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LABORATORIO PER L’INNOVAZIONE PUBBLICA 4/2022

INDICE

1.      Ancora due estati al mare: il c.g.a.r.s. applica la proroga delle concessioni balneari fino al 31 dicembre 2023 di Andrea Nardone
2.     L’autorizzazione integrata ambientale al vaglio della corte costituzionale: tra esigenze di semplificazione e tutela dell’ambiente di Giulia Moscaroli
3. L’ulteriore restringimento delle maglie della disciplina golden power operato dal c.d. decreto ucraina: verso la creazione di un’autorità nazionale di settore? di Francesco di Carlo
4. La Repubblica Ellenica sotto il controllo del greco. All’ombra del Partenone si lotta contro la corruzione di Eugenio Parisi
5. La giurisdizione sull’attività di controllo dell’asl rispetto all’erogazione di prestazioni sanitarie private di Francesca Saveria Pellegrino
6. La posizione dell’EMA e dell’ECDC sulla quarta dose di vaccino contro il Covid-19 di Matteo Santarelli
7. Amministrazione condivisa: Roma firma il suo primo Patto di collaborazione di Beatrice Tabacco
8. Primi orientamenti giurisprudenziali sul golden power: la difficile ricerca di un punto di equilibrio tra prerogative governative e garanzie delle imprese di Matteo Farnese


1. Ancora due estati al mare: il c.g.a.r.s. applica la proroga delle concessioni balneari fino al 31 dicembre 2023 di

A cura di Andrea Nardone

Con sentenza 24 gennaio 2022 n. 116, il Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione siciliana, a seguito della restituzione degli atti, ha fatto applicazione dei principi enunciati in materia di concessioni marittime dall’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato nella sentenza 9 novembre 2021 n. 17, fornendo alcune istruzioni operative.

La società concessionaria Comet S.r.l. in primo grado aveva impugnato innanzi al T.A.R. Catania il decreto e gli atti ad esso prodromici con i quali l’Autorità di Sistema portuale dello Stretto (d’ora in poi AdSP) aveva rigettato l’istanza proposta dalla stessa Comet per «la estensione della validità della concessione demaniale marittima, ai sensi della legge 30 dicembre 2018, n. 145». La società aveva quindi domandato l’accertamento «del diritto al riconoscimento dell’estensione della durata della concessione demaniale marittima».

A fondamento della propria decisione l’AdSP aveva posto il contrasto insanabile della normativa interna con i principi di matrice euro-unitaria di cui all’art 49 TFUE (libertà di stabilimento) e all’art. 12 della dir. 2006/123/CE (c.d. Direttiva Bolkestein), un contrasto tale da rendere a suo giudizio necessaria la disapplicazione della legge nazionale in questione. In effetti, al co. 682 dell’art. 1, la citata legge n. 145/2018 operava una proroga di quindici anni – e quindi fino al 2033 – delle concessioni in essere alla data di entrata in vigore della stessa.

Il T.A.R. Catania, in estrema sintesi, ha riconosciuto la bontà del provvedimento di rigetto dell’AdSP, negando che ad essa, in quanto amministrazione e non organo giurisdizionale, fosse preclusa la disapplicazione di una normativa interna (come prospettato invece da tre pronunce coeve del novembre 2020 del T.A.R. Lecce)[1], riconoscendo l’applicabilità dei principi di matrice euro-unitaria in tema di libera prestazione dei servizi ed escludendo la configurabilità, nel caso di specie, di una situazione di legittimo affidamento da tutelare.

La società Comet S.r.l. proponeva appello: in particolare, oltre a lamentati difetti di natura procedimentale e di istruttoria, i motivi di doglianza riguardavano l’applicazione delle regole in tema di prevalenza del diritto dell’Unione Europea, anche alla luce del fatto che la proroga di cui alla legge n. 145/2018 era stata successivamente ribadita e rafforzata dal legislatore nazionale (art. 182 del DL n. 34/2020, convertito in L. n. 77/2020 e art. 100 del DL n. 104/2020).

In ragione della rilevanza economico-sociale della questione, il Presidente del Consiglio di Stato deferiva l’affare, ai sensi dell’art. 99, co. 2 c.p.a., all’Adunanza Plenaria, che si pronunciava con sentenza n. 17/2021. Con le sue cinquanta pagine, a parere di chi scrive la sentenza ha una vocazione paranormativa, per le importanti implicazioni che è possibile trarne per la disciplina del settore. In sintesi, l’Adunanza Plenaria ha stabilito che le norme legislative nazionali che hanno disposto (e che in futuro dovessero disporre) proroghe automatiche delle concessioni demaniali marittime per finalità turistico-ricreative sono in contrasto con il diritto euro-unitario – segnatamente con l’art. 49 TFUE e con l’art. 12 della direttiva 2006/123/CE (la quale è applicabile ratione materiae e deve considerarsi self-executing) – e, pertanto, dovranno essere disapplicate, sia dall’autorità giudiziaria sia dalla pubblica amministrazione. Gli atti di proroga contenuti in provvedimenti della P.A. o in un giudicato favorevole sono travolti, senza la necessità che l’amministrazione ricorra in autotutela, in quanto l’effetto è disposto direttamente dalla legge, che ha «nella sostanza legificato i provvedimenti di concessione prorogandone i termini di durata». Da ultimo l’Adunanza Plenaria, a riprova della vocazione paranormativa della sentenza, ha deciso che «al fine di evitare il significativo impatto socio-economico che deriverebbe da una decadenza immediata e generalizzata di tutte le concessioni in essere, di tener conto dei tempi tecnici perché le amministrazioni predispongano le procedure di gara richieste e, altresì, nell’auspicio che il legislatore intervenga a riordinare la materia[…], le concessioni demaniali per finalità turistico-ricreative già in essere continuano ad essere efficaci sino al 31 dicembre 2023». Trattasi di una decisione che il Consiglio di Stato assume all’esito di un delicato bilanciamento tra interessi contrapposti: da un lato le esigenze della concorrenza e della libertà di stabilimento, dall’altro il legittimo affidamento ingenerato nei concessionari dalle reiterate proroghe ex lege. Rimane tuttavia auspicabile un intervento organico del legislatore: l’occasione per mettere ordine nella materia potrebbe essere fornita dalla delega contenuta nell’art. 2 del c.d. D.D.L. Concorrenza (A.S. 2469) per la mappatura e la trasparenza dei regimi concessori di beni pubblici. Va segnalato, peraltro, che un conflitto tra normativa interna e normativa euro-unitaria era già stato censurato nel 2016 dalla Corte di Giustizia nella sentenza Promoimpresa.

La sentenza n. 116/2022 del C.G.A.R.S. trae ancora le mosse dall’iniziativa della società Comet S.r.l., che, a seguito della restituzione degli atti da parte del Consiglio di Stato, con memoria aveva precisato le proprie richieste alla luce dei principi affermati dall’Adunanza Plenaria. La società ribadiva la denuncia di un deficit istruttorio; lamentava la violazione delle guarentigie procedimentali (l’AdSP non avrebbe dato seguito alle memorie procedimentali ex art. 10-bis L. n. 241/1990 presentate in seguito al preavviso di rigetto); sosteneva, infine, che era stato omesso un parere obbligatorio del Comitato di gestione, previsto ai sensi della L. n. 84/1994.

In sede di discussione orale della causa nella pubblica udienza del 13 gennaio 2022 l’avvocato dell’appellante chiedeva, in subordine, un accoglimento parziale della domanda con proroga della concessione fino al 31 dicembre 2023. Infatti, l’attività imprenditoriale della società non era mai stata interrotta e risultava tuttora in corso.

Il Collegio, rigettando nel merito le censure sull’illegittimità del provvedimento dell’AdSP, proprio tenendo conto del fatto che l’attività non fosse stata mai interrotta, ha ritenuto di accogliere parzialmente la domanda di accertamento del diritto e ha pertanto riconosciuto l’efficacia della concessione demaniale marittima sino al 31 dicembre 2023. Come a dire: la proroga prospettata dal Consiglio di Stato vale per tutti. Sino a quella data i concessionari demaniali si troveranno ad essere “tollerati”, in una situazione analoga a quella degli occupanti abusivi di un alloggio in attesa di una soluzione. In realtà, non sembra che dalla sentenza 17/2021 del Consiglio di Stato discendano gli effetti di una vera e propria occupazione abusiva. Difatti, non ne deriva l’effetto previsto dall’art. 8 del d.l. n. 400/1993, recante Disposizioni per la determinazione dei canoni relativi a concessioni demaniali marittime, che prevede una maggiorazione del 200% e del 100% del canone, rispettivamente, per l’occupazione senza titolo o difforme dal titolo di un bene demaniale marittimo; né tantomeno è configurabile una responsabilità penale del concessionario (si veda Cass. Pen., Sez. III, 14 maggio 2018, n. 21281, in cui si ritenne sussistente il reato di abusiva occupazione ex artt. 54 e 1161 del Codice della navigazione a seguito della disapplicazione della proroga legale a suo tempo disposta dal D.L. 26 giugno 2016, n. 113). I concessionari, invece, dovranno corrispondere il corrispettivo soltanto nella misura convenuta fino alla riconsegna, senza alterare i luoghi, così come non potranno effettuare investimenti o ipotizzare modifiche.

