto per le società partecipate la presenza, nei limiti del possibile, dei dipendenti del ministero, con esclusione delle società quotate.

Gli atti concernenti l’individuazione e la valutazione delle candidature nell’ambito delle procedure selettive sono sottratti all’applicazione della disciplina relativa al diritto di accesso, in virtù del carattere politico amministrativo dell’attività e per effetto di quanto previsto dal d.m. 13 ottobe 1995, n. 561.

Per le società pubbliche non quotate la disciplina di riferimento è quella dettata dal codice civile, in particolare con riferimento all’art. 2449 c.c. e seguenti, per cui se lo Stato o gli enti pubblici detengono una partecipazione in una società che non ricorre al mercato del capitale del rischio, lo Statuto può conferire la facoltà di nominare amministratori o sindaci per un numero proporzionale alla partecipazione al capitale.

Al fine di perseguire gli obiettivi di contenimento della spesa pubblica e di gestione delle partecipazioni pubbliche, il d.lgs. n. 175/2016 prevede, all’art. 11 comma 2, che i componenti del consiglio di amministrazione debbano possedere i requisiti di onorabilità, professionalità e indipendenza stabiliti con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministero dell’economia e delle finanze.

Al momento della nomina, prima dell’accettazione dell’incarico, sono resi noti ulteriori incarichi in altre società all’assemblea dei soci.

È previsto, inoltre, che l’organo amministrativo, ad esclusione delle società quotate, sia costituito da un amministratore unico.

La normativa in materia di limite ai compensi, legge n. 122/2010, si applica soltanto alle società pubbliche non quotate.

L’assemblea della società, con delibera motivata riguardo a specifiche ragioni di adeguatezza organizzativa e contenimento dei costi, può disporre che la società a partecipazione pubblica sia amministrata da un consiglio di amministrazione composto da tre o cinque membri, nonché l’adozione dei sistemi alternativi previsti dal codice civile.

Italia trasporto aereo S.p.A, società partecipata al cento per cento dal Ministero dell’economia e finanze, il cui consiglio di amministrazione ha terminato il suo mandato a dicembre 2022, sarà tenuta ad applicare la disciplina del Testo Unico delle società partecipate.

Con riferimento a Consip S.p.A e Sogei S.p.A, entrambe società partecipate dal Ministero dell’economia e delle finanze, la legge n. 125/2012 prevede una disciplina speciale, sottratta all’applicazione delle norme previste dal Tusp, che stabilisce per i consigli di amministrazione un numero pari a tre membri, di cui due individuati tra i dipendenti del Mef e il terzo con funzioni di amministratore unico.

Il fenomeno noto come spoil system, pratica politica per cui i vertici della pubblica amministrazione vengono sostituiti al momento dell’insediamento del nuovo governo, non riguarda le società partecipate, che seguono i termini previsti dallo Statuto.

Tuttavia, la natura politico-amministrativa insita nell’attività di nomina del consiglio di amministrazione è ravvisabile anche nelle società partecipate quotate, dove il meccanismo del voto di lista comporta la facoltà per il Ministerio dell’economia e delle finanze di indicare molte delle principali cariche nei consigli di amministrazione, in virtù della qualità di azionista di maggioranza.

E’ prevista, inoltre, per l’esercizio dei diritti del socio, la preventiva acquisizione dell’intesa da parte di altri Ministeri.

Il ruolo del Ministero è tuttavia ridotto per le società indirettamente partecipate, le cui designazioni per la composizione degli organi sociali sono appannaggio delle società controllate.

Al fine di individuare i migliori profili professionali per la composizione degli organi amministrativi, il d.lgs. n. 33/2013 ha orientato l’azione della pubblica amministrazione al rispetto dei principi di trasparenza e pubblicità con riguardo al reclutamento del personale.

L’amministratore di nomina pubblica è sottoposto a disposizioni speciali relative al regime di pubblicità della sua nomina e al limite del compenso, ad esclusione delle società partecipate quotate.

Per le nomine delle società pubbliche quotate è di notevole rilevanza il ruolo della Consob, secondo il principio comply or explain, nel fornire al pubblico l’informazione relativa al governo della società, garantisce il rispetto dei requisiti di indipendenza e autonomia  degli amministratori, al fine di evitare una possibile alterazione degli equilibri di mercato.

L’autorità di vigilanza ha il potere di emanare disposizioni generali in materia di governo societario, secondo quanto disposto dall’art. 53 TUB, nonché un insieme articolato di principi e regole riguardanti la composizione dell’organo amministrativo.

Banca d’Italia, inoltre, vanta delle prerogative che non hanno riscontro nella disciplina societaria di diritto comune, tra queste, il potere di valutare l’idoneità degli esponenti e il rispetto dei limiti al cumulo dei rispettivi incarichi, nonché di pronunciarne l’eventuale decadenza, ai sensi dell’art. 26 TUB.

L’amministratore di nomina pubblica è dunque una figura che lascia spazio ad una forte commistione tra il diritto societario e il diritto pubblico.

2. I CONTROLLI DELLA CORTE DEI CONTI SUL PIANO NAZIONALE DI RIPRESA E RESILIENZA: IL CASO DEL COMUNE DI MANTOVA di Samuele Marcucci

I controlli della Corte dei conti sul Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) sono disciplinati dall’art. 22 del d. l. 16 luglio 2020 n. 76, convertito dalla legge 11 settembre 2020 n. 120 e dall’art. 7 del d. l. 31 maggio 2021 n. 77, convertito dalla legge 29 luglio 2021 n. 108. In attuazione dell’art. 22, la Corte dei conti ha istituito il Collegio del controllo concomitante focalizzato sui principali piani, programmi e progetti relativi agli interventi di sostegno e di rilancio dell’economia nazionale. L’eventuale accertamento di gravi irregolarità gestionali, ovvero di rilevanti e ingiustificati ritardi nell’erogazione di contributi secondo le vigenti procedure amministrative e contabili, è immediatamente trasmesso all’Amministrazione competente ai fini della responsabilità dirigenziale.

Il Collegio è stato istituito presso la sezione centrale di controllo sulla gestione delle Amministrazioni dello Stato. Si tratta di un nuovo ufficio composto da 13 magistrati con il compito di monitorare in corso d’opera l’assegnazione e la gestione dei fondi per i progetti e individuare eventuali irregolarità, che faranno scattare la responsabilità dirigenziale e la segnalazione alle procure nei casi più gravi.

Il Collegio ha definito il quadro programmatico del controllo concomitante per l’anno 2022 con la delibera n.1/2022, in cui mette in evidenza la ratio della norma: accelerare la funzione di controllo, vista quale fattore propulsivo dell’attuazione degli interventi tale da innescare processi di autocorrezione da parte dei soggetti attuatori.

