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L’ANTITRUST AVVIA UN’ISTRUTTORIA NEI CONFRONTI DI GOOGLE PER ABUSO DI POSIZIONE DOMINANTE

Anna Giulia Manfellotto

21 dicembre 2020

L’enorme quantità di dati e di informazioni immessi quotidianamente nel web da ciascuno di noi porta con sé una serie di problematiche legate sia alla tutela dei diritti dei singoli utenti che alla tutela della concorrenza nel mercato digitale. In relazione a tale ultimo aspetto, l’Antitrust è impegnata nell’ impedire l’accumulo di un notevole potere di mercato da parte di uno dei più importanti motori di ricerca, Google.

Nell’Adunanza del 20 Ottobre 2020 l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato ha deliberato l’avvio di un’istruttoria nei confronti di Google per abuso di posizione dominante. Dall’indagine preliminare condotta dall’Autorità emergerebbe infatti la violazione da parte di Google dell’articolo 102 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione europea in relazione all’utilizzo dei dati per l’elaborazione delle campagne pubblicitarie di display advertising.

Com’è noto, la predisposizione di offerte online si basa sulla c.d. display advertising, ossia la possibilità per gli inserzionisti di sfruttare gli spazi on-line, messi a disposizione dai gestori e dai proprietari dei siti-web, per diffondere i propri messaggi pubblicitari (ad es. tramite banner).

L’elemento fondamentale del processo di vendita di pubblicità on-line è la messa a disposizione dei dati dei soggetti destinatari della pubblicità. A partire da queste informazioni si determinano gli orientamenti di consumo, si ottimizza perciò la selezione degli utenti interessati e gli inserzionisti riescono così ad indirizzare in modo specifico i loro messaggi pubblicitari.

In questo ambito l’Autorità Garante della concorrenza e del mercato ha avviato una indagine sulla base della segnalazione pervenuta da Interactive Advertising Bureau Italia (‘IAB’) un’associazione che opera nel settore del digital advertising come rappresentante delle aziende di comunicazione e pubblicità attive in Italia. Nella segnalazione del 14 Giugno 2019, l’IAB rileva come alcune condotte poste in essere da Google possano integrare violazioni dell’articolo 102 TFUE e dell’articolo 3 della legge 10 ottobre n. 287 del 1990.  

Tra le condotte discriminatorie segnalate rientra il rifiuto di Google di fornire gli strumenti tecnici necessari per la decriptazione dell’ID Google degli utenti. Allo stesso tempo, Google si sarebbe servita in via esclusiva di una mole imponente di dati per consentire ai propri servizi di intermediazione pubblicitaria di raggiungere una tipologia mirata di potenziali destinatari della pubblicità che alcuni concorrenti altrettanto efficienti non sono in grado di replicare.

Questo comportamento, infatti, priverebbe i clienti inserzionisti e gli editori della possibilità di scegliere i propri interlocutori commerciali e le controparti contrattuali. Al contrario, la condivisione dei dati di profilazione in forma aggregata risulterebbe poco utile alla definizione delle preferenze individuali. La mancata comunicazione dell’ID decriptato, non permettendo l’elaborazione di un profilo specifico, impedirebbe difatti l’invio di messaggi pubblicitari corrispondenti a specifici interessi degli utenti.

Sulla base di queste considerazioni l’AGCM ha approfondito la propria indagine in relazione a diversi aspetti, tra cui: l’individuazione dei mercati rilevanti nell’ambito dei quali si svolge la concorrenza tra imprese, la definizione del concetto di posizione dominante e l’analisi delle condotte messe in atto.

Un mercato si definisce rilevante in relazione al quantitativo di Big Data detenuti. L’indagine conoscitiva congiunta sui Big Data operata dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, dall’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni e dal Garante per la protezione dei dati personali assegna infatti ai Big Data un ruolo fondamentale nella conoscenza delle caratteristiche degli utenti e nel conseguente miglioramento delle offerte. 