L’accoglimento parziale, precisano immediatamente i giudici, è dovuto al decisum dell’Adunanza Plenaria, all’esito di una questione di particolare complessità (il giudice, infatti, ha compensato le spese del doppio grado di giudizio) e «non intacca, sotto alcun profilo, la legittimità del provvedimento impugnato, con conseguente esclusione di ogni profilo di colpa dell’Amministrazione».

Quanto ai lamentati vizi procedimentali, il Collegio ha ritenuto infondate le doglianze. Le guarentigie della partecipazione procedimentale di cui all’art. 10-bis L. n. 241/1990, che discendono dall’art. 97 della Costituzione, devono infatti essere interpretate in termini sostanzialistici, come da consolidata giurisprudenza: violazione sostanziale delle stesse si ha solo quando la loro inosservanza abbia cagionato un effettivo e oggettivo pregiudizio alle ragioni del privato, e questo anche considerata la «dequotazione» dei vizi formali dell’atto ad opera dell’art. 21-octies della l. n. 241/1990. Nel caso di specie, la formale disamina della memoria endoprocedimentale dell’appellante non avrebbe portato la stessa ad ottenere il bene della vita; lo stesso dicasi a proposito del parere del Comitato di gestione: quand’anche fosse stato assunto, il provvedimento non avrebbe potuto essere diverso.

2. L’autorizzazione integrata ambientale al vaglio della corte costituzionale: tra esigenze di semplificazione e tutela dell’ambiente

A cura di Giulia Moscaroli

Con la sentenza n. 233 del 2021 la Corte Costituzionale si è pronunciata sul giudizio di legittimità costituzionale dell’art 20, comma 1, della legge della Regione Lombardia 21 maggio 2020, n. 11 (Legge di semplificazione 2020), il quale prevede che, per consentire una maggior rapidità nell’istruttoria dei procedimenti di Autorizzazione Integrata Ambientale (AIA), nell’ambito dei riesami periodici previsti in caso di emanazione di nuove conclusioni sulle BAT (Best Available Techniques), la conferenza di servizi sia indetta in forma semplificata e in modalità asincrona, purché non vi siano modifiche che implichino l’attivazione di procedure di Valutazione di Impatto Ambientale (VIA).

In particolare, il Presidente del Consiglio dei ministri ha promosso la questione di legittimità del menzionato articolo per violazione degli artt. 97 e 117, secondo comma, lettere m) ed s), della Costituzione, in relazione all’art 29-quater, comma 5, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n.152 (Codice dell’ambiente).

Nella prospettiva della Presidenza del Consiglio dei ministri, tale previsione normativa non sarebbe coerente con quanto stabilito dal legislatore nell’art 29-quater del Codice dell’ambiente, che invece impone la convocazione in modalità sincrona per le conferenze di servizi decisorie in materia di AIA. Di conseguenza la legge regionale sarebbe in contrasto con la disciplina costituzionale, che attribuisce allo Stato la competenza esclusiva sulle materie di tutela dell’ambiente e dell’ecosistema (art 117, secondo comma, lettera s, Cost) e la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale (art 117, secondo comma, lettera m, Cost).

Nel quadro delineato dalla legislazione statale, la regione Lombardia non potrebbe derogare alle regole di protezione del territorio per realizzare intenti di semplificazione e di velocizzazione delle decisioni. La conferenza in simultanea, prevista dal legislatore statale, risponderebbe all’esigenza di partecipazione concomitante delle amministrazioni coinvolte, essendo necessario approfondire le diverse posizioni in tema di tutela dell’ambiente e della salute.

La Regione Lombardia ritiene infondate le censure del ricorrente, in quanto questi avrebbe dovuto tener conto dell’art 7, comma 7, del Codice dell’ambiente, il quale autorizza le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano a disciplinare con proprie leggi e regolamenti le competenze proprie e quelle degli altri enti locali per il rilascio di provvedimenti AIA. Inoltre, non sarebbe stata violata la competenza statale, poiché non si sarebbe introdotto nessun nuovo modello procedimentale alternativo a quelli già stabiliti dalla legge dello Stato, in quanto l’art 20, comma 1, impugnato fa diretto riferimento all’art 14-bis Legge 7 agosto 1990, n. 241. Parimenti non si abbasserebbero gli standard qualitativi dei procedimenti amministrativi in materia ambientale, in quanto la legge regionale avrebbe fissato regole capaci di migliorare i livelli delle prestazioni pubbliche.

In relazione alla dedotta violazione dell’art 97 della Costituzione, la conferenza di servizi di cui all’art 14-bis della legge n. 241 del 1990 renderebbe i procedimenti più snelli e rapidi, realizzando proprio il principio di “buon andamento” previsto dalla norma.

Le questioni esaminate dalla Corte riguardano la procedura da eseguire per effettuare il riesame dell’Autorizzazione Integrata Ambientale (AIA).

L’Autorizzazione Integrata Ambientale (AIA), come analizzato dalla Corte, è un istituto di derivazione europea, previsto in origine dalla direttiva 96/61/CE del Consiglio, del 24 settembre 1996, sulla prevenzione e la riduzione integrate dell’inquinamento; l’istituto è oggi disciplinato dalla direttiva 2010/75/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 24 novembre 2010, relativa alle emissioni industriali. Esso è stato recepito dal legislatore nazionale nel Codice dell’ambiente, che ne disciplina funzione, contenuti, ma anche procedura, fase decisoria ed effetti.

In particolare, in relazione all’esercizio di impianti che producano emissioni inquinanti, l’AIA contiene le prescrizioni che devono essere rigorosamente rispettate, al fine di evitare, o quantomeno ridurre, tali emissioni. Si tratta di un provvedimento avente la funzione di semplificare il regime autorizzatorio vigente per determinate attività potenzialmente lesive di diversi fattori ambientali. Infatti, l’interessato invece di richiedere distinte autorizzazioni, deve ottenerne una unica, che consideri unitariamente i diversi profili.

Interviene in un momento successivo rispetto alla Valutazione di Impatto Ambientale (VIA), quando l’attività in questione sia svolta attraverso un’opera soggetta ad essa. Se la VIA riguarda “profili strutturali e localizzativi”, l’AIA incide sull’aspetto gestorio, predisponendo condizioni di esercizio che hanno come finalità quella di ridurre le conseguenze negative che da dette attività possano derivare. Queste condizioni vengono definite “avendo a riferimento le Conclusioni sulle BAT”, contenute nei documenti della Commissione Europea e nelle linee guida ministeriali.

Le conclusioni sulle BAT rappresentano documenti contenenti la sintesi delle migliori soluzioni tecniche, impiantistiche, gestionali e di controllo disponibili e vengono elaborate a livello europeo.

La Corte Costituzionale riconferma l’AIA come un «un provvedimento per sua natura “dinamico”, in quanto contiene un programma di riduzione delle emissioni, che deve essere periodicamente riesaminato, al fine di recepire gli aggiornamenti delle tecnologie cui sia pervenuta la ricerca scientifica e tecnologica nel settore». Al suo interno, infatti, «devono trovare simultanea applicazione i princìpi di prevenzione, precauzione, correzione alla fonte, informazione e partecipazione, che caratterizzano l’intero sistema normativo ambientale».

Tramite l’autorizzazione in questione si individua, infatti, un punto di equilibrio tra rischi che derivano dallo svolgimento di attività industriali e accettabilità degli stessi e si possono, quindi, coniugare la tutela ambientale e la sostenibilità dell’attività.

L’esigenza di adeguamento costante delle attività autorizzate al progresso scientifico e tecnologico si traduce nella necessità di un riesame delle condizioni stabilite in sede di rilascio del provvedimento entro quattro anni dalla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea delle decisioni relative alle conclusioni sulle BAT riferite all’attività principale di installazione. Le questioni in esame riguardano proprio il procedimento che l’amministrazione deve seguire a seguito del rilascio delle nuove conclusioni, ai fini del riesame dell’AIA.

