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Le prime perplessità sul nuovo codice dei contratti pubblici: la semplificazione e il tema del subappalto

di Niccolò Macdonald

14/05/16

Il decreto legislativo 18 aprile 2016, n.50, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale il 19 aprile 2016, introduce nel nostro ordinamento il nuovo Codice degli appalti pubblici e dei contratti di concessione, attuando così la legge delega del 28 gennaio 2016, n.11. Viene realizzata quindi quella riforma della disciplina italiana sugli appalti pubblici ormai da tempo ritenuta necessaria e vengono anche recepite le tre nuove direttive europee in materia di appalti e concessioni 2014/23/UE, 2014/24/UE e 2014/25/UE, non riuscendo a rispettare il termine per tale recepimento per un solo giorno. La nuova disciplina introduce importati novità, coerenti ai criteri e agli obiettivi prefissati dal legislatore europeo, tra i quali quelli della semplificazione, della tutela della concorrenza, della lotta alla corruzione e ai favoritismi, di una maggiore flessibilità, modernizzazione ed innovazione delle procedure di selezione e aggiudicazione. Tuttavia già all’indomani dell’entrata in vigore del nuovo Codice sono state sollevate da più parti diverse perplessità, soprattutto per quanto riguarda l’effettiva semplificazione del quadro normativo e la problematica disciplina del subappalto.

Sicuramente apprezzabile è l’introduzione di un nuovo Codice che sostituisce il Codice de Lise, il D.lgs. 163/2006, introducendo così una svolta epocale per il settore degli appalti pubblici e una riduzione delle norme, con un testo composto da 220 articoli a fronte di una normativa che ha regolato gli appalti pubblici fino al 18 aprile disciplinata da oltre 660 norme; dunque un gran numero di disposizioni che rendevano assai complessa l’applicazione delle procedure da parte delle Stazioni Appaltanti e degli operatori del settore a causa anche di una stratificazione normativa che si è susseguita incessante sin dall’entrata in vigore del precedente Codice e che non ha fatto altro che generare incertezza ed inefficienza. Tuttavia la nuova disciplina ha sollevato sin da subito alcune critiche su tale tema. In primo luogo la mancanza di un periodo di vacatio legis ( a differenza di quanto era avvenuto con il passato Codice, per cui era stato previsto un periodo di 60 giorni) e quindi la sua immediata entrata in vigore ha inevitabilmente creato disorientamento e problematiche tra gli operatori, come del resto dimostrato dall’incertezza su quale sia la normativa da applicarsi proprio per il giorno del 19 aprile: infatti l’articolo 220 del nuovo Codice definisce che il nuovo apparato normativo entra in vigore lo stesso giorno della pubblicazione in Gazzetta, ovvero lo stesso 19 aprile 2016, mentre all’articolo 216, relativo alle “disposizioni transitorie e di coordinamento” , si fa riferimento ai bandi e agli avvisi che “siano pubblicati successivamente alla data della sua entrata in vigore” , e quindi dal 20 aprile in poi. Incertezza che si evince anche nella successione dei comunicati congiunti del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti e dell’ANAC, che con un primo comunicato del 22 aprile avevano chiarito che la sua applicazione deve avvenire sin dal giorno della sua entrata in vigore per poi ritornare sui propri passi con il comunicato congiunto del 3 maggio 2016 e ritenere, in seguito anche alle numerose segnalazioni pervenute dalla Stazioni Appaltanti, che il giorno di riferimento debba essere il 20 aprile 2016. Una formulazione normativa che certamente si rileva non felice e che nonostante l’ultimo intervento “correttivo” rende comunque diversi bandi (31 per la precisione) illegittimi, sollevando così perplessità sull’intero operato del legislatore. A complicare ulteriormente la situazione vi è l’abrogazione solo di alcune parti del Regolamento attuativo D.P.R. n. 207/2010, per cui, come definito dall’articolo 217, lettera u) del Codice, le restanti parti resteranno in vigore fino alla data di entrata in vigore degli atti attuativi del D.lgs. n. 50/2016, e ciò al fine proprio di permettere una sorta di gradualità nella successione della disciplina come richiesto dal Consiglio di Stato. Inoltre perdurano problemi di coordinamento e di chiarezza normativa in quanto resta in vigore tutta la copiosa produzione extracodicistica preesistente, le varie normative settoriali e quelle di provenienza regionale, tutte discipline che non sono state intaccate dalla riforma e che quindi continuano a rendere complesso il quadro normativo, problema che poteva esser superato solo con un vero “Testo Unico”. Infine sicuramente una grande novità è la sostituzione progressiva della regolamentazione del D.P.R. n. 207/2010 con gli atti di soft law, linee guida dell’Anac che completano la normativa primaria, volte a sfruttare la propria flessibilità per definire gli elementi di dettaglio e capaci quindi di adattarsi alla rapida evoluzione del contesto economico sociale. Tuttavia il Consiglio di Stato ha avuto modo di rilevare le sue perplessità sull’introduzione di un cospicuo numero di provvedimenti attuativi (che dovrebbero essere circa 50), cosa che potrebbe far perdere l’obiettivo di una regolamentazione sintetica e unitaria. Attualmente sono in fase di consultazione i primi sette documenti e vi sono preoccupazioni anche sulle tempistiche e sui possibili ritardi nell’adozione di tali atti attuativi. Inoltre proprio la loro intrinseca caratteristica della flessibilità attribuisce al soft law una instabilità e rivedibilità che può generare incertezze, come dimostra la recentissima esperienza negativa dei comunicati congiunti sopra riportata.

