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1. La V.I.A. «postuma» in un recente interpello al Ministero per la transizione ecologica

03/10/2022

A cura di Giulia Moscaroli

La valutazione d’impatto ambientale – c.d. V.I.A. – è, in generale, una procedura di matrice europea volta a prevenire gli effetti negativi provenienti da una determinata opera sull’ambiente circostante, nonché sulla salute umana. Si tratta, dunque, di un istituto che risponde pienamente alla ratio dei principi di prevenzione e di precauzione, tradizionalmente posti alla base della tutela ambientale, ponendosi in una fase fisiologicamente antecedente la realizzazione dell’opera oggetto di analisi. 

Solo con il D. Lgs. 16 giugno 2017, n. 104 viene introdotto nell’ordinamento italiano l’istituto della c.d. «V.I.A. postuma», il quale si configura come rimedio ad una situazione patologica di assenza della valutazione. Il procedimento è attualmente disciplinato, tra le sanzioni per le violazioni alla disciplina autorizzatoria, dall’art. 29, comma 3, D. Lgs. 3 aprile 2006, n. 152 (c.d. Cod. ambiente). La disposizione, in particolare, prevede l’assoggettamento a V.I.A. postuma di opere realizzate o in corso di realizzazione, nei casi di annullamento in sede giurisdizionale o in autotutela del provvedimento di V.I.A. o di verifica di assoggettabilità, nonché ove le opere non siano state sottoposte alle procedure di verifica di assoggettabilità o ai provvedimenti unici statali e regionali. In tali ipotesi, l’autorità competente assegna un termine all’interessato, entro il quale avviare un nuovo procedimento; scaduto inutilmente il termine o in caso di provvedimento di V.I.A. con contenuto negativo, l’autorità impone al responsabile, a proprie spese, la demolizione delle opere realizzate e il ripristino dello stato dei luoghi. In caso di inottemperanza, l’amministrazione provvede d’ufficio a spese del responsabile. Inoltre, durante il decorso del termine l’autorità può consentire «la prosecuzione dei lavori o delle attività, a condizione che tale prosecuzione avvenga in termini di sicurezza con riguardo agli eventuali rischi sanitari, ambientali o per il patrimonio culturale». 

È proprio quest’ultima disposizione ad essere oggetto dell’interpello del 17 maggio 2022 rivolto dalla Direzione Generale dell’Ambiente della Regione Sardegna al Ministero della Transizione Ecologica – c.d. Mi.T.E. -, al fine di chiarire la corretta applicazione in astratto della norma. In particolare, si chiede al Ministero se sia possibile per l’autorità competente autorizzare la «prosecuzione delle attività o dei lavori» anche ove il giudice, nel caso di specie il Consiglio di Stato, abbia annullato il provvedimento autorizzatorio per mancata previa sottoposizione dell’opera a V.I.A. Inoltre, la Direzione ritiene che non si possa parlare di «prosecuzione delle attività» quando, come nel caso sottostante alla richiesta, nell’impianto non sia ancora stata avviata, in concreto, alcuna attività. 

In via generale, la facoltà per le Amministrazioni di aprire un dialogo con il Ministero, al fine di rendere uniforme l’applicazione della normativa statale in materia ambientale, è nata con l’introduzione nel Codice dell’ambiente, ad opera del D.L. 31 maggio 2021, n. 77 (c.d. Semplificazioni-bis), dell’art. 3-septies, il quale disciplina il c.d. interpello ambientale. La disposizione prevede la possibilità di inoltrare al Ministero della Transizione Ecologica delle istanze di carattere generale, a favore di enti predeterminati dal legislatore, tra i quali figurano proprio le Regioni. A fronte dell’istanza, entro 90 giorni il Ministero deve fornire un’adeguata risposta, che viene resa pubblica tramite il proprio sito istituzionale. Le indicazioni fornite nelle risposte costituiscono dei criteri interpretativi che le pubbliche amministrazioni devono rispettare nell’esercizio delle attività di propria competenza in materia ambientale. Nel caso in cui intervengano delle rettifiche, e quindi il Ministero modifichi la propria posizione, queste avranno un’efficacia limitata ai comportamenti futuri. L’interpello ambientale è, dunque, una forma di consulenza giuridica, in ottica partecipativa, che già era prevista in altri settori, quale il settore tributario e del lavoro. 

Sul rilievo mosso dalla Regione, il Ministero risponde in data 29 luglio, specificando che i «lavori o le attività» delle quali può essere autorizzata la prosecuzione sono solamente le attività soggette a V.I.A. ed elencate nell’Allegato III alla Parte II del Codice dell’ambiente per i progetti di competenza delle Regioni e delle Province autonome, non invece l’esercizio temporaneo dell’impianto o lo svolgimento dell’attività produttiva. 

Inoltre, la ratio di tale potere consiste nella tutela di un soggetto che abbia avviato la realizzazione di un impianto, riponendo affidamento su provvedimenti amministrativi poi annullati. Di conseguenza, non si pone un problema di tutela del legittimo affidamento nel caso in cui i lavori o l’attività debbano ancora essere avviati. 

L’interpretazione fornita dal Mi.T.E. sottolinea la portata derogatoria ed eccezionale dell’istituto della V.I.A. postuma, ponendosi anche sulla scia della giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea. La Corte nel 2018, infatti, chiamata a pronunciarsi nell’ambito di un rinvio pregiudiziale promosso dal TAR Marche, ha confermato la non contrarietà al diritto dell’Unione di una valutazione effettuata successivamente alla conclusione dell’opera, purché ciò sia effettuato a titolo di regolarizzazione e senza determinare un’elusione della normativa vigente in materia. 

La posizione del Ministero, adottando un’interpretazione restrittiva dell’istituto, sembra quindi cogliere in pieno le preoccupazioni di parte della dottrina, che ritiene che la normativa del 2017 possa privare l’istituto della V.I.A. della sua portata preventiva, che si giustifica per la necessità di permettere all’autorità competente di analizzare il prima possibile gli effetti prodotti da un progetto sull’ambiente. 

In particolare, quindi, il procedimento, intervenendo ad opera già compiuta, difetta della fase di comparazione tra le molteplici alternative possibili, limitandosi, il più delle volte, a verificare quali modifiche possano essere apportate al progetto originale al fine di ridurre le conseguenze negative. Manca, perciò, la possibilità di prendere in considerazione la c.d. “opzione zero”, ovvero la possibilità di non realizzare l’opera, contrapponendosi alla tutela dell’ambiente la necessità di garantire l’interessato che l’opera, per la quale ha già sostenuto delle spese, non sia oggetto di provvedimento negativo e di conseguente demolizione. 

Nonostante queste perplessità, l’istituto presenta dei vantaggi, poiché una valutazione postuma viene eseguita comunque considerando i mutamenti in concreto e permette di apportare le migliorie necessarie all’opera, a differenza della V.I.A. classica, basata su valutazioni astratte. 

Al fine di evitare un abuso nel ricorso all’istituto, i giudici amministrativi possono ammettere la valutazione ex post solo in presenza di circostanze eccezionali. Se la V.I.A. postuma dovesse divenire la regola, infatti, l’istituto perderebbe la propria caratteristica essenziale di tutela preventiva dell’ambiente. 

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