Alla luce di quanto esposto, la Corte Costituzionale ritiene fondata l’eccezione di violazione dell’art 117, secondo comma, lettera s), Cost: la disposizione impugnata contrasta con l’art 29-quater, comma 5, Codice dell’ambiente.

Il legislatore nazionale ha previsto, all’art 29-octies, comma 10, cod. ambiente, anche per il riesame dell’AIA la convocazione di una conferenza di servizi, in quanto procedura funzionale ad un “raccordo collaborativo” tra i diversi enti e amministrazioni coinvolti nel rilascio dell’autorizzazione, potendosi così realizzare il coordinamento e la mediazione degli interessi in gioco e individuare l’interesse pubblico primario e prevalente.

La conferenza semplificata, prevista dall’art 14-bis della legge n. 241 del 1990, si svolge trasmettendo in via telematica istanze, comunicazioni ed atti di assenso tra le amministrazioni coinvolte, senza una loro contestuale partecipazione. Al contrario, la conferenza sincrona richiede una discussione contestuale, in un’apposita riunione, anche in forma telematica, e quindi un confronto più approfondito sulle questioni di interesse. Questa seconda tipologia sarebbe stata scelta dal legislatore per la complessità delle procedure in esame e per la partecipazione di amministrazioni che rappresentano interessi sensibili, quali la tutela della salute umana, dell’ambiente e dell’ecosistema.

La scelta della regione Lombardia si pone, quindi, in contrasto con il sistema delineato dal legislatore nazionale, il quale vanta sulla materia una competenza esclusiva. Non vale quanto dedotto dalla resistente sulla circostanza che l’intervento normativo regionale permetteva di semplificare procedimenti di per sé non complessi, in relazione ai quali vincolare il procedimento ad una conferenza di servizi simultanea potrebbe avere l’effetto di rallentare in modo non efficace i tempi del procedimento.

La Corte sottolinea come “quando si tratta delle procedure di tutela ambientale, il valore della semplificazione s’invera nella definizione di modelli organizzativi fondati sull’efficiente collaborazione e sul coordinamento delle competenze, non certo sulla mera velocizzazione delle tempistiche. La protezione dell’ambiente non è, d’altronde, contrapposta alla semplificazione, ma è anzi perseguita proprio attraverso una migliore qualità ed efficienza dei procedimenti”.

La Corte dichiara, pertanto, l’illegittimità costituzionale dell’art 20, comma 1, della legge reg. Lombardia, n. 11 del 2020, per violazione dell’art 117, secondo comma, lett s), Cost: resta precluso al legislatore regionale introdurre modelli procedimentali incompatibili con quelli definiti a livello statale.

Con la sentenza in esame la Corte Costituzionale ha inteso affermare i seguenti principi:

In materie sensibili, quale quella della tutela ambientale, giusta la previsione dell’art. 117, comma, lettera s) Cost., lo Stato ha legislazione esclusiva.

Pertanto le regioni, nell’emanazione di norme afferenti i procedimenti autorizzativi di impianti che abbiano impatto con l’inquinamento ambientale (AIA), debbono attenersi a quanto previsto dal Codice dell’ambiente, il quale (art 29-quater) prevede la convocazione, da parte dell’autorità competente, di apposita conferenza di servizi in forma sincrona.

Ad avviso della Corte, tale procedura è funzionale al necessario “raccordo collaborativo” tra i vari enti che concorrono al rilascio dell’autorizzazione e la parte interessata.

La legge della Regione Lombardia n. 11/2020, che all’art. 20 comma 1 prevede che la conferenza di servizi (in tema di riesame di AIA) è indetta in forma semplificata ed in modalità asincrona, appare quindi costituzionalmente illegittima, contrastando con la norma dello Stato.

Sottolinea la Corte che, quando si tratta di procedure di tutela ambientale, la semplificazione delle procedure va ad incidere direttamente sull’efficiente collaborazione e sul coordinamento delle competenze (che di fatto vengono meno), non assumendo autonomo e tutelabile valore la semplice velocizzazione delle tempistiche.

3. L’ulteriore restringimento delle maglie della disciplina golden power operato dal c.d. decreto ucraina: verso la creazione di un’autorità nazionale di settore?

A cura di Francesco Di Carlo

  1. Gli eterogenei contenuti del c.d. decreto Ucraina

Il c.d. decreto Ucraina ha recentemente rafforzato la normativa primaria che regola l’istituto del golden power[2].

L’atto normativo in questione contiene diversi provvedimenti – che spaziano dall’accoglienza dei rifugiati a misure per il settore dell’istruzione –, il più discusso dei quali è senz’altro l’invio di armi all’Ucraina. Tale ultima misura è stata per giorni al centro del dibattito pubblico, inducendo il Governo a porre la questione di fiducia sul decreto e a modificare taluni aspetti delle disposizioni relative all’aumento della spesa militare sino al 2% del Pil.

Per quanto attiene alle modifiche in materia di golden power, l’intentio legis è quella di intervenire per rafforzare la disciplina del controllo degli investimenti stranieri in Italia, finalizzato all’esercizio dei poteri speciali spettanti al Governo, alla luce dell’accresciuta strategicità di alcuni settori e della necessità di potenziare le strutture amministrative coinvolte[3].

Si segnala, inoltre, che il Titolo IV del Decreto, rubricato Rafforzamento dei presidi per la sicurezza, la difesa nazionale e per le reti di comunicazione elettronica, si articola in due capi, e reca, oltre agli articoli inerenti al golden power, anche importanti novità in tema di Cybersicurezza delle reti, dei sistemi informativi e dei servizi informativi e approvvigionamento di materie prime critiche.

  • Le novità introdotte con riguardo alla disciplina golden power

Gli articoli del d.l. 21/2022 che hanno apportato modifiche alla disciplina golden power sono quelli dal 24 al 28.

In particolare, l’art 24 ha modificato l’art. 1 del decreto-legge 15 marzo 2012 n. 21 (convertito dalla legge 11 maggio 2012, n. 56), estendendo il potere di veto del Governo ad ogni delibera, atto od operazione dell’assemblea o degli organi di amministrazione delle imprese operanti in settori di rilevanza strategica per il sistema di difesa e sicurezza nazionale[4], che abbia per effetto la modifica della titolarità, del controllo o della disponibilità degli attivi strategici.

L’articolo in esame introduce rilevanti novità anche per quanto attiene agli aspetti procedurali, prevedendosi che siano – laddove possibile – sia il soggetto acquirente che il target a procedere congiuntamente alla notificazione. Peraltro, viene normata anche l’eventualità in cui tale notifica sia eseguita solamente da una delle due parti, prevedendosi, in siffatta ipotesi, che la società compliant trasmetta, contestualmente a suddetta notifica, un’informativa all’altro ente coinvolto di modo che quest’ultimo possa partecipare al procedimento. In questo caso, alla società bersaglio sono forniti quindici giorni per presentare memorie e documenti alla Presidenza del Consiglio dei Ministri[5]. Infine, anche l’impianto sanzionatorio viene esteso a entrambi i destinatari degli obblighi informativi, superando la precedente formulazione che prevedeva ammende ad esclusivo carico del soggetto acquirente che non avesse rispettato le prescrizioni imposte nei precedenti periodi.

L’art. 25 d. l. 21/2022, invece, stabilizza l’obbligo di notifica anche nel caso in cui l’acquirente di attivi afferenti ai settori delle comunicazioni, dell’energia, dei trasporti, della salute, agroalimentare e finanziario/creditizio assicurativo sia un soggetto appartenente all’Unione europea, ivi compresi quelli residenti in Italia. Si tratta, nei fatti, della stabilizzazione di una disposizione inizialmente introdotta in via temporanea in ragione dell’emergenza COVID-19 (già più volte, non senza polemiche, prorogata, da ultimo sino al 31 dicembre 2022[6]).

Per il resto, anche il successivo art. 25 d. l. 21/2022 introduce il medesimo meccanismi di vigilanza previsto dall’articolo precedente, questa volta con riferimento agli attivi strategici nei settori dell’energia, dei trasporti e delle comunicazioni[7].

I due successivi articoli si occupano di prevedere misure organizzative adeguate all’ampliamento del raggio d’azione della normativa in materia golden power. In particolare, l’art. 26 d. l. 21/2022 delega al Presidente del Consiglio dei Ministri l’adozione di misure di semplificazione della procedura, tra cui una sorta di “filtro”, antecedente alla notifica formale, che consenta una verifica preliminare in ordine all’applicabilità della normativa e all’ammissibilità dell’operazione. L’art. 27 d. l. 21/2022, invece, dispone l’istituzione ad hoc di un nucleo di valutazione e analisi strategica in materia di esercizio dei poteri speciali e prevede la facoltà, per la Presidenza del Consiglio dei Ministri, di avvalersi della collaborazione della Guardia di finanza e di altre amministrazioni pubbliche (che si vanno ad aggiungere agli enti di ricerca, già precedentemente previsti).