Gli interventi selezionati per il 2022 sono stati raggruppati nelle medesime aree tematiche corrispondenti alle sei Missioni del PNRR, estese fino a nove per confluirvi la quasi totalità dei possibili interventi di sostegno e rilancio dell’economia nazionale.

All’ interno di queste aree, la selezione dei piani, programmi e progetti è orientata prediligendo quelli che presentano caratteristiche di maggiore rilevanza finanziaria, maggiore impatto socioeconomico su cittadini e imprese, maggiori possibilità di colmare i tanti gap accumulati dal nostro Paese negli ultimi decenni, a prescindere dall’inclusione o meno nel PNRR.

Nel caso in cui l’attuazione di piani, programmi e progetti sia rimessa a Regioni, province autonome o ad altri enti o a organi operanti esclusivamente in ambito regionale, è previsto che queste funzioni vengano svolte dalla competente Sezione regionale di controllo.

Inoltre, va riportato che la Legge “europea” n. 238/2021 all’art. 46 ha inteso sviluppare la funzione consultiva al fine di un efficace monitoraggio e controllo degli interventi dell’Unione europea per il periodo di programmazione 2021-2027. I pareri sono resi dalle sezioni regionali di controllo, a richiesta di comuni, province, città metropolitane e regioni sulle condizioni di applicabilità della normativa di contabilità pubblica all’esercizio delle funzioni e alle attività finanziate con le risorse stanziate dal PNRR e con i fondi complementari del PNC. La norma esclude, “in ogni caso”, la gravità della colpa qualora l’azione amministrativa si sia conformata ai pareri resi dalla Corte dei conti in via consultiva nel rispetto dei presupposti generali per il rilascio dei medesimi.

Per quanto riguarda l’operato delle sezioni regionali di controllo, queste dovranno, realizzare un monitoraggio costante dell’azione dei principali soggetti pubblici economici operanti sul territorio tramite un questionario sottoposto in due momenti dell’anno: l’ultima decade di gennaio e la prima di luglio. L’indagine così compiuta mira a evidenziare le difficoltà registrate nella gestione dei progetti di investimento distinguendo quelle riconducibili a tre distinte aree critiche per il procedere del Piano e, in generale, degli investimenti: la gestione amministrativa dei progetti; quella progettuale e quella collegata alle disponibilità di personale. Le Sezioni regionali dovranno inoltre dotarsi di un proprio programma annuale di controllo concomitante sui soggetti attuatori del territorio in conformità con la programmazione del Collegio centrale.

All’interno della programmazione del PNRR, che opera con un meccanismo di tipo top-down, gli enti locali sono solo soggetti attuatori responsabili dell’avvio, dell’attuazione e della funzionalità dell’intervento finanziato dal PNRR, mentre è l’amministrazione centrale che possiede la titolarità dell’intervento e deve assicurare il presidio continuo della loro attuazione, verificandone, da un lato, l’avanzamento e i progressi in termini di procedure, di flussi finanziari e di realizzazioni fisiche e, dall’altro, il livello di conseguimento di target e milestone.

Andando al caso di specie, nella relazione sui progetti del PNRR del Comune di Mantova, approvata con deliberazione della Sezione regionale di controllo per la Lombardia della Corte dei conti nel mese di dicembre 2022, si legge che la Sezione mese di marzo 2022 ha avviato, l’attività di ricognizione con l’istruttoria sui progetti del PNRR e del PNC che vedono il Comune di Mantova soggetto attuatore.

Dopo aver svolto un corposo inquadramento normativo, nella relazione si riporta che il lavoro istruttorio è stato compiuto anche tramite il sistema informatico denominato “ReGiS”, che la Ragioneria generale dello Stato ha sviluppato per la rilevazione dei dati di monitoraggio del PNRR, con lo scopo di verificare che il Comune avesse correttamente verificare la correttezza delle informazioni che vengono alimentate su tale piattaforma. Successivamente, la Sezione ha esaminato i 9 progetti dei quali risulta attuatore il Comune in esame, suddividendoli per missioni e in relazione alle amministrazioni centrali che ne sono responsabili. Ha esaminato inoltre quali progetti e in che misura sono stati affidati alle società in house, i cosiddetti enti strumentali, così come previsto dal decreto-legge 77/2021. Nel caso di specie risulta che il 41% dei finanziamenti saranno gestititi dall’ente strumentale “Aler Brescia Cremona Mantova”.

La relazione fa poi diversi rilievi. Innanzitutto, entra nel merito del modello di governance adottato dal Comune, segnalando che a Mantova non risulta costituita una specifica struttura di controllo ovvero indicato un dirigente per il coordinamento e controllo dei programmi, progetti e interventi del PNRR. Non risulta inoltre traccia di alcuna collaborazione con la task force della Regione Lombardia che si occupa di fornire assistenza agli enti locali nell’attuazione del Piano.

Sono rilevate poi significative discrasie tra i dati sull’ammontare dei progetti comunicati alla Corte dei conti dal Comune e quelli tratti dalla piattaforma ReGiS: per l’Ente gli interventi finanziati con il PNRR sono pari ad euro 50.534.253,87 mentre su ReGis l’importo dei progetti riferibili al Comune di Mantova è di 42.099.915,23 euro.

La sezione infine richiama il Comune ad un più attento utilizzo del Codice Unico del Procedimento (CUP) al quale l’art. 41 del decreto-legge 16 luglio 2020, n. 76 (che ha modificato l’articolo 11 della legge 16 gennaio 2003, n. 3, integrandolo con i commi da 2-bis a 2-sexies), ha espressamente conferito, a pena di nullità, il valore amministrativo di elemento essenziale degli atti di finanziamento o autorizzazione all’esecuzione dei progetti di investimento pubblico, in qualità di parametro identificativo univoco dell’investimento che l’amministrazione decide di realizzare. Infatti, i magistrati hanno rilevato che i dati forniti dal Comune nel corso delle istruttorie, l’esame del sito del Comune sezione “Bandi di gara e contratti”, dell’ANAC e della banca dati ReGiS non consentono di dare un quadro esaustivo: nel sito dell’Ente la ricerca si attiva solo con il CIG e non con il CUP e non vi è alcun indirizzo o meccanismo di semplificazione per il monitoraggio dei progetti del PNRR.

La Sezione si riserva in conclusione di procedere con nuovi controlli e istruttorie quando l’ente in esame, che per il momento è in fase di avvio, passerà ad una fase di impegni finanziari più significativi.

Da questa vicenda possono muoversi senz’altro due considerazioni, che valgono generalmente per l’attuazione del PNRR da parte degli enti locali.