Uno dei temi più discussi del nuovo Codice riguarda la disciplina del subappalto, oggetto di una rilevante modifica rispetto alla prima bozza del decreto legislativo. Infatti nell’originaria stesura era previsto il limite al subappalto del 30 % dei lavori solo per le opere superspecialistiche, mentre negli altri casi vi era piena libertà di subappaltare, salvo la disciplina per gli appalti di importo superiore alle soglie comunitarie per cui vi è l’obbligo di indicare una terna di subappaltatori; possibilità di subappaltare che comunque viene sempre subordinata dalla nuova disciplina alla previa dichiarazione dell’impresa di voler usufruire di tale facoltà e con il limite dei soli appalti il cui bando preveda la possibilità di ricorrervi, quindi solo se previsto dalla Stazione Appaltante. Nella versione definitiva è stato invece reintrodotto il limite del 30% dell’importo complessivo per tutte le tipologie di appalto come richiesto dal Consiglio di Stato e dall’Anac, preoccupati dai rischi derivanti da una totale deregulation e da un ulteriore frammentazione del sistema delle imprese, e dai sindacati edili, preoccupati per le possibili ripercussioni sulla qualità del lavoro e sulle precarizzazioni. Tale scelta rappresenta però uno dei punti di critica principale del nuovo Codice Appalti come testimoniano le parole di Claudio De Albertis, presidente dell’Associazione nazionale costruttori edili (ANCE), che, in un’intervista rilasciata ad Edilpartale, afferma che l’obbligo per l’impresa aggiudicataria di eseguire in proprio almeno il 70% delle lavorazioni “limita artificiosamente il numero degli offerenti ” e “rende più complessa la partecipazione alle gare… producendo un effetto non trasparente sul mercato e la concorrenza”. Inoltre tale limite non è presente né nelle direttive europee né nella legge delega, cosa che viola il divieto di gold plating, ossia il divieto di introdurre regole più severe di quelle comunitarie; sul punto è intervenuto il Consiglio di Stato con il parere del 1 aprile 2016, n. 855 affermando che in circostanze eccezionali è possibile derogare al divieto di gold plating e quindi introdurre tali misure. Disciplina che quindi su tale punto in sostanza si discosta da quella comunitaria e da quelle introdotta dai Paesi europei. Desta inoltre preoccupazione la completa discrezionalità lasciata alla Stazione Appaltante sul decidere se l”impresa può o meno utilizzare il subappalto, senza la previsione di adeguati e chiari criteri che possano in qualche modo guidare tale scelta.

In conclusione il nuovo Codice degli Appalti rappresenta sicuramente una svolta epocale in quanto introduce una disciplina finalmente più vicina a quella europea e a quella degli altri Stati membri e che dovrebbe garantire non solo una modernizzazione della normativa interna ma anche una maggiore efficienza e chiarezza, con quindi rilevanti effetti positivi per l’economia nazionale. Tuttavia la volontà di rispettare il termine per il recepimento delle nuove direttive e i tempi strettissimi in cui è stato realizzato tale Codice hanno prodotto formulazioni e scelte normative che non appaiono sempre adeguatamente ponderate e realizzate, rischiando così di vanificare gli obiettivi prefissati con tale riforma.

Poiché sicuramente un’importanza centrale avranno le linee guida che in tempi brevi dovranno chiarire la nuova disciplina e definire la normativa di dettaglio, un adeguato giudizio sulla bontà di tale riforma si potrà dare solo in seguito all’attività dell’Anac, auspicando che l’Autorità possa diventare un vero e proprio strumento di regolazione per l’intero sistema e che riesca a sfruttare la flessibilità delle linee guida senza generare ulteriore incertezza tra gli operatori del settore.

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