Infine, l’art. 28 d. l. 21/2022 riscrive completamente la disposizione previgente in materia di poteri speciali inerenti alla comunicazione elettronica a banda larga basata sulla tecnologia 5G e cloud[8]. Anche in questo caso il controllo diventa molto più penetrante, prevedendosi – in luogo della precedente notifica una tantum del singolo accordo o contratto sensibile – un sistema di vigilanza continuativa imperniato sulla notifica, a carico dell’acquirente e di natura annuale, di un piano contenente una serie di informazioni puntualmente indicate nell’articolo in parola.

  • Considerazioni conclusive e ulteriori prospettive evolutive

Prima di poter operare compiute e definitive considerazioni in merito all’assetto normativo scaturente dalle innovazioni di cui si è appena detto, occorrerà, naturalmente, attendere la fine dell’iter di conversione in legge del decreto.

Nelle more di tale definitiva approvazione, ci si può comunque iniziare ad interrogare in merito alle tendenze di politica legislativa sottese a tale intervento ed alle conseguenze che quest’ultimo potrà produrre.

In primo luogo, occorre evidenziare come la stabilizzazione di misure concepite come emergenziali si presenti coerente rispetto alla tendenza, tipica del legislatore interno, a rendere strutturali interventi nati come temporanei e transitori[9].

In ogni caso, come già sottolineato, l’intervento operato con il c.d. decreto Ucraina restringe notevolmente – ed ulteriormente – le maglie della disciplina golden power. Da questo punto di vista, possono dirsi concretizzati alcuni degli auspici che diversi esponenti parlamentari avevano a più riprese palesato nel corso degli scorsi mesi[10].

La tendenza verso un controllo generalizzato dell’Esecutivo nel caso di potenziali mutamenti del soggetto economico di enti che detengano attivi in settori strategici, previsto rispetto ad un novero di settori sempre più numeroso, viene giustificato facendo riferimento alla – pretesa – accresciuta strategicità di tali settori. Quest’ultimo canone è connotato da un elevato grado di elasticità ed indeterminatezza, e desta qualche dubbio rispetto all’attitudine giustificativa di misure che limitano la sfera della libertà degli operatori economici.

In merito ai potenziali effetti delle suddette modifiche, infatti, è facile pronosticare che l’ampliamento del raggio d’azione dei poteri speciali, e la maggiore discrezionalità che connoterà la loro applicazione, ridurrà la contendibilità delle imprese italiane, diminuendone il valore potenziale.

L’esplicito riferimento ad investitori comunitari, poi, impone altresì alcune riflessioni con riferimento alla libera circolazione dei capitali. Laddove, infatti, l’eccezionalità della crisi sanitaria, e della conseguente crisi economica, pareva giustificare, ai sensi delle norme presenti nei trattati[11], anche interventi limitativi di tale libertà, la fine dello stato emergenziale suggerisce una miglior ponderazione dei profili in questione. In materia di golden power, infatti, la giurisprudenza UE si è sempre dimostrata molto restrittiva: solamente nel caso belga la Commissione, ad avviso della Corte di giustizia, a seguito della procedura d’infrazione, ha avuto torto nel rilevare l’incompatibilità della normativa nazionale con i principi di libertà del mercato[12].

Merita, infine, un’apposita riflessione la necessità che si coordinino tra loro, al fine di realizzare i nuovi obiettivi previsti, una lunga serie di attori istituzionali: la Presidenza del Consiglio, i Ministeri dello Sviluppo Economico, Economia e finanze, Interno, Difesa, Affari esteri e Cooperazione Internazionale, Innovazione tecnologica e transizione digitale, l’Agenzia per la cybersicurezza nazionale e il Centro di valutazione e certificazione nazionale. Coordinamento, in virtù dell’evidente complessità, difficilmente conciliabile con le esigenze di celerità cui la disciplina dovrebbe ispirarsi.

Il tipo di controllo, continuativo e penetrante, che si viene a configurare, sembra, piuttosto, maggiormente coerente con le modalità operative tipiche di un’autorità indipendente. Si tratta, infatti, di un sistema ormai scevro dalla discrezionalità politica e, al contrario, basato su criteri oggettivi. Un percorso simile, che è stato recentemente, percorso nell’ambito della creazione dell’Agenzia per la cybersicurezza nazionale, sembrerebbe maggiormente coerente con l’attuale spirito della disciplina in materia di poteri speciali[13].

4. La Repubblica Ellenica sotto il controllo del greco. All’ombra del Partenone si lotta contro la corruzione

A cura di Eugenio Parisi

Nel mese di marzo il Gruppo di Stati Contro la Corruzione, noto anche come Greco, ha pubblicato il report di valutazione, approvato a dicembre scorso, per quanto riguarda la situazione della prevenzione e lotta alla corruzione nella Repubblica ellenica. Il report in questione fa parte del “V round di valutazione’’ che ha come obiettivo la prevenzione della corruzione e promuovere l’integrità nei Governi e nelle forze di polizia. La particolarità di questa pubblicazione è la complessità, estensione e capillarità dello studio, rispetto alla situazione della Repubblica ellenica.

Il report sottolinea come la situazione della corruzione in Grecia sia molto complessa ed estesa a tutti i livelli. Importanti criticità sono state evidenziate soprattutto nell’ambito dello status dei consulenti politici e del quadro normativo e di trasparenza rispetto alla lotta alla corruzione in tal senso.  Bisogna dire che la Grecia ha messo molto impegno nel conformarsi alle raccomandazioni e indicazioni dell’Assemblea di Palazzo Agorà, sia per quanto riguarda l’ambito della lotta corruzione amministrativa sia per quella squisitamente penale, sin dall’istituzione dell’organo nel 1999.  Uno dei segni più evidenti della volontà della Repubblica Ellenica è stata l’introduzione della Autorità Nazionale Anticorruzione, in inglese National Transparency Authority (NYA) e in greco Εθνική Αρχή Διαφάνειας – ΑΡΧΙΚΗ.

L’autorità, istituita con la legge 4622/2019, ricalca in parte le caratteristiche dell’Autorità Nazionale Anticorruzione italiana, ha infatti come suo obbiettivo principale la prevenzione e la lotta al fenomeno corruttivo; inoltre ha la peculiarità di promuovere la compilazione di codici di condotta “personalizzati” in base all’ente di riferimento. La normativa del 2019 ha fornito podestà all’Autorità perché vigili e prevenga tutti i possibili conflitti d’interesse, quindi attraverso i c.d. metodi indiretti di lotta alla corruzione, tipici anche del nostro ordinamento.  In ultimo, l’Authority è uno dei soggetti principali per quello che riguarda il c.d. Anti-corruption Action Plan (Nacap), ovvero il piano di azione anticorruzione a durata quadriennale, il cui primo ciclo è iniziato nel 2018, per concludersi nel 2021. Il nuovo Nacap è stato inaugurato quest’anno e si concluderà nel 2025.

Il Report del Greco riporta come l’istituzione dell’Autorità abbia permesso alla Repubblica ellenica di fare un salto di dieci posizioni nel PCI report sulla percezione della corruzione pubblicato da Transparency International.

Nonostante la volontà e i segni incoraggianti anche da parte della Ong, il report del Greco, prendendo in prestito il resoconto dell’Eurobarometro della Commissione europea del 2019, non è affatto incoraggiante. La maggior parte dei greci è infatti dell’opinione che la corruzione soprattutto politica sia una delle grandi piaghe del Paese. Inoltre, sempre secondo le fonti di Eurobarometro, le aziende private della penisola ellenica sottolineano come il problema della corruzione amministrativa si annidi nell’alta dirigenza della P.a. e nel mondo della politica. Questo sentimento di delusione ricade anche nei confronti del potere giudiziario, che ad avviso dei greci non punisce adeguatamente il corrotto e il corruttore.

Tornando alla valutazione e le raccomandazioni del Greco, per quanto riguarda l’ambito squisitamente amministrativo, questo ha posto l’attenzione su sei punti, sia per quanto riguarda l’ambito dei conflitti di interesse negli uffici politici e di governo; che di trasparenza e protezione dei Whistblowers. Nello specifico:

Il Greco raccomanda che lo status giuridico e soprattutto gli obblighi dei consulenti politici siano regolamentati in modo completo. Lo scopo della normazione del settore è quello di introdurre standard più elevati di integrità; di condotta; evitare possibili conflitti d’interesse e imporre obblighi di informativa finanziaria, per tutti quei soggetti che svolgono attività di consulenza negli uffici politici, sia legislativi che governativi.