La prima è la difficoltà evidente che vive l’ente locale esaminato nella gestione dei progetti dei quali è attuatore. La mole di questi fondi, le tempistiche insolitamente celeri e scadenzate, la carenza cronica di personale e di dirigenti e la mancata adozione di modelli organizzativi adeguati hanno generato in questo caso errori di contabilità grossolani. Si tratta infatti di circa otto milioni di euro non inseriti nel portale di comunicazione e monitoraggio della Ragioneria generale dello Stato ma che la Corte dei conti ha riscontrato essere in carico all’ente.

La seconda è sulla necessità del ruolo di controllo della Corte dei conti. In questa fase, infatti, come emerge chiaramente dalla relazione in esame, la Corte tramite le sue Sezioni regionali di controllo sta operando un ruolo di istruttoria volto a stimolare la correzione degli errori commessi dagli enti locali più che a sanzionarli. Inoltre, la possibilità di ricorrere alla Corte per ottenere pareri preventivi che sgravano le amministrazioni dal rischio di incorrere nella colpa grave, è sicuramente un incentivo per un’azione amministrativa più sicura ed efficace.

Questo, nell’ambito delle difficoltà gli enti locali stanno affrontando, appare più che mai utile.

3. LA CONFERENZA DI SERVIZI NELL’A.I.A.: CHI HA TITOLO PER PARTECIPARE? di Giulia Moscaroli

La pronuncia del 5 dicembre 2022, n. 10609, resa dalla Sezione IV del Consiglio di Stato, trae origine dal ricorso proposto dal Comune di Maniago contro la Regione Friuli-Venezia Giulia per la riforma della sentenza del TAR Friuli-Venezia Giulia, sez. I, 16 dicembre 2014, n. 648. La controversia ruota intorno alla legittimità del provvedimento di rinnovo dell’Autorizzazione Integrata Ambientale (AIA), rilasciata dalla Regione a favore della ditta Cementizillo S.p.A., per lo svolgimento dell’attività di produzione e commercio di leganti idraulici.

Nel 2013 quest’ultima presenta domanda di rinnovo dell’AIA precedentemente ottenuta. Il Comune di Maniago chiede di partecipare alla conferenza di servizi indetta dalla Regione, ricevendo il diniego di quest’ultima. Il rinnovo dell’AIA viene poi concesso dalla Regione con decreto del 20 febbraio 2014.

Il Comune propone ricorso avverso il menzionato provvedimento regionale, deducendone l’illegittimità per esclusione del Comune della conferenza di servizi, nonché per mancato rispetto della disciplina internazionale dettata dalla Convenzione di Aarhus e del principio costituzionale di leale collaborazione tra le pubbliche amministrazioni. Rileva, inoltre, che il provvedimento sarebbe illegittimo per il decorso del termine di efficacia dell’AIA precedentemente rilasciata.

Il TAR, con la citata sentenza n. 648/2014, respinge il ricorso affermando che l’art. 29-quater d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152 (c.d. Codice dell’ambiente) ammette la partecipazione alla conferenza di servizi solo per le amministrazioni ex lege competenti a rilasciare un atto di assenso per l’emanazione o il rinnovo dell’AIA. La ratio del modulo procedimentale della conferenza di servizi, infatti, è di semplificazione e riduzione dei tempi del procedimento, concentrando tutte le valutazioni delle amministrazioni competenti in un’unica sede. La tutela degli interessi della collettività del Comune di Maniago è comunque garantita dalla partecipazione dell’ente territoriale di ambito superiore, in applicazione del principio di sussidiarietà, il quale, per le peculiari caratteristiche della tutela dell’ambiente, tende a spostare verso l’alto le competenze, anziché verso il basso.

I giudici osservano che, a fronte di interessi particolarmente sensibili quali la salute delle persone e la tutela della qualità dell’ambiente, il confine comunale rischia di rivelarsi inadeguato. I fenomeni potenzialmente lesivi, infatti, sono capaci di propagarsi anche a notevole distanza dalla propria fonte.

Il Tribunale ritiene inoltre infondate le doglianze del ricorrente relative alla violazione della Convenzione di Aarhus, in quanto quest’ultima richiede semplicemente di garantire il coinvolgimento dei soggetti interessati tramite un ampio accesso alle informazioni ambientali rilevanti e la facoltà di presentare osservazioni durante il procedimento. Infondata è anche la censura di illegittimità del provvedimento per decorso del termine di efficacia dell’AIA, in quanto la tempestività del rinnovo deve essere valutata in relazione al momento in cui viene presentata l’istanza.

Il Comune di Maniago propone appello al Consiglio di Stato avverso la sentenza di primo grado, rilevando l’erronea interpretazione fornita dal TAR in relazione all’art. 29-quater. A giudizio dell’appellante infatti tale disposizione dovrebbe essere interpretata nel senso di consentire la partecipazione di tutte le amministrazioni competenti, incluso lo stesso Comune. Quest’ultimo ritiene inoltre che l’art. 29-quater sia in contrasto con le norme internazionali (tra cui la Convenzione di Aarhus), che intendono garantire un’effettiva partecipazione al procedimento decisionale degli enti interessanti, non già una semplice facoltà di presentare osservazioni.

Il Collegio adito non condivide le doglianze del Comune di Maniago.

Il provvedimento di AIA è il titolo necessario per autorizzare lo svolgimento dell’attività industriale e sostituisce, uno acto, tutti i titoli autorizzatori necessari per far funzionare un impianto, garantendo l’attuazione dei principi di efficacia, efficienza, speditezza ed economicità dell’azione amministrativa.

Il legislatore, al fine di consentire una rapida definizione del procedimento in cui necessariamente sono coinvolte diverse amministrazioni, richiede all’amministrazione competente la convocazione di una conferenza di servizi in modalità sincrona, permettendo un confronto in contraddittorio tra i soggetti portatori di interessi pubblici coinvolti. Pertanto, le amministrazioni invitate a partecipare sono solo quelle preposte alla tutela di specifici interessi pubblici coinvolti nell’istanza. Lo stesso art. 29-quater individua i soggetti aventi titolo a partecipare alla conferenza nelle «amministrazioni competenti in materia ambientale».

