Lab-IP

Le gare di appalto e la discriminazione delle PMI


Gaia Mazzei

26/02/2021

Uno degli obiettivi fondamentali, in tema di contratti pubblici, delle norme di matrice europea e di diritto interno è una apertura più ampia alla concorrenza, che sia in grado di assicurare una partecipazione il più estesa possibile di offerenti ad una gara d’appalto.

A tale proposito, viene in luce sia l’interesse comunitario alla libera circolazione di prodotti e servizi, sia l’interesse della stazione appaltante nel poter disporre di una ricca scelta circa l’offerta più vantaggiosa e più rispondente alle necessità della collettività interessata.

Tuttavia, all’interno di uno scenario in cui le amministrazioni aggiudicatrici sono tenute a rispettare principi di trasparenza, pubblicità, libera concorrenza e proporzionalità, si inserisce un ulteriore ed autonomo obiettivo sociale e di politica economica: la tutela delle piccole e medie imprese che, molto spesso, subiscono uno svantaggio competitivo.

Non è sufficiente, dunque, imporre un generale divieto di discriminazione per sostenere lo sviluppo delle PMI; il legislatore europeo ha anche chiesto agli Stati membri di introdurre misure al fine di incoraggiare e facilitare la partecipazione delle imprese di dimensioni contenute al mercato degli appalti pubblici, tentando di rendere quanto più eguali le condizioni di partenza delle piccole e medie imprese a quelle delle macro-imprese.

Sempre più di frequente le politiche in favore della partecipazione agli appalti interessano anche la giurisprudenza nazionale.

Recentemente, il T.A.R. Milano, con la sentenza del 13 ottobre 2020 n. 1895, si è pronunciato sulla corretta esperibilità di una gara indetta dal Comune di Cosio Valtellino per la concessione del servizio di gestione, accertamento e riscossione, anche coattiva, dell’imposta comunale sulla pubblicità e dei diritti delle pubbliche affissioni per gli anni 2020-2022.

La società ricorrente lamentava la violazione di norme e principi fondamentali aventi la funzione di tutelare la libera concorrenza, quali gli artt. 3, 41, 97 della Costituzione, l’art. 83 del Codice Appalti oltre che una pluralità di articoli del TFUE e della Carta di Nizza, tale da rendere impossibile la partecipazione alla gara da parte delle imprese di dimensioni ridotte.

Nello specifico, la parte attorea sosteneva che il requisito di capacità tecnica e professionale fosse illogico e sproporzionato, imponendo al partecipante di avere in organico, alla data di pubblicazione del bando, un numero minimo di quindici unità, a tempo pieno ed indeterminato, tra cui almeno un dirigente e un dipendente con qualifica di ufficiale della riscossione.

Il giudice, nell’accogliere il ricorso, evidenzia come l’esigenza di tutela della libertà di concorrenza e di non discriminazione delle imprese sia un fattore imprescindibile della normativa vigente.

Nella fattispecie in questione, il servizio da svolgere appare complessivamente standardizzato, ripetitivo oltre che senza particolari difficoltà tecniche nell’esecuzione della concessione, valutate le dimensioni ridotte dell’amministrazione comunale appaltante.

Oltremodo, fissare il numero minimo di dipendenti, per di più a tempo indeterminato, proprio a quindici unità implica esclusione automatica delle microimprese.

Infatti, non solo la raccomandazione n. 2003/361/CE qualifica come microimprese quelle che contestualmente hanno meno di dieci occupati, ma anche l’articolo 35 dello Statuto dei Lavoratori, L. 300 del 1970, pone il limite occupazionale per l’applicazione di una serie di disposizioni della legge medesima proprio a quindici unità.

Il dettato normativo prova, quindi, che la soglia di quindici dipendenti necessariamente escluda, illogicamente, le microimprese dalla possibilità di partecipare alla gara di cui è causa.

A giudizio del T.A.R., appare manifestatamente restrittiva anche la condizione che uno di questi dipendenti abbia la qualifica di dirigente, non essendo necessaria ai fini dell’esecuzione del servizio richiesto.

Sulla nozione di dirigente si è espressa la Corte di Cassazione con più sentenze, tra le quali la n. 18482 del 19 settembre 2005, la quale chiarisce che il dirigente d’azienda, ai sensi dell’art. 2095 c.c., è una figura che ha notevole autonomia e discrezionalità nelle scelte decisionali, a tal punto da essere qualificato come alter ego dell’imprenditore.

C’è di più: la figura del dirigente non è neppure prevista in strutture aziendali medie o piccole, avvalorando la condotta discriminatoria dell’Amministrazione Comunale che ha indetto la gara impugnata.

Pertanto, coerentemente con la ratio normativa che spinge ad allargare la competizione quanto più possibile, il giudice ha annullato la lex specialis in quanto, di fatto, essa ha impedito la partecipazione delle imprese di ridotte dimensioni, ha ristretto indebitamente il mercato, violando il principio di favor partecipationis.

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