L’Assemblea del Greco raccomanda che tutte le informazioni riguardanti le remunerazioni dei consiglieri politici presso gli uffici dell’esecutivo e i nominativi di questi soggetti siano pubblicate online, in modo da poter ampliare il settore della trasparenza degli organi di Governo, permettendo un accesso pubblico effettivo senza necessità di richiesta specifica all’organo interessato.

 Nell’ambito dell’etica professionale, il Greco raccomanda che il legislatore ellenico emani un codice di condotta per tutti gli alti funzionari della P.a. per quanto riguarda contratti con soggetti che svolgono attività di lobbying, situazione di possibile conflitto d’interesse, obblighi di informativa delle scelte della P.a. Su quest’ultimo punto l’Assemblea del Greco raccomanda che tutto questo sia coadiuvato da orientamenti scritti e formazione all’inizio del mandato.

Sempre in ambito di trasparenza, il Gruppo di Stati contro la corruzione raccomanda alla Repubblica ellenica di intraprendere uno studio indipendente per poi attuare le misure necessarie per il soddisfacimento degli Standard in materia di accesso a documenti ufficiali imposti dalla Convenzione del Consiglio d’Europa sull’Accesso ai documenti ufficiali (Stce n. 205).

Nell’ambito della prevenzione e lotta ai conflitti d’interesse dei soggetti che ricoprono funzioni esecutive apicali, il Greco ha individuato una serie di strategie che il legislatore ellenico dovrebbe adottare:

A) Rimuovere il potere decisionale in mano al presidente del consiglio dei ministri e rafforzare le competenze del Segretariato generale per gli affari giuridici e parlamentari della Presidenza del governo;

B) imporre l’obbligo di dichiarazione sui possibili conflitti di interessi in caso di consulenza- imponendo sostanzialmente un meccanismo di incompatibilità.

Il GRECO raccomanda di rafforzare la protezione dei Whistblowers all’interno della polizia e di adottare tutte le altre misure ritenute necessarie per facilitare la segnalazione di corruzione, anche garantendo la riservatezza degli informatori, a seconda dei casi.

Entro 18 mesi dall’adozione del report, le autorità elleniche dovranno riferire rispetto alle azioni intraprese per adempiere alle raccomandazioni imposte dal Gruppo di Stati contro la Corruzione. La prossima valutazione dell’Assemblea del Greco si terrà a fine giugno 2023.

5. La giurisdizione sull’attività di controllo dell’ASL rispetto all’erogazione di prestazioni sanitarie private 

A cura di Francesca Saveria Pellegrino

La questione di giurisdizione sulle controversie aventi ad oggetto l’impugnazione delle decurtazioni tariffarie e delle sanzioni comminate dalle ASL alle strutture sanitarie operanti in regime di accreditamento è stata oggetto di pronunce, anche di segno tra loro opposto, da parte delle Sezioni Unite della Corte di cassazione. Nello specifico si tratta di sanzioni comminate all’esito dei controlli che le ASL svolgono sulla congruità e l’appropriatezza delle prestazioni fornite dalle strutture sanitarie.

Per comprendere le ragioni di queste oscillazioni giurisprudenziali bisogna partire dalle norme che disciplinano il settore oggetto delle richiamate controversie.

L’art.8-octies del d.lgs n.502/1992 espressamente dispone che le regioni e le ASL vigilino sul rispetto degli accordi contrattuali conclusi con i soggetti che erogano prestazioni per conto del Servizio Sanitario Nazionale e sulla qualità dell’assistenza e sull’appropriatezza delle prestazioni rese. Ai sensi del comma 3 dello stesso articolo, le regioni sono tenute a stabilire con atto di indirizzo e coordinamento i principi in base ai quali la regione assicura la funzione di controllo esterno sull’appropriatezza e sulla qualità dell’assistenza prestata dalle strutture interessate.

In punto di giurisdizione sulle controversie relative agli esiti di tali controlli, considerato che il rapporto tra le strutture sanitarie operanti in regime di accreditamento e il sistema sanitario regionale rientra sicuramente nello schema delle concessioni di pubblico servizio, viene in rilievo l’art.133 del codice del processo amministrativo. In particolare, il comma 1 lett. c) stabilisce la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo sulle controversie in materia di pubblici servizi relative alle concessioni di pubblici servizi, con eccezione però delle controversie concernenti indennità, canoni e altri corrispettivi, in ordine alle quali, secondo l’ordinario riparto, la giurisdizione spetta al giudice ordinario. Trattasi peraltro di eccezione, che il codice del processo amministrativo ha espressamente recepito, alla luce della sent.204/2004 della Corte Costituzionale. La giurisdizione del giudice amministrativo, anche quella esclusiva, è ammessa sempre in connessione con l’esercizio di un potere autoritativo della Pubblica Amministrazione, e quindi non in presenza di questioni puramente negoziali o paritetiche quali sono quelle sulla spettanza di indennità, canoni o altri corrispettivi.

Pertanto, ove si ponga l’accento sulla circostanza che in tali ipotesi l’attività dell’amministrazione non è caratterizzata da discrezionalità e dall’esercizio di poteri autoritativi, ma da verifiche di tipo tecnico,  allora la conclusione non può che essere nel senso della giurisdizione in capo all’A.G.O. Viceversa, se si considera l’esito dei controlli e l’applicazione di dette sanzioni come espressione di un potere autoritativo della ASL, nell’ambito della conformazione del complessivo rapporto concessorio, allora si dovrebbe concludere per la giurisdizione del giudice amministrativo. Ed è sulla base di tali diverse traiettorie che le Sezioni Unite sono giunte, a distanza peraltro di pochi mesi, alle opposte decisioni di cui alle pronunce nn. 2540 e 31029 del 2019.

E però da ultimo, la Suprema Corte, con decisione n.1602/2022, ha confermato l’argomentazione concettuale posta a base dell’affermazione della giurisdizione del giudice ordinario che ha così ribadito.

Ed invero, in maggiore analisi, nella prima delle due pronunce del 2019 le Sezioni Unite avevano concluso per la giurisdizione del giudice amministrativo, peraltro in conformità con le conclusioni allora rassegnate dalla Procura Generale. A fondamento di tale conclusione venivano richiamati diversi precedenti, tra cui la decisione n.1148/2017 secondo la quale, quando la lite esuli dai limiti del carattere meramente patrimoniale e quindi coinvolga in qualche maniera la verifica dell’azione anche autoritativa della Pubblica Amministrazione sulla intera economia del rapporto concessorio, la controversia viene attratta nella sfera della competenza giurisdizionale del giudice amministrativo. Per il pubblico ministero, nelle conclusioni dell’epoca, l’idea di un rapporto paritario contrasterebbe anche con la possibilità di applicare sanzioni che sono intrinsecamente collegate con l’esercizio di poteri di vigilanza e controllo.

Le Sezioni Unite ritennero allora determinante ai fini della decisione sulla giurisdizione verificare se l’ipotesi rientrasse nella giurisdizione esclusiva di cui all’art.133 comma 1 c.p.a, alla luce dei principi indicati dalla 204/2004. In tale prospettiva, la giurisdizione del giudice amministrativo resterebbe esclusa soltanto quando in tema di indennità, canoni e corrispettivi, la discussione sulla loro determinazione e debenza non riguardi e non coinvolga l’incidenza di poteri autoritativi. Coinvolgimento che nella vicenda in esame sussisterebbe per l’intima riferibilità al rapporto concessorio e al connesso potere di verifica in capo alla PA, di talché si sarebbe nell’ambito della giurisdizione esclusiva dell’A.G.A. senza che rilevi la qualificazione della situazione giuridica coinvolta come diritto soggettivo o interesse legittimo.

Secondo tale impostazione, la pretesa economica costituita dalla richiesta della Regione di emissione di note di credito quale esito dei controlli integrerebbe comportamento riconducibile all’esercizio del potere di controllo e il fatto che non si estrinsechi in provvedimenti non toglierebbe che la relativa controversia inerisca alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo.

Ma, come anticipato, a distanza di pochi mesi, le Sezioni Unite, con decisione n.31029/2019, sono giunte a conclusioni opposte.