Tale ultima locuzione deve essere interpretata, in conformità al consolidato orientamento della giurisprudenza amministrativa, nel senso che la partecipazione alla conferenza di servizi è prevista esclusivamente «nei confronti dei soggetti direttamente interessati al provvedimento da emanare; gli altri soggetti istituzionali o meno, che non hanno un interesse diretto nel procedimento in corso, possono essere facoltativamente invitati, senza che gli stessi possano incidere sulla decisioni da trattare» (in questo senso, cfr. TAR Lazio, Roma, sez. I-quater, 7 luglio 2022, n. 9324; Consiglio di Stato, sez. II,8 luglio 2019, n. 4734). In ragione del fatto che la partecipazione del Comune sarebbe potuta avvenire sulla base di un invito facoltativo dall’amministrazione competente, la sua mancanza non è motivo di illegittimità del provvedimento.

Secondo il Consiglio di Stato, per quanto concerne la violazione delle norme sovranazionali, erroneamente l’appellante ha richiamato la direttiva n. 2003/35/CE, che riguarda la partecipazione del pubblico nell’elaborazione di piani e programmi. Si tratta di una disciplina applicabile in relazione alla Valutazione Ambientale Strategica (VAS), che si inserisce nell’attività di pianificazione e programmazione, non anche nei confronti dell’AIA, la quale configura un’autorizzazione all’esercizio di un determinato impianto e allo svolgimento di un’attività industriale.

I giudici di Palazzo Spada ritengono al contempo che il TAR abbia fornito una corretta interpretazione dell’art. 6 della Convenzione di Aarhus, il quale richiede agli Stati di consentire al pubblico interessato di «consultare gratuitamente tutte le informazioni rilevanti» (art. 6, co. 6) e di «presentare per iscritto, o a seconda dei casi, in occasione di audizioni o indagini pubbliche in presenza del richiedente, eventuali osservazioni, informazioni, analisi o pareri da esso ritenuti rilevanti ai fini dell’attività proposta» (art. 6, co. 7).

Per le ragioni enunciate la Sezione IV del Consiglio di Stato respinge l’appello e conferma la sentenza di primo grado.

La tematica della partecipazione ai procedimenti amministrativi da parte dei soggetti interessati è molto delicata in quanto, se da un lato risponde a una funzione di garanzia a favore dei cittadini, dall’altro rischia di appesantire il procedimento pregiudicandone l’efficienza e la conclusione stessa. È ben possibile, infatti, che gli strumenti partecipativi divengano espressione di localismi pregiudizievoli all’obiettivo di tutela dell’ambiente. È dunque un bilanciamento estremamente complesso tra partecipazione ed efficienza del procedimento quello che il legislatore si trova a dover operare. In ragione di ciò, è da condividere l’orientamento costante nella giurisprudenza del Consiglio di Stato che limita l’illegittimità del provvedimento di AIA alle sole ipotesi di mancata partecipazione al procedimento di amministrazioni aventi titolo a partecipare, non anche di quelle aventi una mera possibilità.

4. GLI SPAZI COMMERCIALI COME LE SPIAGGE: LA PRONUNCIA DEL T.A.R. LAZIO di Andrea Nardone

Con sentenza 17 giugno 2022, n. 8136, il T.A.R. Lazio, Roma, Sez. II-ter, si è pronunciato in merito all’impugnazione – da parte della titolare di due autorizzazioni al commercio – del provvedimento dell’amministrazione di Roma con cui quest’ultima, ricorrendo in autotutela, aveva annullato l’avvio d’ufficio della procedura finalizzata al rinnovo delle concessioni dei posteggi per l’attività commerciale su aree pubbliche.

La concessione de qua, infatti, risultava scaduta al 31 dicembre 2020; tuttavia, la ricorrente si giovava dell’applicazione alla medesima dell’art. 181, co. 4-bis, del decreto-legge 19 maggio 2020, n. 34 (c.d. Decreto Rilancio) che, in connessione con l’emergenza epidemiologica da COVID-19, aveva statuito il rinnovo per la durata di dodici anni, e dunque fino al 2032, delle concessioni di posteggio per l’esercizio del commercio su aree pubbliche aventi scadenza entro il 31 dicembre 2020, secondo linee guida adottate dal Ministero dello sviluppo economico e con le modalità stabilite dalle Regioni entro il 30 settembre 2020.

Sulla scorta di tale disposizione, il Ministero dello Sviluppo Economico, all’interno delle Linee guida per il rinnovo delle concessioni di aree pubbliche – emanate nel novembre 2020 ed aventi a oggetto le concessioni per l’esercizio del commercio su aree pubbliche relativi a posteggi inseriti in mercati, fiere e isolati aventi scadenza entro il 31 dicembre 2020 – aveva previsto, in prospettiva semplificatoria, che i Comuni provvedessero d’ufficio all’avvio del procedimento di rinnovo e alla verifica del possesso, alla medesima data, dei requisiti previsti dalle medesime linee guida ai fini del rinnovo. L’amministrazione capitolina, in data 30 dicembre 2020, aveva pertanto puntualmente proceduto a comunicare l’avvio d’ufficio della procedura all’uopo necessaria; tuttavia, prima che l’iter esaurisse il suo corso, in data 15 febbraio 2021 l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato forniva al comune di Roma il parere AS1720 , nel quale l’AGCM evidenziava come, anche per via delle disposizioni del Decreto Rilancio, il quadro normativo in materia di commercio su aree pubbliche fosse divenuto «impenetrabile all’applicazione dei principi della concorrenza»: per tali ragioni, l’Autorità invitava il comune di Roma a disapplicare l’art. 1, co. 686, della Legge n. 145/2018 (Legge di Bilancio 2019) il quale, novellando gli articoli 7, lett. f-bis, e 16, comma 4-bis, del D. Lgs. 26 marzo 2010 n. 59 (di recepimento della Direttiva Bolkestein), aveva disposto la sottrazione del settore del commercio al dettaglio su aree pubbliche dall’ambito applicativo del diritto euro-unitario. Difatti, nella prospettiva dell’Antitrust, anche rispetto alle concessioni di posteggio per il commercio su area pubblica – al pari di quanto come noto avviene per le concessioni demaniali marittime – dovrebbe trovare applicazione la Dir. 2006/123/CE (c.d. Direttiva Bolkestein).

Con determina dirigenziale del 22 febbraio 2021, perciò, l’amministrazione tornava sui suoi passi, annullando in autotutela ex art. 21-nonies della L. 7 agosto 1990, n. 241, la comunicazione d’avvio del procedimento di rinnovo. La concessionaria, di conseguenza, ricorreva al T.A.R. Lazio, lamentando che non spettasse alle pubbliche amministrazioni il potere di disapplicare la normativa interna anti-comunitaria: tale prerogativa, nella ricostruzione da ella prospettata, spetterebbe unicamente al giudice, con effetti limitati alla singola causa. Inoltre, sempre nell’opinione della parte ricorrente, non sussisterebbero i presupposti per l’annullamento d’ufficio, richiesti dall’art. 21-nonies della l. 241/90, in quanto tale provvedimento non sarebbe stato anticipato da alcuna pronuncia passata in giudicato in merito al contrasto del decreto-legge 34/2020 con il diritto euro-unitario. 