La disponibilità di questi dati esclusivamente nelle mani di un’impresa danneggerebbe l’equilibrio di mercato, conferendo a tale impresa una posizione di dominanza.

Nello specifico l’estrazione dei dati da parte di Google avviene tramite il monitoraggio dei comportamenti e delle attività a partire da diversi dispositivi, oltre ai browser Chrome per PC e dispositivi mobili. Tra gli strumenti utilizzati rientrano il sistema Android, i servizi Google Maps/Waze di cartografia e navigazione, e i servizi erogati dagli IDGoogle (Gmail, Drive, Docs, YouTube). 

I dati sono così acquisiti attraverso innumerevoli fonti. Questo meccanismo è certamente favorito sia dalle dimensioni della piattaforma sia dai comportamenti abituali e inconsapevoli del consumatore. L’utente infatti con il suo c.d. default behaviour presta velocemente il consenso al trattamento dei dati nell’ottica di un rapido accesso al servizio, ignaro del fatto che una sola concessione implica il trattamento dei dati da parte dell’intero sistema. 

Dunque i vantaggi concorrenziali di Google dipendono dal volume e dalla varietà dei dati detenuti estratti da siti propri e app di terzi. La predisposizione di pubblicità altamente personalizzata, migliore di quella offerta dagli altri concorrenti è consentita dall’osservazione e dal tracciamento costante delle attività.  

In secondo luogo l’eventuale violazione dell’articolo 102 TFUE presuppone la detenzione di una posizione di dominanza nel mercato. Si definisce posizione dominante quella ‘’ situazione di potere economico grazie alla quale l’impresa che la detiene è in grado di ostacolare il persistere di una concorrenza effettiva nei mercati rilevanti e di agire in maniera significativamente indipendente rispetto ai suoi concorrenti, ai suoi clienti e ai suoi consumatori’’.

La posizione di dominanza è assicurata da una serie di fattori. Il modello di integrazione verticale amplifica la capacità di acquisizione, di sfruttamento e di elaborazione dei dati.  

L’integrazione di Google è assicurata dalla presenza su smartphone e personal computer di mercati browser per la navigazione tramite servizi quali Gmail, Youtube, GoogleDocs, GoogleDrive ecc. Anche gli effetti di rete, causati dall’utilizzo dei Big Data, consentono il mantenimento di questa posizione portando il mercato a determinarsi in favore di una specifica piattaforma (c.d. market tipping). Le economie di scala determinano poi uno specifico assetto di mercato a causa di costi fissi non recuperabili (c.d. sunk cost). Infine la dominanza è presidiata dalle barriere presenti all’ingresso, da una capacità di accesso ai dati non comparabile e da limitazioni tecnico-economiche (cd. Switching costs) che non permettono agli utilizzatori di cambiare fornitore a causa dell’assenza di interoperabilità tra i sistemi di operatori concorrenti.

In conclusione l’Autorità valuta le condotte alla luce dell’art. 102 TFUE secondo cui ‘’È incompatibile con il mercato interno e vietato, nella misura in cui possa essere pregiudizievole al commercio tra Stati membri, lo sfruttamento abusivo da parte di una o più imprese di una posizione dominante sul mercato interno o su una parte sostanziale di questo’’

La prima di queste condotte analizzate dall’Autorità consiste nella detenzione da parte di Google di quote rilevanti nel mercato della pubblicità online. Google possiede una quota compresa tra l’80% e il 90% del settore dell’intermediazione pubblicitaria online. La società è poi presente in ogni fase della filiera dell’intermediazione, presentandosi quale interlocutore necessario tra inserzionisti ed editori.

Una ulteriore condotta anticoncorrenziale è integrata dalle evidenze statistiche che confermano che Google ha una posizione dominante anche nell’ambito dei mercati che consentono l’acquisizione di dati personali, come quello dei browser per la navigazione su internet per pc. In tale mercato la quota detenuta da Google è pari circa al 70% del totale. 