Ed infatti, in tale occasione la Corte, riconoscendo le oscillazioni giurisprudenziali sul tema (attribuzione al giudice amministrativo o al giudice ordinario delle azioni promosse dalle strutture sanitarie operanti in regime di accreditamento presso il Sistema Sanitario Regionale che contestino il giudizio di incongruità o inappropriatezza delle prestazioni fornite all’esito del quale le USL impongano prestazioni patrimoniali in forma di sanzioni), smentendo sia il precedente innanzi commentato che le conclusioni del Procuratore Generale che pur in tale occasione aveva optato per la giurisdizione dell’A.G.O., afferma la giurisdizione del giudice ordinario.

In particolare le Sezioni Unite questa volta non solo hanno evidenziato che anche volendo considerare quella in esame come una sanzione amministrativa in senso stretto, ciò condurrebbe alla giurisdizione dell’A.G.O. in quanto competente sull’intera materia delle opposizioni a sanzioni amministrative, ma soprattutto argomentano sull’effettiva portata dell’eccezione di cui all’art.133 comma 1 lett. c), che, come detto, sottrae in materia di concessioni alla giurisdizione esclusiva del GA le controversie su “indennità, canoni e altri corrispettivi”.

In particolare, argomentano le SSUU, i controlli di congruità e appropriatezza attengono alla fase puramente esecutiva del rapporto concessorio caratterizzata da un rapporto paritetico tra le parti. Ciò che è oggetto di verifica è l’adempimento/inadempimento delle obbligazioni assunte dall’erogatore (concessionario) e l’effettiva sinallagmatica debenza dei corrispettivi da un punto di vista meramente patrimoniale, non venendo in rilievo l’esercizio di alcun potere autoritativo da parte dell’amministrazione. Come pure le sanzioni sono previste dalla regola del rapporto.

Pertanto, trattandosi di una verifica sull’adempimento, la giurisdizione spetta al giudice ordinario. Infatti, la volontà del legislatore prevedendo l’eccezione di cui al comma 1 lett. c) dell’art. 133 c.p.a. è proprio quella di confermare la pienezza della giurisdizione ordinaria nelle vicende attinenti alla fase esecutiva delle concessioni.

Tale orientamento è stato confermato dalle Sezioni Unite con la recente decisione n. 1602/2022, concordante con le conclusioni di Tar e Consiglio di Stato che in quel giudizio hanno a loro volta declinato la giurisdizione in favore dell’A.G.O.

Il Consiglio di Stato, in particolare, ha evidenziato come oggetto del giudizio non sia la conformazione dei poteri di controllo, ma gli esiti della verifica sull’adempimento o meno delle obbligazioni derivanti dal rapporto concessorio (considerata quale mero accertamento tecnico), tradotti nell’intimazione di pagamento.

Impugnando questa decisione, la PA concedente (nel caso la  Regione Lazio) chiedeva alle Sezioni Unite di tornare a conformarsi al loro primo precedente di cui alla decisione n.23450/19  e dichiarare la giurisdizione del giudice amministrativo. In particolare, per la ricorrente, i controlli non si limitano a verificare l’adempimento delle obbligazioni, ma attestano le verifiche e ne fanno proprio l’esito, perseguendo anche obiettivi di pubblico interesse.

La struttura erogatrice, al contrario, concordava con il Consiglio di Stato nel ritenere che il petitum sostanziale non fossero le regole del rapporto concessorio, ma la correttezza o meno dell’adempimento.

Per la Suprema Corte, preliminarmente, è necessario definire quale sia la linea di demarcazione tra gli atti che in via generale dettano la disciplina dei controlli quali espressione dei poteri autoritativi, e quelli che in applicazione delle disposizioni generali verificano in concreto il rispetto di tale disciplina da parte del concessionario.

Ad avviso del Collegio, nell’ipotesi in esame sono impugnati atti di accertamento tecnico che hanno investito il concreto operare dell’istituto nella fase di esecuzione. La conseguente “nota” della ASL non esprime alcuna posizione autoritativa, limitandosi ad estrinsecare gli esiti di una verifica tecnica di correttezza dell’adempimento. Ne consegue che non fa parte del thema decidendum della controversia alcun profilo legato all’esercizio di poteri autoritativi e discrezionali da parte della Pubblica Amministrazione. Ciò considerato, le Sezioni Unite scelgono di porsi in continuità con la decisione n.31039/2019 e dichiarano la giurisdizione del giudice ordinario, ribadendo che l’attribuzione al giudice ordinario di tali controversie circa l’adempimento o l’inadempimento delle obbligazioni di una delle parti del rapporto concessorio altro non è che l’attuazione dell’eccezione prevista dal legislatore all’art.133 comma 1 lett. c) del codice del processo amministrativo.

Orientamenti giurisprudenziali così diversi da parte dello stesso giudice in un lasso di tempo così ristretto possono inevitabilmente essere causa di forte incertezza anche se  l’ultima decisione delle Sezioni Unite, preceduta dalle conformi decisioni dei giudici amministrativi di primo e secondo grado, sembrerebbe far emergere un consolidamento dell’affermazione in materia (esiti dei controlli sul corretto adempimento erogativo delle strutture sanitarie che operano nell’ambito del Servizio Sanitario Nazionale) della giurisdizione del giudice ordinario.

6. La posizione dell’EMA e dell’ECDC sulla quarta dose di vaccino contro il Covid-19

A cura di Matteo Santarelli

    La ETF (Covid-19 task force) dell’Agenzia Europea dei Medicinali e il Centro Europeo per la Prevenzione ed il Controllo delle Malattie hanno rilasciato un comunicato comune in merito alla quarta dose di vaccino contro il Covid-19. I due soggetti hanno revisionato gli studi disponibili al fine di concordare una posizione comune sulla necessità e sui benefici attesi dalla quarta dose di vaccini a base mRNA.

Il primo dei due soggetti coinvolti è la COVID-19 Task Force (ETF) dell’EMA. La decisione n. 1082/2013/UE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 22 ottobre 2013 relativa alle gravi minacce per la salute a carattere transfrontaliero ha creato le fondamenta giuridiche per la risposta alle minacce transfrontaliere alla salute umana. In questa eventualità, l’EMA agisce sulla base di un health treaths plan che disciplina i principi sulla base dei quali l’agenzia risponde ad una emergenza sanitaria. Tra i poteri riconosciuti, vi è quello di istituire una Task Force, ossia uno specifico gruppo di esperti al quale vengono attribuiti i compiti di:

– fornire consigli ai produttori sullo sviluppo di prodotti medicinali, ad esempio vaccini/

antimicrobici, contro la minaccia sanitaria emergente;

– contribuire alla valutazione del prodotto e alle attività di sorveglianza post-autorizzazione;

– preparare posizioni specifiche / contribuire alle Q&A;

– interagire con le parti interessate;

– mantenere la cooperazione europea e internazionale.

Nel contesto della pandemia di COVID-19, il mandato dell’ETF è stato rivisto per adattarsi alle sfide senza precedenti che l’Europa deve affrontare e alle specificità della crisi della minaccia sanitaria in corso. La decisione dell’ EMA/166423/2020 ha istituito la COVID-19 EMA pandemic Task Force (COVID-ETF) con una composizione e gli obiettivi dell’ETF sono stati modificati per sostenere meglio le attività di regolamentazione e le esigenze di salute pubblica degli Stati membri e della Commissione europea durante questa pandemia.

Il Centro europeo per la prevenzione ed il controllo delle malattie è istituito con il regolamento CE n.851/2004 del 21 aprile 2004 del Parlamento europeo e del Consiglio ed è operativo dal 20 maggio 2005. Esso aiuta i Governi dell’UE a prepararsi alle pandemie, fornisce consulenza scientifica ad essi e alle istituzioni.

Il comunicato congiunto, EMA/204784/2022 del 6 aprile 2022, rilasciato dalle due agenzie, non ha carattere regolatorio e potrà essere aggiornato sulla base delle nuove evidenze scientifiche disponibili.

Il parere da esse fornito prevede che la quarta dose (secondo booster) di vaccino a base mRNA debba essere somministrato alla popolazione con età superiore a 80 anni. Secondo la valutazione delle agenzie, allo stato attuale non sussisterebbero prove chiare ed evidente sulla diminuzione della protezione vaccinale per le persone di età ricompresa tra 60 e 79 che non abbiano patologie gravi. Tuttavia, per questa fascia di età verranno compiute ulteriori valutazioni che potrebbero portare ad un cambio d’orientamento nel caso in cui emergessero nuovi segnali o vi fossero variazioni nella situazione epidemiologica. Al contrario, attualmente non vi sono prove di alcun tipo che la protezione vaccinale stia diminuendo nelle persone con età inferiore a 60 anni.