Il T.A.R. Lazio, dopo aver ritenuto inammissibile, in via pregiudiziale, l’intervento ad adiuvandum della Federazione Italiana Venditori Ambulanti Confcommercio (Fiva) per carenza di interesse, rigettava il ricorso, considerando infondate le censure del ricorrente. Nel merito, il Tribunale rigettava innanzitutto la tesi secondo cui la P.A. non potrebbe disapplicare la normativa nazionale in contrasto con il diritto euro-unitario. In tema, venivano più specificamente richiamate le sentenze gemelle nn. 17 e 18 del 9 novembre 2021 del Consiglio di Stato in Adunanza Plenaria, riguardanti la materia delle concessioni demaniali marittime, in cui era stato come noto rilevato che il dovere di non applicazione della norma nazionale illegittima per violazione del diritto europeo si estende a tutte le articolazioni dello Stato membro, compresi gli enti territoriali, gli enti pubblici in generale ed i soggetti ad essi equiparati, e ciò non solo nel caso di regolamento, ma anche in ipotesi – quale quella della Direttiva Bolkestein – di direttiva “self executing”. D’altro canto, come rilevano i giudici del T.A.R. Lazio, opinare diversamente «significherebbe autorizzare la P.A. all’adozione di atti amministrativi illegittimi per violazione del diritto dell’Unione, destinati ad essere annullati in sede giurisdizionale, con grave compromissione del principio di legalità, oltre che di elementari esigenze di certezza del diritto».

La ricorrente, con memoria depositata in vista dell’udienza pubblica, censurava tuttavia l’estensibilità alla controversia in esame dei principi dell’Adunanza Plenaria, non essendo omogenee la fattispecie delle concessioni di spazi pubblici per attività di commercio e quella delle concessioni del demanio marittimo. In particolare, nel primo caso sarebbe difettato il requisito della «scarsità», richiamato dall’art. 12 della Direttiva Bolkestein quale presupposto per l’applicazione di procedure di selezione per il rilascio di autorizzazioni. Anche con riguardo a questo profilo, il T.A.R. richiama l’osservazione dell’Adunanza Plenaria nella sentenza 18/2021, secondo cui «il concetto di scarsità va, invero, interpretato in termini relativi e non assoluti, tenendo conto non solo della “quantità” del bene disponibile, ma anche dei suoi aspetti qualitativi». Detto in altri termini, non tutte le aree commerciali sono uguali e fungibili; ciascuna, invece, possiede una sua unicità, specie in un contesto quale è quello di Roma.

L’applicabilità anche agli spazi commerciali della Direttiva Bolkestein – aggiunge il T.A.R. Lazio -discende dalla natura «trasversale» della materia della tutela della concorrenza nel diritto euro-unitario. Quest’ultima deve permeare anche i settori nei quali l’Unione europea è priva di ogni competenza, imponendo l’indizione di gare pubbliche, in definitiva, ogniqualvolta possa ritenersi sussistente un’occasione di guadagno. Gli spazi commerciali, in quest’ottica, sono assimilabili alle spiagge: infatti, il rilascio della concessione di un «parcheggio a rotazione» non può non tener conto, in una considerazione olistica, che sul bene, o attraverso il medesimo, il concessionario andrà a svolgere un’attività lucrativa.

Infondata risulta essere parimenti la censura della ricorrente che contesta la validità dell’annullamento in autotutela. Il T.A.R., difatti, chiarisce che, per fondare il potere di autotutela, l’illegittimità del provvedimento non richiede di essere preventivamente affermata in giudizio: una tale impostazione, subordinando quel potere ad una sentenza di un giudice, pregiudicherebbe i principi di buon andamento, imparzialità ed economicità che costituiscono il fondamento dell’autotutela stessa. A voler proprio cercare una sentenza da porre a fondamento di essa, poi, si possono invocare proprio le decisioni 17 e 18 del 2021 dell’Adunanza Plenaria, che hanno dichiarato il contrasto con l’art. 49 TFUE e con l’art. 12 della dir. 2006/123/CE delle disposizioni di rinnovo automatico delle concessioni.

Da ultimo il T.A.R. Lazio, al pari di quanto già fatto dall’Adunanza Plenaria con le sentenze 17 e 18/2021, provvede a modulare gli effetti temporali della pronuncia. Così come i giudici di Palazzo Spada, in materia di concessioni balneari, avevano ritenuto di sospendere la disapplicazione della normativa nazionale anti-comunitaria fino al 31 dicembre 2023, al fine di assicurare alle amministrazioni i tempi «tecnici» per lo svolgimento delle gare e per consentire al legislatore la revisione del quadro normativo, così il T.A.R. precisa che la concessione oggetto del giudizio «mantiene efficacia fino al 31 dicembre 2023, previo accertamento della sussistenza degli ulteriori presupposti di legge». Dopo quella data la concessione cesserà di produrre effetti, ed eventuali nuove proroghe dovranno considerarsi senza effetto perché contrastanti con il diritto dell’Unione.

Tuttavia, c’è una differenza tra la sentenza in esame e quelle dell’Adunanza Plenaria: essa sta proprio nella diversa portata della proroga ope judicis. Nel caso delle sentenze gemelle, infatti, i giudici si erano riferiti alla pluralità delle «concessioni demaniali per finalità turistico-ricreative già in essere», mentre nella pronuncia del T.A.R. Lazio, più limitatamente, si è guardato alla sola «concessione oggetto del giudizio». Per le altre concessioni di spazi commerciali sorge dunque il dubbio di quale debba essere il comportamento delle amministrazioni, magari di Regioni diverse dal Lazio: disapplicare subito, o aspettare il 2024?

5. LE CASE DEL QUARTIERE DI TORINO 2.0 di Beatrice Tabacco

Le Case del Quartiere di Torino iniziano a svilupparsi tra il 2007 e il 2013 e rappresentano una novità dal punto di vista dell’amministrazione condivisa e del ripensamento degli spazi urbani in un’ottica di protagonismo della comunità. Sono spazi di uso pubblico che si propongono di superare le politiche settoriali, lavorando insieme ai cittadini per mettere in comunicazione centri e periferie. Le Case del Quartiere ospitano laboratori, sia professionali che non, oltre che percorsi e progetti educativi per ogni fascia d’età e corsi sportivi e artistici. In alcune case si cerca di istituire anche sportelli sanitari e psicologi e sportelli di orientamento direttamente in contatto con i servizi sociali della Circoscrizione.