Questi comportamenti ostacolano una concorrenza effettiva nel display advertising. L’assenza di concorrenza porta ad alterare i flussi economici, peggiorando la qualità dell’offerta e riducendo gli incentivi allo sviluppo tecnologico dei messaggi pubblicitari. Basandosi su questi elementi l’AGCM ritiene violato l’articolo 102 TFUE lettera B nella parte in cui fa rientrare tra le pratiche abusive la limitazione della produzione, degli sbocchi o dello sviluppo tecnico, a danno dei consumatori.

Il rifiuto di fornire informazioni ai concorrenti non integrati si ricollega invece alla lettera C dell’articolo 102 TFUE per cui ‘’ applicare nei rapporti commerciali con gli altri contraenti condizioni dissimili per prestazioni equivalenti, determinando così per questi ultimi uno svantaggio per la concorrenza’’ rappresenterebbe una pratica abusiva.

La mancata condivisione consentirebbe a Google di sfruttare i propri strumenti di tracciamento in via esclusiva raggiungendo una capacità di scelta dei destinatari non replicabile. 

Gli inserzionisti pubblicitari potrebbero fornire un servizio dello stesso tipo se avessero a disposizione i c.d. Tags(tecnologie analitiche applicate a siti e app di terzi) e le informazioni circa i comportamenti degli utenti online. Lo svantaggio competitivo per gli operatori non integrati consiste nell’impossibilità di verificare se un’inserzione sia stata visualizzata o meno nel sistema Google. Questi soggetti avranno quindi bisogno di un numero maggiore di inserzioni per ottenere una adeguata garanzia di pubblicità.

L’AGCM ritiene che il comportamento di Google possa integrare una condotta abusiva di tipo escludente. Infatti rifiutandosi di fornire l’ID decriptato e di permettere l’utilizzo dei pixel di tracciamento, non si consente ai concorrenti di ottimizzare il processo di intermediazione della compravendita di inserzioni nel mercato di display advertising. 

L’Autorità considera integrata anche l’ipotesi di discriminazione interna-esterna nell’utilizzo di dati. La discriminazione risulterebbe dalla combinazione tra la raccolta di informazioni con servizi e prodotti nei quali detiene una posizione dominante e il contestuale rifiuto di fornire ai concorrenti gli strumenti tecnici che potrebbero consentire a questi ultimi di competere. La condotta di rifiuto contrasta con le regole poste alla base della tutela della concorrenza. Infatti concorrenti meritevoli si vedono preclusa la possibilità di fornire servizi di intermediazione di pubblicità online allo stesso livello di quelli offerti da Google.

L’AGCM ritiene pertanto che i comportamenti di Google possano integrare un pregiudizio al commercio intracomunitario, così come definito nella Comunicazione della Commissione 2004/C 101/07, e in ragione del fatto che Google opera in tutti gli Stati membri, alterando le condizioni di concorrenza nel mercato interno.

Alla luce di queste considerazioni l’Autorità Garante per la Concorrenza e il Mercato ritiene opportuno valutare la fattispecie come eventuale infrazione dell’art 102 del TFUE e dà avvio a un’istruttoria ai sensi dell’articolo 14 della legge n. 287/90.

Considerando quanto finora esposto, sembra di poter concludere che appaiono evidenti le conseguenze negative legate all’ormai consolidato utilizzo di internet. Se da un lato l’eccessivo potere di un colosso del web causa squilibri all’interno dei mercati on-line dall’altro emergono anche svariati dubbi in materia di privacy. 

L’esistenza di più motori di ricerca a carattere generale costituisce ormai uno degli elementi necessari per garantire le condizioni di concorrenza all’interno del mercato. La detenzione di una mole imponente di dati e di informazioni sugli utenti da parte di Google impedisce l’ingresso nel mercato e la permanenza a condizioni competitive da parte di altri motori ricerca. L’istruttoria avviata dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato consentirà di evidenziare in maniera approfondita gli effetti negativi per il mercato generati dall’utilizzo discriminatorio dei dati da parte di Google.

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