7. Amministrazione condivisa: Roma firma il suo primo Patto di collaborazione

A cura di Beatrice Tabacco

Lo scorso 7 aprile è stato firmato a Roma nel municipio VIII il primo Patto di collaborazione del Comune di Roma. Oggetto del patto è la gestione e la manutenzione del playground “Campetto di Piero”, area attrezzata situata in zona Roma70. Il Patto di collaborazione è stato frutto della collaborazione tra l’assessora alle politiche scolastiche del municipio Roma 8 Francesca Vetrugno, la direttrice dello stesso municipio Angela Musumeci e cinque realtà territoriali. Dopo alcuni incontri operativi di preparazione, ai quali hanno partecipato oltre alla direttrice e all’assessora anche alcuni tecnici del Municipio, il personale di Labsus e i rappresentanti delle associazioni, si è giunti a produrre il testo del Patto, approvato con una delibera della Giunta Municipale il 31 marzo 2022 e firmato il 7 aprile 2022, alla presenza dell’assessora all’ambiente del Comune di Roma, Sabrina Alfonsi, e del presidente emerito di Labsus, Gregorio Arena. Nel 2019 è stata inserita nella legge regionale 10/19 “Promozione dell’amministrazione condivisa dei beni comuni”, la possibilità di applicare i Patti di collaborazione alle aree verdi della città. Successivamente, nel 2020 è stato adottato il “Regolamento sull’amministrazione condivisa dei beni comuni” che, all’art 4, disciplina nel dettaglio lo strumento. I Patti di Collaborazione sono il principale strumento per l’attuazione dell’amministrazione condivisa dei beni comuni. Il Patto è l’accordo tramite il quale uno o più cittadini attivi e un soggetto pubblico definiscono i termini della collaborazione per la cura di beni comuni materiali e immateriali. In particolare, il Patto individua il bene comune, gli obiettivi, l’interesse generale da tutelare, le risorse dei sottoscrittori, la durata del Patto e le responsabilità. Il Patto di collaborazione si configura come uno strumento diverso rispetto agli altri più noti a cui solitamente fanno ricorso le PA (affidamenti, concessioni e simili). Tra le sue caratteristiche c’è un’alta informalità, che permette al soggetto pubblico di interfacciarsi anche con gruppi informali, comitati e abitanti di un quartiere uniti solo dall’interesse di promuovere la cura di un bene comune specifico. L’accordo è strutturato da entrambe le parti in comunione, andando a formare una disciplina ad hoc sul bene, di conseguenza efficace ed efficiente per la cura e promozione dello stesso. L’iniziativa per un nuovo Patto di collaborazione può venire “dall’alto” o “dal basso” ma risulta sempre come azione che non può prescindere dal responsabilizzare le diverse parti contraenti, che si impegnano a rispettare gli impegni pattuiti. I Patti di collaborazione appartengono agli strumenti di amministrazione condivisa disciplinati nel regolamento sull’amministrazione condivisa dei beni comuni, che in attuazione del principio costituzionale di sussidiarietà orizzontale di cui all’art 118, co 4, consente ai cittadini e all’amministrazione pubblica di svolgere su un pian paritario attività di interesse generale, concernenti la cura, la rigenerazione e la gestione condivisa. L’accordo sul Campetto di Piero si realizza quattro anni dopo l’introduzione dei Patti di collaborazione tra gli strumenti a disposizione del Comune e potrebbe rappresentare il segnale d’avvio per una diverso utilizzo dei beni comuni di Roma. Le aree verdi sono state oggetto di regolamenti con un percorso lungo e tortuoso, che ha però portato all’introduzione del primo strumento di l’amministrazione condivisa. Gli stessi patti possono essere applicati anche per gestire l’immenso capitale immobiliare del Comune di Roma? A livello teorico non ci sono limiti all’applicabilità di questo strumento, però un bene immobile comprende una serie di complessità che sicuramente non possono essere ignorate: dalla destinazione d’uso alla manutenzione ordinaria e straordinaria, per non parlare dei servizi e della funzione sociale che questi stessi immobili dovrebbero rappresentare. Per questo tipo di rapporti è stata individuata la fattispecie dei Patti di collaborazione complessi, disciplinati all’art 7 del suddetto regolamento. Il Patto complesso prevede non solo la manutenzione del bene ma anche il recupero, la trasformazione e la gestione continuata del bene. Sebbene i Patti di collaborazione siano uno strumento relativamente nuovo e non siano ancora stati realizzati nella loro forma complessa, la quale permetterà di costruire delle progettualità più durature anche su beni che non rientrano tra le aree versi, l’inserimento dei Patti di collaborazione tra gli strumenti per una nuova gestione del patrimonio dei beni pubblici di Roma potrebbe rappresentare un passaggio fondamentale verso un welfare comunitario che prevede pubbliche amministrazioni e cittadini privati ugualmente coinvolti nel raggiungimento di obiettivi di interesse generale.

8. Primi orientamenti giurisprudenziali sul golden power: la difficile ricerca di un punto di equilibrio tra prerogative governative e garanzie delle imprese

A cura di Matteo Farnese

La disciplina del Golden Power italiano è ancora in evoluzione. Alcune importanti novità registrate nelle scorse settimane segnano un ulteriore sviluppo, non solo per l’adozione del decreto-legge del 21 marzo 2022 n. 21, che ha introdotto significative innovazioni, ma anche per la pubblicazione di tre rilevanti pronunce giurisprudenziali, che evidenziano i primi orientamenti in una materia così complessa, al confine tra diritto e politica. Queste offrono, infatti, precise indicazioni circa l’inquadramento giuridico della disciplina golden power nell’ambito delle categorie concettuali proprie del diritto amministrativo, consentendone di apprezzare le implicazioni operative. Ci si riferisce, in particolare, alle sentenze del Tribunale Amministrativo del Lazio del 14 aprile 2022 n. 4484, 4486 e 4488.

La prima sentenza, n. 4484, riguarda il caso Calvi Holding. In questo caso, la società Calvi Holding S.p.A. era target di un’operazione di acquisto di imprese nel settore siderurgico. Il Governo, con il dPCM del 24 aprile 2021, ha imposto prescrizioni in relazione a tale operazione. Calvi Holding, quindi, ha impugnato tale decreto eccependo l’insussistenza dei presupposti di applicazione della normativa golden power e la carenza dell’istruttoria, in contrasto con le informazioni fornite dalle parti.

Circa un mese dopo l’adozione del dPCM, la società acquirente ha deciso di risolvere i contratti dell’operazione, rinunciando ad essa. Nonostante ciò, Calvi Holding ha continuato a sostenere che all’interno del processo permanesse un interesse al ricorso per due ragioni: (i) l’acquirente continuava a mantenere un concreto interesse al perfezionamento dell’operazione; e (ii) le prescrizioni imposte dal dPCM rappresentavano un ostacolo per future trattative, anche con terze parti.

Il Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio ha osservato che l’esercizio dei poteri speciali di cui al d.l. 21 del 2012 è il prodotto di una istruttoria originata dal caso notificato al Governo e, conseguentemente, il contenuto del dPCM adottato nell’esercizio dei poteri speciali è riferito unicamente all’operazione valutata. Le prescrizioni imposte, quindi, non trovano alcuna applicazione al di fuori dell’operazione notificata. Ne consegue che, a seguito della volontà della società acquirente di non dar corso all’operazione, il ricorrente non ricaverebbe più alcuna utilità dall’annullamento del dPCM impugnato, permanendo un “interesse non attuale e meramente esplorativo” alla definizione del ricorso. Per queste ragioni, il TAR Lazio ha dichiarato il ricorso inammissibile.

Tale ricostruzione suscita delle perplessità in quanto l’impresa acquirente ha risolto il contratto in ragione del provvedimento della Presidenza e nulla esclude che questo possa ostacolare ulteriori trattative. Sembra opinabile, quindi, la configurazione di un interesse meramente esplorativo in capo alla ricorrente. In particolare, il TAR sembra quasi evadere le domande poste dalla società in relazione alla strategicità dei propri assets. Si percepisce ancora di più la necessità dello sviluppo dello strumento della prenotifica, ancora in attesa del decreto attuativo, con cui le società potrebbero avviare un contatto preliminare con il Governo per capire gli orientamenti nei confronti dell’operazione.

La seconda e la terza sentenza, n. 4486 e 4488, attengono al caso Syngenta-Verisem. Questo riguardava l’acquisizione delle società del gruppo Verisem, attivo nel settore delle sementi, da parte di Syngenta, società controllata indirettamente dal governo cinese. Il Governo, con il dPCM del 21 ottobre 2021 n. 3693, ha deciso di imporre il veto sull’operazione nonostante le risultanze dell’istruttoria non facessero intendere un pericolo tale da giustificare la misura adottata.