Le Case del Quartiere rappresentano una risorsa per il territorio e per il Comune di Torino, ciò nonostante, è rilevante analizzare la sostenibilità economica e l’impatto che hanno sul territorio.

Per quel che riguarda la sostenibilità economica, il Comune di Torino non potrebbe supportare progetti come quelli delle Case del Quartiere senza l’aiuto della Compagnia di San Paolo. In un primo momento, la governance era il principalmente in capo all’amministrazione: oggi, la Compagnia di San Paolo ha sempre una maggiore forza decisionale. Per esempio, nel 2022 ha devoluto duecentocinquanta mila euro alla Casa del Quartiere di Mirafiori Sud.

I finanziamenti sono di diversa natura: pagamenti di consulenti, sostegno per i mutui accesi, finanche a finanziamenti in forma diretta. In questo modo, si sta andando ad eliminare il bisogno di un corpo intermedio, il Comune, che agisce come unica fonte di sostegno per i Progetti. L’unico elemento che non è in procinto di cambiamento è la proprietà dei beni immobili in cui si sviluppano le Case del Quartiere: queste rimangono ancora del Comune di Torino.

Le Case di Quartiere rappresentano comunque un modello positivo, che mira a cambiare il paradigma dell’amministrazione chiusa entro i propri uffici, ma che tenta di uscire per andare ad intercettare i bisogni del territorio.

La questione della replicabilità rimane dunque aperta, in quanto, ad oggi, sembrerebbe che senza il finanziamento della Compagnia di San Paolo progetti come il suddetto sarebbero irrealizzabili.

Un altro elemento fondamentale, che rivela l’altra faccia della medaglia, è la valutazione di impatto, che in questo caso viene realizzata da Torino Social Impact, una piattaforma progettuale di cui sono co-promotori la Città di Torino, la Camera di commercio e la Compagnia di San Paolo: le Case del Quartiere rappresentano la convergenza di interessi e progettualità di tutte e tre i soggetti.

La Città di Torino è dotata di un patrimonio immobiliare che ha bisogno dell’applicazione di metodologie tecnico-estimative volte alla sua gestione e valorizzazione, in coerenza con gli indirizzi di sviluppo territoriale, in modo da costituire, nell’ambito del contesto economico e sociale di riferimento, un elemento di stimolo e di sviluppo. Il patrimonio immobiliare comunale assume, infatti, una forte valenza di sviluppo sociale, di rigenerazione del territorio e di soddisfacimento degli interessi della collettività, i particolar modo nei casi in cui non sia suscettibile di impieghi diretti. Inoltre, la Città di Torino, nella sua qualità di ente deputato alla pianificazione urbanistica del territorio, percepisce il contributo di valorizzazione dovuto da privati, ai sensi dell’art. 52 comma 7 bis della Legge Urbanistica Regione Piemonte n°56/77 e s.m.i., per l’eventuale maggiore valore degli immobili a seguito di varianti al PRG.

Il Piano strategico pluriennale della Camera di commercio di Torino 2020 – 2024 approvato con deliberazione di Consiglio n. 21 del 15/12/2020 prevede la linea strategica 2.1.5 “Promuovere l’ecosistema per l’imprenditorialità e gli investimenti ad impatto sociale” finalizzata a sostenere la competitività delle imprese sociali del territorio tramite interventi mirati alla creazione e alla promozione dell’ecosistema dell’imprenditorialità a impatto sociale attraverso servizi, competenze, strumenti finanziari e progetti innovativi, al fine di posizionarsi nella mappa globale degli investimenti a impatto sociale.

Infine, La Fondazione Compagnia di San Paolo persegue tra i propri fini istituzionali lo sviluppo civile, culturale ed economico dei territori in cui opera e, come indicato nella propria programmazione pluriennale (DPP 2021-2024), promuove il suo impegno nel settore della rigenerazione urbana e territoriale anche attraverso la collaborazione con le istituzioni competenti. In particolare, Compagnia è orientata a esplorare modalità di promozione di iniziative che garantiscano inclusione sociale e che generino ricadute sociali, economiche e ambientali sul territorio.

Le valutazioni svolte hanno dimostrato quanto l’impatto delle Case del Quartiere sia positivo sul territorio sul quale insistono: tutte hanno avuto nell’annualità 2021-2022 più di 50 000 passaggi di tutte le fasce d’età (la Casa del Quartiere di San Salvario ne ha registrate 170 347) e offrono in media 17 000 ore di attività, la maggior parte delle quali sono gratuite.

Che le Case del quartiere abbiano un impatto sui territori è innegabile, ma la questione della sostenibilità rimane, ad oggi, ancora aperta. Alla luce dei dati qui presentati, sarebbe forse giusto chiedersi se il modello delle Case del Quartiere non sia replicabile al di fuori dell’ecosistema torinese e, se così dovesse rivelarsi, a quale costo e chi dovrebbe sostenere una tale spesa.

6. INCOSTITUZIONALITÀ DELLE NORME REGIONALI CHE OSTACOLANO LO SVILUPPO DELLE FER di Gaspare Mariani

In questi ultimi mesi stiamo assistendo alla formazione di un vero e proprio filone giurisprudenziale della Corte Costituzionale volto alla promozione del celere sviluppo delle energie rinnovabili. Rilevante in tal senso è in primis la pronuncia della Corte Costituzionale n. 121/2022 che dichiara incostituzionali gli artt 1 e 2 della legge della regione Basilicata n.30/2021. La Regione aveva introdotto rilevanti limitazioni per gli impianti fotovoltaici: potenza massima di 10 MW per le aree cosiddette “brownfield”, ovvero le zone “già degradate da attività antropiche, pregresse o in atto; potenza massima di 3 MW, incrementabile del 20% ove i progetti comprendano interventi a supporto dello sviluppo locale per le aree “greenfield”a eccezione delle aree industriali per le quali non sono previsti limiti di potenza. All’art 2 della legge regionale, inoltre, veniva previsto per gli impianti eolici  uno studio anemologico da includere nel progetto definitivo, effettuato da società certificate e/o accreditate, avente ad oggetto rilevazioni e raccolta di dati sul vento per la durata di almeno tre anni (a fronte della precedente durata di 1 anno). La Corte ha ritenuto che “i canoni ermeneutici sopra evocati assegnano alle disposizioni in esame il senso di una cristallizzazione per legge di requisiti, che comprime la valutazione in concreto riservata al procedimento autorizzativo, in aperto contrasto con i principi fondamentali della materia concorrente produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia” (violazione dell’art 117 comma 3 della Costituzione) . Questi limiti particolarmente stringenti non solo avrebbero condizionato l’avvio dell’iter autorizzativo ma avrebbero inevitabilmente precluso anche l’esito positivo.

