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Le tendenze europee sul controllo degli investimenti esteri alla luce della seconda relazione annuale

03/10/2022

A cura di Matteo Farnese

Con il Regolamento 2019/452 si è introdotto nell’Unione europea un meccanismo di cooperazione nel controllo degli investimenti esteri più rilevanti a livello comunitario. Questo, oltre a dettare criteri comuni da tenere in considerazione durante le operazioni di screening, ha come primario obiettivo quello di stimolare gli Stati Membri sprovvisti di una disciplina di controllo degli investimenti esteri ad adottarne una conforme ai principi europei.

Dopo quasi tre anni dall’entrata in vigore del regolamento siamo entrati in una fase di maturazione e rafforzamento della disciplina. I dati e i contenuti della “Seconda relazione annuale sul controllo degli investimenti esteri in UE”, pubblicata in data 1° settembre 2022 dalla Commissione europea offrono alcuni spunti di riflessione in tal senso. 

In particolare, sono interessanti i dati che riguardano la ripresa degli investimenti esteri nell’Unione, l’evoluzione delle legislazioni nazionali, il funzionamento del meccanismo di cooperazione e l’orientamento nei confronti dei diversi partner internazionali. 

Con riguardo agli investimenti esteri nell’Unione, si registra un aumento del 52% rispetto al 2020 e dell’11% rispetto al 2019 (periodo pre-covid), per un totale di 117 miliardi di euro di investimenti esteri in entrata. Questa lettura, però, appare meno confortante se si allarga la prospettiva. Infatti, a livello globale, gli investimenti esteri diretti nell’Unione rappresentano solo l’8% del totale, a fronte del 27% riscontrato nel 2019.

Con riguardo allo sviluppo dei meccanismi di screening nei Paesi Membri, si registrano due tendenze principali: in primo luogo, l’avvio di consultazioni in gran parte dei Paesi ancora privi di una regolamentazione in materia, restando inerti solo Bulgaria e Cipro. In secondo luogo, il rafforzamento dei meccanismi di screening verso un allargamento delle ipotesi di operazioni soggette a scrutinio formale, in particolare in Italia, Francia e Germania. Questi dati dimostrano la bontà del regolamento europeo nel perseguire l’obiettivo di armonizzazione delle legislazioni nazionali in materia, rafforzando il controllo degli investimenti esteri nei Paesi maggiormente attrattivi di capitali esteri.

Con riguardo al meccanismo di cooperazione, sono stati 1563 i casi oggetto di comunicazione alla Commissione e agli Stati membri nel 2021, ai sensi dell’art. 5 del regolamento. Di questi, il 29% è stato oggetto di scrutinio formale, in aumento rispetto alla percentuale del 20% riscontrata nella relazione annuale del 2020. Dei casi soggetti a scrutinio formale, il 73% è stato autorizzato senza condizioni, il 23% è stato autorizzato con condizioni, l’1% è stato vietato e il 3% è stato ritirato dalle parti. Confrontando questi dati con la relazione annuale precedente, si può notare un notevole aumento nell’utilizzo di poteri speciali sotto forma di imposizione di condizioni, passato dal 12% del 2020 al summenzionato 23% nel 2021. L’utilizzo del potere di veto, al contrario è sceso dal 2% all’1%. 

Questi dati dimostrano una crescente attenzione nei confronti degli investimenti esteri diretti, sia in relazione alla percentuale di casi scrutinati che nell’utilizzo effettivo dei poteri speciali. Il minor utilizzo del potere di veto, in particolare, può essere dovuto ai problemi giuridici che tale potere pone, soprattutto in caso di futura impugnazione del provvedimento. Per tali motivi, è ragionevole supporre che l’aumento nell’utilizzo dei poteri speciali tramite condizioni rappresenti un accettabile compromesso per gli Stati tra l’attrazione di investimenti esteri e la protezione dell’interesse nazionale. 

Altri dati interessanti sul meccanismo di cooperazione riguardano la diversificazione di investimenti soggetti a screening in relazione ai Paesi Membri e i tempi dello scrutinio europeo. Con riguardo al primo profilo, viene evidenziato che il 70% delle notifiche proviene da quattro Stati, percentuale che sfiorava l’87% nell’anno precedente, registrando un miglioramento nella diversificazione dello screening ai fini di una migliore tutela del mercato interno. Con riguardo al secondo profilo, si è registrato un miglioramento nei tempi medi di risposta all’interno del meccanismo europeo, pari a 22 giorni civili (31 giorni civili con riferimento al 2020).

Con riguardo all’orientamento nei confronti dei vari partner nazionali, alcuni spunti interessanti si rilevano soprattutto in merito alla Russia, alla Cina e agli Stati Uniti. Infatti, la relazione sembra elaborare i dati passati palesando orientamenti attuali in considerazione delle varie dinamiche geopolitiche. In particolare: la Russia, che aveva visto crescere i suoi investimenti nel 2021, è stata oggetto di particolare attenzione a seguito della guerra in Ucraina e anche nella relazione annuale è rimarcata la necessità di porre particolare attenzione agli investimenti esteri russi; gli investimenti cinesi sono addirittura diminuiti, rimanendo al di sotto delle percentuali del 2020 e confermando la Cina come partner più colpito dall’entrata in vigore della normativa comunitaria. Menzione a parte per gli Stati Uniti, che emergono come Paese partner privilegiato, con cui si è formato un gruppo di lavoro “che ha permesso all’UE di consolidare le basi del proprio sistema di controllo”.

In conclusione, gli orientamenti estremamente positivi nei confronti del meccanismo da parte di istituzioni europee e Stati Membri appaiono, almeno in parte, discutibili. Infatti, mentre i risultati rispetto all’obiettivo di armonizzazione delle legislazioni nazionali, diversificazione del controllo degli investimenti esteri ed efficientamento dei tempi procedimentali sembrano essere positivi, il dato sull’utilizzo dei poteri mostra una particolare attenzione agli investimenti esteri diretti. È ragionevole ritenere che questa attenzione abbia scoraggiato gli investimenti esteri nell’Unione, che rappresentano una percentuale inferiore al 10% a livello globale, mentre solo due anni prima l’UE si confermava come secondo polo attrattivo mondiale con quasi il 30% degli investimenti esteri totali. Tale ricostruzione suscita ancora più preoccupazione alla luce di quanto accaduto (e ancora accade) nel 2022, caratterizzato dal conflitto in Ucraina e dalla crisi energetica europea: fattori che potrebbero disincentivare ulteriormente l’afflusso di capitali esteri nel vecchio continente.

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