Le società, sia acquirente che target, hanno impugnato il decreto lamentando: (a) l’ingiustificata assenza della comunicazione dei motivi ostativi ex art. 10-bis della Legge 241 del 1990; (b) l’assenza dei presupposti di applicazione della normativa golden power; (c) la carenza di motivazione e la difformità del veto rispetto a quanto proposto in fase istruttoria; e (d) la violazione del principio di legalità, con riguardo all’art. 11 del dPCM n. 179 del 2020, che non individua specificatamente gli attivi strategici nel settore agroalimentare.

Il TAR, nel caso di specie, ha ritenuto che, riguardo il punto (a), l’equiparazione tra obbligo di notificare alla Presidenza del Consiglio dei ministri l’operazione e un’istanza di parte che dà avvio a un procedimento amministrativo sia inammissibile. La notifica, a differenza dell’istanza, costituisce un vero e proprio obbligo per la società acquirente, funzionale alla verifica e all’eventuale esercizio dei poteri speciali.

Riguardo il punto (b), il Tribunale afferma che la decisione dello Stato di esercitare o meno i poteri speciali si connota di “amplissima discrezionalità”, in ragione della natura degli interessi tutelati. Le valutazioni sottese alla decisione costituiscono scelte di “alta amministrazione”, come tali sindacabili dal giudice amministrativo nei limiti di una manifesta illogicità. Nel caso di specie, il dPCM impugnato non risulta in contrasto con l’esito dell’istruttoria in quanto non si concentra solamente sull’attività di ricerca sulle sementi, bensì prende in considerazione le competenze nella meccanica e la possibile acquisizione del patrimonio informativo sui fornitori nazionali di meccanica di precisione per l’agricoltura.

Questo punto risulta particolarmente importante per l’enfasi che riserva alla discrezionalità dello Stato e, conseguentemente alla marginalizzazione del ruolo del giudice in caso di manifesta illogicità del provvedimento. È utile ricordare che il decreto di esercizio dei poteri speciali contempera una moltitudine di interessi eterogenei, come quelli giuridici, politici ed economici, rendendo difficoltoso capire quando tale atto possa essere considerato manifestamente illogico e, di conseguenza, azionare il controllo nel merito del giudice amministrativo.

Riguardo il punto (c), il TAR ha analizzato il compito del Gruppo di coordinamento, che raccoglie elementi di valutazione tecnica da sottoporre al Consiglio dei ministri. Quest’ultimo adotta il provvedimento libero da vincoli o, in particolare, da un obbligo di motivazione rafforzata nel caso vengano formulate proposte differenti da quanto deciso. Nel caso di specie, la ragione del veto risiedeva in particolare nell’inutilità di imporre misure meno gravose del divieto dell’operazione, dato che l’effettivo proprietario della società acquirente sarebbe stato il Governo cinese.

Anche questa ricostruzione appare discutibile. Fermo restando che il Consiglio sia libero di adottare la misura più opportuna in relazione all’operazione notificata, ciò non esclude che nel farlo non debba dar conto di quanto emerso nell’istruttoria, la cui proposta finale rappresenta una valutazione della strategicità dell’operazione. In aggiunta, il Tribunale, sottolineando la separazione tra fase istruttoria e fase decisionale, rende ancora più difficile l’individuazione della “manifesta illogicità” che attiverebbe il controllo giurisdizionale.

Riguardo il punto (d), il TAR ha affermato che la tecnica redazionale dell’art. 11 del dPCM 179 del 2020 rappresenta un adeguato compromesso tra la tutela della libertà di impresa e la garanzia della sicurezza nazionale e tiene conto dell’impossibilità di una catalogazione puntuale degli attivi strategici.

In definitiva, la mancanza di una giurisprudenza golden power consolidata è stata sempre uno dei motivi della presenza di un clima di incertezza intorno alla materia. Queste sentenze rappresentano un passo in avanti, soprattutto per la classificazione dei provvedimenti golden power all’interno delle categorie del diritto amministrativo e per i cambiamenti nella definizione di “parte interessata” in pendenza di processo. Le sentenze in esame, però, se da un lato sciolgono dubbi sulla “teoria del diritto” e sulla forma del procedimento, dall’altro lato confermano la grande libertà della Presidenza nella definizione delle operazioni case by case, parlando di atti di alta amministrazione, amplissima discrezionalità e assenza di obbligo di motivazione rafforzata. In questo contesto, ciò che sembra essere trascurato sono le garanzie per le imprese. Le sentenze in esame, con particolare riferimento a quelle riguardanti il caso Syngenta-Verisem, sembrano affrontare questioni complesse offrendo soluzioni discutibili. Non è irragionevole pensare che tali sentenze verranno impugnate di fronte al Consiglio di Stato, che si troverebbe a decidere sul bilanciamento tra discrezionalità e certezza del diritto nella materia “più politica” all’interno dell’universo giuridico in un periodo storico in cui l’incertezza sembra essere l’unica costante.


[1] Si tratta di T.A.R. Puglia, Lecce, Sez. I, 27 novembre 2020, n. 1321; T.A.R. Puglia, Lecce, Sez. I, 27 novembre 2020, n. 1322; T.A.R. Puglia, Lecce, Sez. I, 27 novembre 2020, n. 1341.

[2] Decreto-legge 21 marzo 2022, n. 21, recante Misure urgenti per contrastare gli effetti economici e umanitari della crisi ucraina.

[3] Così si legge nel Comunicato stampa del Consiglio dei Ministri n.68, 18 marzo 2022, disponibile su www.governo.it.

[4] Si ricordi che gli stessi sono individuati dal d.P.C.M. 6 giugno 2014, n. 108, Regolamento per l’individuazione delle attività di rilevanza strategica per il sistema di difesa e sicurezza nazionale.

[5] In tal modo il legislatore ha tentato di dare maggiore centralità alla posizione della società oggetto dell’iniziativa di investimento. Si ricordi che tali profili erano venuti in particolare rilievo nell’ambito dell’acquisizione, poi stoppata dal Governo Draghi, della società produttrice di semiconduttori Lpe Spa. Nella vicenda in questione, infatti, i proprietari erano giunti a definire addirittura “espropriativo” l’intervento del Governo.

Sul tema v. F. De Bortoli, Golden power, la LPE e la difesa del made in Italy, in L’economia, Corriere della Sera, 20 aprile 2021.

[6] Proroga disposta dall’art. 17 del decreto-legge n. 228 del 30 dicembre 2021.

[7] Individuati, questi, con d.P.C.M. 23 dicembre 2020, n. 180, Regolamento per l’individuazione degli attivi di rilevanza strategica nei settori dell’energia, dei trasporti e delle comunicazioni.

[8] Trattasi dell’art. 1 bis d. l. 21/2012.

[9] Uno dei fenomeni più significativi che testimoniano tale tendenza è l’aver istituzionalizzato nella prassi istituzionale l’emanazione, con cadenza annuale, del c.d. decreto Milleproroghe. Con tale denominazione ci si riferisce, nel lessico politico e giornalistico italiano, il decreto-legge finalizzato a risolvere disposizioni urgenti entro la fine dell’anno in corso, ad esempio posticipando l’entrata in vigore di disposizioni normative o prorogando l’efficacia di leggi in scadenza. 

[10] Copasir, Relazione sull’attività svolta dal primo gennaio al 9 febbraio 2022, nella quale si auspicava un ulteriore allargamento del raggio d’azione dei “poteri speciali” sugli asset strategici e una stabilizzazione del regime straordinario introdotto in occasione della pandemia da COVID 19; entrambi, allo stato attuale, auspici realizzatisi. 

[11] Gli Stati membri hanno a disposizione due strumenti normativi di natura derogatoria: il primo, tipizzato nei trattati, è l’art. 65, par. 1, lett. b), TFUE, in base al quale le disposizioni dell’art. 63 non pregiudicano il diritto degli Stati membri “di adottare misure giustificate da motivi di ordine pubblico o di pubblica sicurezza”; il secondo è quello offerto dalla clausola delle esigenze imperative d’interesse generale, per come elaborata dalla Corte di giustizia nella sua giurisprudenza.

[12] Sentenza della Corte del 4 giugno 2002, Causa C-503/99.

[13] Lo spunto viene approfondito da F. Bassan, Ora un’autorità nazionale per il Golden power, 20 marzo 2022, www.formiche.net.

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