Un altro caso di censura costituzionale per violazione dell’art 117 comma 3 della Costituzione si è avuto con sentenza 221/2022 da parte della Corte Costituzionale contro l’art 75 della legge regionale del Lazio n. 14/2021. Il legislatore regionale introduceva una sospensione dei procedimenti autorizzativi per la costruzione ed esercizio di impianti alimentati da fonti rinnovabili per otto mesi a decorrere dalla data di entrata in vigore della legge regionale, in attesa dell’individuazione da parte dei Comuni delle aree idonee. Mentre da una parte il governo sosteneva il grave pregiudizio che la sospensione avrebbe avuto sull’iniziativa economica inerente le FER, l’avvocatura regionale del Lazio sosteneva che il termine sospensivo di otto mesi fosse un termine massimo e comunque volto alla tutela dell’ambiente. La Corte Costituzionale con la sentenza suddetta, oltre a ribadire la necessaria conformità della normativa regionale a quella statale in materia di energia, ha evidenziato l’importanza del momento di dialogo procedimentale tra amministrazione e privato istante e la perentorietà dei termini previsti per la conclusione del procedimento (90 gg); termini che non sono posti solo a tutela dei privati ma anche a garanzia del buon andamento della pubblica amministrazione.

Un’ulteriore censura di notevole importanza si è avuta con la sentenza 77/2022 della Corte Costituzionale contro l’art 4 della legge regionale dell’Abruzzo 8/2021. Anche in questo caso ci troviamo davanti a una moratoria delle procedure autorizzative in corso in attesa della definizione regionale delle aree idonee.

Per la Corte Costituzionale, la sospensione (che riguarda impianti di produzione di energia eolica di ogni tipologia, le grandi installazioni di fotovoltaico posizionato a terra e di impianti per il trattamento dei rifiuti inclusi quelli soggetti ad edilizia libera) viola i principi fondamentali sulla celerità delle procedure amministrative. Le Regioni in sostanza con apposita istruttoria dovrebbero limitarsi a fare una ricognizione sulla tutela dell’ambiente, sul patrimonio artistico e storico e sulla biodiversità al fine di segnalare, in prospettiva acceleratoria, l’elevata probabilità di esito negativo delle valutazioni in sede di autorizzazione. L’individuazione di aree idonee e non opera quindi come valutazione di “primo livello” spettando poi al procedimento di autorizzazione la verifica delll’effettiva realizzabilità. Si segnala che la decisione Corte Costituzionale, depositata il 25 marzo 2022 ma intervenuta l’8 febbraio dello stesso anno, ha dichiarato l’illegittimità dell’articolo 4 della legge 8/2021 prima che intervenissero le modifiche apportate dalla legge regionale dell’Abruzzo 5/2022 che dal 19 marzo 2022 ha abrogato la disposizione normativa in questione sostituendola con la nuova. Quest’ultima elimina qualunque moratoria o sospensione delle autorizzazioni e prevede solo che siano i Comuni, entro il 31 maggio 2022, a deliberare per individuare le zone del territorio comunale inidonee all’installazione degli impianti da fonti rinnovabili limitatamente alle zone agricole caratterizzate da produzione agro-alimentari di qualità.

Diverso,  invece,  è  il  caso  in  cui  l’intervento  legislativo  regionale,  come  in  una  questione esaminata  dalla Corte Costituzionale con  la  sentenza  n.  11  del  2022,  abbia  la  finalità  di  anticipare,  sul  piano temporale l’efficacia  dell’atto  che  individua  i  siti  non  idonei. Nel dettaglio parliamo dell’art 2 della legge regionale della toscana  73/2020. Qui la regione rende immediatamente efficace l’individuazione delle aree non idonee per l’istallazione di impianti a energia geotermica e applicabile tale disciplina ai procedimenti in corso. Tale  anticipazione  dell’efficacia  si  pone in linea di continuità con le esigenze di celerità e non incide sulla natura dell’atto amministrativo di programmazione, il quale non preclude eventuali differenti valutazioni effettuate in concreto nell’ambito del procedimento autorizzativi.

7. IL REGOLAMENTO SULLE SOVVENZIONI ESTERE DISTORSIVE DEL MERCATO UE: QUESTIONI APERTE E NUOVE PROSPETTIVE PER IL GOLDEN POWER di Matteo Farnese

Il 14 dicembre 2022 è stato approvato dal legislatore europeo il Regolamento Ue n. 2560, relativo alle sovvenzioni estere distorsive del mercato interno (Regolamento), conseguente al Libro bianco presentato il 17 giugno 2020 e alla proposta normativa avanzata il 5 maggio 2021. Si tratta di un atto molto importante dal momento che per la prima volta l’Unione europea si interessa degli aiuti concessi da Stati extra-Ue in favore di imprese che operano nel mercato interno europeo. La sua gestazione ha sollecitato grande interesse. Nel corso dell’iter di approvazione, esso è stato quindi oggetto di numerosi contributi da parte di istituzioni europee e nazionali, solo in parte recepiti. I principali rilievi hanno riguardato cinque aspetti, che meritano di essere evidenziati giacché preludono a successivi interventi di completamento del quadro normativo e a questioni pratiche che con ogni probabilità si porranno presto all’attenzione dei vari soggetti interessati: il ruolo degli Stati Membri nelle procedure di controllo, i meccanismi di semplificazione delle procedure, la trasparenza dell’azione della Commissione, i meccanismi di enforcement rispetto a soggetti pubblici esterni e il rapporto con altre discipline regolatorie del mercato interno, in primis con quella relativa al golden power, rispetto alla quale il Regolamento apre nuove prospettive di sviluppo.

I primi tre sono stati sensibilmente migliorati. Con riguardo al ruolo degli Stati Membri nelle procedure di controllo, rispetto all’esigenza di un loro più forte coinvolgimento, il Regolamento prevede ora una procedura consultiva che precede l’adozione di decisioni, anche provvisorie, da parte della Commissione per mezzo di un Comitato formato da rappresentanti degli Stati Membri. Inoltre, è prevista la possibilità per la Commissione di istituire un meccanismo di cooperazione al fine di applicare più efficacemente il Regolamento. È stato quindi introdotto un meccanismo di coordinamento organizzativo e funzionale, che potrà essere ulteriormente perfezionato dalla Commissione, anche avvalendosi dei modelli già sperimentati, non ultimo nell’ambito della disciplina sul golden power.

Con riguardo ai meccanismi di semplificazione delle procedure, rispetto alla critica di proliferazione di oneri amministrativi a carico delle imprese, si è agito seguendo tre direttrici. In primo luogo, sono stati ridotti i termini di alcuni procedimenti: in particolare, per la procedura di controllo avviata d’ufficio è ora previsto un termine di 18 mesi dall’inizio dell’indagine approfondita (art. 11, par. 5) e per la procedura di controllo degli appalti pubblici il termine dalla notifica è stato ridotto a 110 giorni (art. 30, par. 5). In secondo luogo, sono stati previsti alcuni casi in cui si esclude l’obbligo di notifica, riconducibili a ipotesi di salvataggio delle imprese o di mera partecipazione finanziaria in esse, non finalizzata alla determinazione di comportamenti concorrenziali (art. 20, par. 4). In terzo luogo, si conferisce alla Commissione europea il potere di adottare atti di esecuzione al fine di introdurre procedure di controllo semplificate per le concentrazioni o la partecipazione in procedure di appalto pubblico (art. 47, par. 1).

Con riguardo al profilo della trasparenza dell’azione della Commissione, rilevano almeno due profili. In primo luogo, il Regolamento riconosce ora all’impresa oggetto di indagine il diritto di accedere al fascicolo della Commissione al fine di elaborare le proprie osservazioni sui motivi in base ai quali si intende adottare la decisione (art. 42). Questo presidio di garanzia, tuttavia, incontra forti limitazioni, soprattutto in merito all’impossibilità di accedere allo scambio di informazioni tra Stati Membri e Commissione. Il diritto di accesso è, inoltre, subordinato al legittimo interesse delle imprese che forniscono le informazioni alla Commissione su presunte sovvenzioni estere distorsive del mercato interno alla riservatezza dei segreti aziendali o di altre informazioni riservate. Tali limitazioni potrebbero sollevare dubbi in merito alla effettiva portata garantistica dell’istituto. Infatti, l’accesso dell’impresa oggetto di indagine potrebbe ridursi a informazioni parziali o, comunque, poco rilevanti ai fini della formulazione delle osservazioni difensive.

In secondo luogo, risultano poco chiari i criteri posti alla base del bilanciamento operato dalla Commissione per analizzare l’effetto distorsivo di una sovvenzione estera nel mercato interno. In particolare, non sono stati specificati gli effetti positivi, ossia i benefici derivanti dall’operazione, che possono essere oggetto di tale bilanciamento. A tal proposito, la Commissione, con la dichiarazione C 491/8 del 23 dicembre 2022, si è impegnata a chiarire tale aspetto entro 12 mesi dalla data di applicazione delle disposizioni. È comunque ragionevole ritenere che la disciplina degli aiuti di Stato possa fungere da modello per l’elaborazione dei suddetti criteri.

Gli ultimi due aspetti rimangono ancora più problematici. In relazione ai meccanismi di enforcement rispetto a soggetti pubblici esterni, la proposta di Regolamento non ha registrato modifiche significative. Concreti dubbi si pongono, infatti, sulla possibilità per la Commissione europea di svolgere indagini complete ed efficaci delle sovvenzioni disposte da soggetti pubblici extra-Ue nel caso in cui questi non collaborino al controllo. La tematica in esame risulta di fondamentale importanza al fine di scongiurare l’eventualità che la Commissione adotti decisioni in cui le considerazioni di carattere politico possano prevalere sull’opportunità di sviluppo per il mercato interno. Da questo punto di vista, è ragionevole ritenere che sarà importante stabilire degli accordi con i governi extra-Ue, sul modello di quanto già sperimentato nell’ambito della disciplina antitrust.

Infine, risultano di grande interesse i riferimenti contenuti nel Regolamento alla disciplina del golden power di cui al Regolamento Ue 2019/452, al fine di assicurare il necessario coordinamento dei procedimenti di controllo nazionali ed europei nei confronti di una medesima operazione. Ai sensi dell’art. 10, par. 2, del Regolamento, qualora la Commissione abbia avviato una procedura volta a verificare la sussistenza di una sovvenzione distorsiva, essa è tenuta a comunicare tale avvio agli Stati membri che abbiano notificato a loro volta l’avvio di una procedura nazionale di controllo nei confronti della stessa operazione. In questo caso, la comunicazione della presenza di un procedimento di controllo su presunte sovvenzioni estere distorsive può svolgere una duplice funzione. Da un lato, rappresenta un indicatore che l’autorità nazionale può tenere in considerazione nella valutazione dell’investimento estero diretto. Dall’altro lato, permette un maggior coordinamento tra le due discipline, soprattutto con riguardo agli effetti di eventuali provvedimenti adottati a conclusione dei rispettivi controlli. Infatti, alcune possibili misure di riparazione adottabili in applicazione della disciplina in esame, come la cessione di determinate attività o l’intervento sulla struttura di governance dell’impresa, sono sovrapponibili alle condizioni o prescrizioni imponibili ai sensi della normativa golden power. In sede di applicazione, forme di coordinamento sono senz’altro utili sia per le autorità pubbliche, sia per le imprese interessate al fine di scongiurare disallineamenti e assicurare certezza del diritto. È ragionevole quindi prevedere che da questo punto di vista vi possano essere ulteriori sviluppi su iniziativa delle autorità pubbliche europee e nazionali, entrambe interessate ad acquisire elementi di valutazione utili al miglior esercizio delle rispettive prerogative.

In definitiva, il Regolamento in esame rappresenta uno strumento molto utile a completare il panorama delle discipline regolatorie del mercato interno, assicurando l’obiettivo di level playing field attraverso poteri di controllo affidati alla Commissione. I rilievi evidenziati nel corso dell’iter di approvazione del Regolamento sono stati trattati in modo parziale dal legislatore europeo, che spesso ha preferito demandare alla Commissione il compito di intervenire con atti successivi, anche al fine di tener conto delle esigenze pratiche riscontrabili in sede di applicazione. In questo contesto, assume particolare importanza il rapporto con le altre discipline regolatorie del mercato interno, prima tra tutte quella del golden power. In particolare, il rapporto con la disciplina sul controllo degli investimenti esteri diretti sembra più stretto di quanto si possa immaginare a una prima lettura, soprattutto al fine di riprendere e adattare strumenti utili a sviluppare la normativa in esame. Un fattore da prendere in considerazione a tal proposito è la concreta dinamica del controllo degli investimenti esteri diretti nei singoli Stati Membri. Infatti, i vari sistemi nazionali di golden power, nonostante l’intervento europeo del 2019, restano profondamente diversi. Tale diversità, spesso stigmatizzata quale fonte di forte disomogeneità tra i regimi di controllo, permette però alla Commissione di attingere a più esperienze per ricercare soluzioni utili a colmare le lacune del Regolamento.

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